La produzione storiografica relativa al mondo liberale italiano dell'ultimo secolo è sicuramente inadeguata. Da anni stanno lodevolmente tentando di porre rimedio alla carenza Gerardo Nicolosi e un gruppo di valenti studiosi, oggi impegnati nella redazione del Dizionario del Liberalismo Italiano (Rubbettino), di cui si annuncia l'uscita del secondo tomo, dopo il primo nel 2011. Un ulteriore passo avanti in questa direzione lo compie ora Massimo Teodori, con la pubblicazione del carteggio (1951-1966) tra Mario Pannunzio, fondatore e direttore del mitico settimanale "Il Mondo", e Leo Valiani, una delle figure più rappresentative della politica e della cultura non solo italiana ma mitteleuropea del secolo scorso (era nato a Rijeka, Fiume, nel 1909). Il carteggio occupa il primo dei due agili ed eleganti volumi, mentre il secondo offre una raccolta degli articoli dello stesso Valiani pubblicati sul settimanale pannunziano tra il 1949 e il 1965, più una serie di documenti, sempre di Valiani, relativi al Partito radicale tra il 1956 e il 1962 e una scelta di lettere e documenti di Ernesto Rossi degli anni tra il 1954 e il 1963. Per l'autorevolezza e la rappresentatività dei suoi autori, si tratta di materiale fondamentale per la storia del settimanale di Pannunzio e del Partito radicale. Dopo una lunga ed eccezionale esperienza nei piani alti del comunismo internazionale, "tra i quaranta e i sessant'anni ‒ annota Teodori ‒ Valiani si immedesima intellettualmente e politicamente con la democrazia radicale occidentale". Correggendo un'interpretazione corrente, per la quale la sua attività politica più importante sarebbe stata quella svolta nel Partito d'azione tra il 1943 e il 1947 o, circa quaranta anni dopo, quella da senatore a vita vicino a La Malfa, Teodori fa luce sui sette anni di militanza radicale di Valiani, una militanza che comportò anche incarichi di rilievo. L'obiettivo era ambizioso: "Il problema ‒ scriveva a Pannunzio il 21 febbraio 1956 ‒ è di ereditare noi i voti dell'intellighenzia finora comunista, che sono moltissimi specie nel Sud; di non lasciarli rifluire semplicemente su Nenni né di lasciarli andare al qualunquismo". L'epistolario svolge, con lucida tensione e passione, questo tema. Purtroppo lo strumento, il modello di partito cui Valiani, non meno di Pannunzio, mirava, si dimostrò inadeguato. È facile avvertire quanto fosse destinato all'insuccesso un progetto che non coglieva la dimensione di massa in cui, nel dopoguerra, si veniva svolgendo la lotta politica italiana. Ma l'importanza di quella cultura laico-democratica, impregnata di civiltà europea e universale, e a cui Valiani fece sempre riferimento, viene testimoniata, paradossalmente, dal tentativo di assimilarne l'eredità storica, se non i valori profondi, compiuto da Togliatti con l'invenzione dell'asse storico e culturale De Sanctis-Croce-Gramsci, su cui fonderà una duratura egemonia nei confronti dei ceti intellettuali, come anche da De Gasperi, che volle avvalersi, anche dopo il trionfo democristiano del 1948, dell'esperienza di grandi liberali quali De Nicola o Einaudi. Per molti non è ancora chiaro se fu un'appropriazione indebita, ma l'intero percorso culturale e politico di Pannunzio e Valiani fu volto a contestare e contrastare la morsa di quelle appropriazioni. Sia il primo che il secondo, uomo politico, ma dotato di fortissima sensibilità storica, non cessarono mai di rivendicare l'autonomia dell'impegno liberale e democratico, da loro posta sotto l'egida del pensiero di Croce, essenziale punto di partenza e fulcro per poter "passare al contrattacco" e "preparare la rinascita, necessariamente rivoluzionaria, del partito liberale antifascista". La "rivoluzione liberale" fu intuizione fascinosa, ma quella generazione non riuscì a darle corpo. Dissensi e rotture frantumarono il gruppo che si era via via raccolto attorno al "Mondo" e al Partito radicale. Quando, nel 1966, il suo settimanale chiuse i battenti, Pannunzio scrisse al "carissimo Leo": "In questo momento io non so pensare a nulla. Sono stanco e nello stesso tempo come liberato da un incubo. Ma chissà, forse qualcosa domani verrà fuori". Pannunzio non riuscì a vedere che l'eredità liberale e crociana stava già rifiorendo altrove, che il liberalismo radicale non era morto, ma doveva assumere forme e strumenti di lotta nuovi e adeguati a raggiungere e parlare alle grandi masse popolari: uno sforzo che è ancora in fieri, che si diversifica rispetto all'esperienza cui i Pannunzio e i Valiani dedicarono le loro energie, ma che tale esperienza non può ignorare. La documentazione offertaci da quest'opera ci mostra come i democratici e i liberali della stagione del "Mondo" fossero figure eccezionali e in definitiva perfino attuali. Angiolo Bandinelli
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