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«L'arte diventa il modo in cui noi definiamo la nostra esistenza come esseri umani. Le dà un'aria perversa, lo ammetto.»
«La musica, la danza, il teatro e le arti visive; le forme dell'espressione, le arti della speranza. Lì è ciò a cui credo di appartenere. Che sia lungo un ruscello nelle Rocky Mountains o in un grattacielo di Chicago o in una piccola città chiamata Park City, Utah, è sempre con me. L'arte non mi lascerà mai e mai dovrebbe lasciarmi»: così scriveva Keith Haring nel 1977. E in effetti l'arte è stata la grande costante della sua vita: una creatività dall'apparenza spontanea che si è diffusa in tutto il mondo, nell'immaginario collettivo popolare come tra gli "addetti ai lavori" dell'arte contemporanea. Ma Keith Haring non è l'ingenuo graffitista che il pubblico potrebbe aspettarsi guardando le sue iconiche figure – dagli «uomini radianti» ai «cani che latrano» – che si ritrovano ovunque, dalle tazzine da caffè alla pubblicità. Lo dimostrano i suoi diari, scritti dall'adolescenza fino a un mese prima che l'AIDS lo stroncasse, nel 1990. Corredate da numerosi disegni, queste pagine raccontano con toccante spontaneità l'evoluzione artistica e personale di Haring, dalle prime esposizioni fino alla definitiva consacrazione nei musei più importanti del mondo, regalandoci tra l'altro un vibrante affresco del clima culturale dell'East Village degli anni Ottanta.
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