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Democrazia: il dio che ha fallito
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Democrazia: il dio che ha fallito - Hans-Hermann Hoppe - copertina
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Democrazia: il dio che ha fallito

Descrizione


Il nocciolo di questo libro è un'analisi rigorosa del senso economico-politico della transizione da monarchia a democrazia avvenuta in Occidente.
Nell'evidenziare i gravi inconvenienti - per la libertà e la felicità dell'individuo dei due sistemi, l'Autore conclude che la monarchia è un male minore rispetto alla democrazia, ma che entrambe sono peggiori di un ordine naturale fondato sulla proprietà privata, sulla autonomia negoziale e sull'abolizione dei monopolî della difesa e della giurisdizione.
 Attraverso una puntuale rassegna di deficienze, assurdità ed errori delle politiche socialdemocratiche, demolisce la fede del pensiero liberale classico nella possibilità di un governo limitato, e disegna una convergenza fra conservatorismo e libertarismo come naturali alleati per un obiettivo comune: la frantumazione degli Stati nazionali. Traguardo che potrà raggiungersi con un processo di secessioni a catena verso una moltitudine di Regioni e Città-Stato disseminate nel continente europeo e americano.
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Dettagli

2006
25 giugno 2008
486 p., Rilegato
9788885140776

Valutazioni e recensioni

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Neo87
Recensioni: 5/5

Bellissimo libro che stravolge il pensiero comune sulla democrazia.

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poldorugby
Recensioni: 5/5

Una salutare cura contro retorica (totalitaria) del politicamente corretto. Da leggere. Un capolavoro.

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antonio t.
Recensioni: 1/5

Libro di un pressappochismo e di una vacuità sconcertante. L'esimio professor Hoppe, ottimo discepolo dei libertari Nozick e Von Hayek, teorici dello Stato minimo, tenta di dimostrare perfetti enunciati aprioristici e anti-sociali, degni del peggior stereotipo yankee. Una natura umana votata ai (dis)valori materialistici - istintuali, posseduta dal controllo morboso del potere e del possesso, sotto scacco di una ragione avida e una indiscriminata sete di benessere, felicità, ricchezza: benvenuti davanti al cittadino anarco-libertario di Hoppe, in trionfo per l'invidiatissimo modello americanocentrico delle "guerre per la democrazia" e convinto che tutto il globo debba ridursi a sua immagine e somiglianza (e a chi altro, se no?). È l'individuo calvinista che difende il ranch colt alla mano, l'homo oeconomicus senza patria, senza Dio, senza affetti, senza scopi extramondani che non profumino di dollari e Rolls Royce. Insomma, un animale meccanizzato e senza scrupoli. Chiaro come le logiche e consequenziali idee sulla società e sulla comunità statale, non creano a dirsi neanche troppo stupore. Per Hoppe, il figlioccio delle magnifiche Rivoluzioni Francese - inglese - americana (in ordine di importanza), la res publica si situa un passetto prima del socialismo reale (sic!) e molto distante dall'anarchia libertaria (o Stato delle caverne, o legge della giungla, che dir si voglia: la sua teoria da the e pasticcini preferita). Lo stato sociale? Un orpello da demolire. La proprietà privata? l'unico rimedio alle immigrazioni selvagge di individui incolti, tra i quali primeggiano negri e zingari (sic! - E due). Hoppe infatti preferisce gli immigrati colti perché più utili alla civilizzazione. Degli altri non è dato sapere. Generalizzazioni illuministe, banalizzazioni finto-progressiste e luoghi comuni, fanno di questo libro un torvo coacervo di ignoranza e inattendibilità degni di un borghesuccio assetato di vendetta, un cumulo di imbrogli razionalistici e post-illuministi.

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