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Il diario di Hélène Berr - Hélène Berr - copertina
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Descrizione


Hélène Berr, ventunenne ebrea parigina, inizia a tenere un diario, descrivendo con brillante spirito di osservazione la sua vita quotidiana. Hélène affida alle pagine i suoi pensieri di ragazza "normale", tutta presa dagli studi e dall'amore per il suo Jean. Presto, però, l'orrore della storia irrompe nel suo piccolo mondo, che registra le restrizioni imposte dagli occupanti nazisti ai francesi e le umiliazioni patite dalla comunità ebraica. L'ultimo appunto risale al 15 febbraio 1944: pochi giorni dopo, Hélène viene deportata a Bergen Belsen, dove troverà la morte. A distanza di 54 anni, gli eredi di Hélène hanno accettato di rendere pubblica questa straordinaria testimonianza.
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Dettagli

2009
264 p., Brossura
9788888320205

Voce della critica

Resistono bene alla prova della traduzione, le pagine di Hélène Berr. Possiedono una forza persuasiva che non conosce barriere. Apparterranno, nel giro di pochi anni, ai lettori del mondo intero. Nel contesto francese hanno però costituito un particolarissimo caso editoriale: un anno fa, la prefazione di Patrick Modiano le ha proiettate in qualche modo al centro della scena letteraria e mediatica, conferendo loro una visibilità del tutto inconsueta per un documento storico. Per capire l'impatto sui lettori francesi di questo incontro postumo tra il romanziere nato nel luglio del 1945 e la ragazza ebrea morta nell'aprile dello stesso anno si deve risalire all'esordio di Modiano, avvenuto nel 1968 con La Place de l'étoile; un esordio di cui forse soltanto ora possiamo cogliere tutto il carattere innovativo.
C'è una concomitanza di date significativa: negli stessi mesi in cui Modiano lavora a La Place de l'étoile, rievocazione di quella Francia occupata in cui suo padre, ebreo, ha recitato il ruolo ambiguo del trafficante in rapporti d'affari con i tedeschi, Marcel Ophüls mette in cantiere il documentario Le chagrin et la pitié che dà conto della vita quotidiana a Clermont-Ferrand tra il 1940 e il '44. L'immagine dell'epoca che Ophüls propone è molto lontana dalle rievocazioni ufficiali, tutte centrate sul patriottico eroismo dei resistenti; è conforme alle conclusioni cui giungerà lo storico americano Paxton nel suo Vichy France del 1972 (cfr. "L'Indice", 2000, n. 2). Per la prima volta gli spettatori sono messi davanti all'evidenza di una "maggioranza silenziosa" che ha collaborato, sia pur passivamente, con i nazisti, restando indifferente al destino dei perseguitati. Il rischio di scandalo è tale che il documentario, pur realizzato per la televisione, non arriva sul piccolo schermo; sarà un cinema parigino a metterlo in programma, con successo, nell'autunno del 1969. È la fine di una lunga rimozione, di una sorta di radicale oscuramento della memoria collettiva oggi difficile da concepire. Eppure ne abbiamo le tracce sotto gli occhi, in testi fortunatissimi e ininterrottamente ristampati. Penso – un esempio tra i molti possibili – alle Memorie di Maigret, del 1950. È un romanzo in cui il celebre commissario, ormai sessantottenne, prende la parola per raccontare in prima persona gli episodi salienti della propria vita. È prodigo di particolari su come è cambiata in cinquant'anni la città che lui, giovane poliziotto, ha perlustrato instancabilmente a piedi, e sulle trasformazioni di una malavita divenuta, con il tempo, sempre meno pittoresca. Nemmeno mezza parola, però, sugli anni della guerra, durante i quali doveva essere al culmine della carriera; un buco nero ha inghiottito, nella memoria del buon commissario, gli ebrei parigini deportati a migliaia – uomini, donne e bambini – dagli occupanti volenterosamente coadiuvati dalla polizia francese. Nel Maigret del 1950 doveva potersi rispecchiare senza traumi il lettore medio del tempo. Simenon lo conosceva troppo bene, quel lettore, per non sapere che su collaborazionismo e deportazioni avrebbe preferito stendere un compiacente velo di oblio.
È proprio quel velo che squarciano, alla fine degli anni sessanta, Modiano e Ophüls, mettendo in moto un processo irreversibile. Nei suoi primi tre romanzi, Modiano si concentra, tra orrore e fascinazione, sul mondo dei collaborazionisti, ai cui margini hanno vissuto i suoi genitori; più tardi, in Dora Bruder, del 1987(cfr. "L'Indice", 1998, n. 8), sceglie invece di ricostruire, partendo da un fatto di cronaca del 1941, il destino di un'adolescente ebrea la cui fuga dalla casa dei genitori si concluderà con la deportazione. Dei pensieri, dei sentimenti di Dora, certo, Modiano non sa nulla. Ma seguendo le sue tracce nei quartieri dove ha vissuto, nelle istituzioni che l'hanno accolta, ritrova l'atmosfera della Parigi occupata, ne interroga i muri e le strade, gli archivi e le prigioni. È un altro passo verso la riconquista della memoria; il buco nero in cui era scomparso l'orrore si illumina a poco a poco, rivelando i volti stupiti delle vittime inermi.
Undici anni dopo Dora Bruder, il momento in cui Modiano ha la possibilità di leggere, e poi di presentare al pubblico, il diario di Hélène Berr, è un momento per lui importante. È l'incontro con una voce che gli racconta, in presa diretta, quello che ha sempre desiderato sapere, che gli fornisce i dettagli tangibili e quotidiani di una tragedia che nelle parole degli storici si traduce in nude cifre. È proprio il senso di questo incontro che le pagine essenziali della sua prefazione riescono a trasmettere ai lettori. Li guidano verso Hélène. Verso la scrittura della sua vita. Una scrittura che emerge miracolosamente dal passato, come lo splendido romanzo postumo di Irène Némirovsky, Suite francese, messo in salvo dalla figlia bambina della romanziera deportata. Nessuno resterà deluso, questo è sicuro.
Mariolina Bertini

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