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scheda di Guglielminetti, E., L'Indice 1992, n. 5
(scheda pubblicata per l'edizione del 1991)
Il saggio del 1795, licenziato da Schelling appena ventenne, esce per la prima volta in traduzione italiana e corredato da alcune "Considerazioni sull'incondizionato in Kant e in Schelling" a cura di A.Moscati. Nonostante il titolo prometta un incondizionato finito, a misura dell'umano sapere, l'Io diviene, in questo saggio di Schelling, la vera Sostanza, il principio metafisico che comprende tutto in se stesso. Nulla esiste, se non l'Io e ciò che nell'Io è identico all'Io. L'Io riempie e disegna una sfera infinita, in cui sono incluse sfere finite (i soggetti empirici) limitate da una linea casuale, sempre in procinto di essere infranta e pur infrangibile e resistente. Queste sfere innumerevoli non sono parti, quanto piuttosto partizioni dell'Io, rispetto alle quali l'Io è del tutto indipendente. La loro moltiplicazione a piacere non immetterà mai una molteplicità nell'Io, il loro cambiamento continuo non immetterà mai un cambiamento nell'Io. Ché l'Io è piuttosto esso stesso principio statico d'identità: solo ciò che non ha nulla fuori di sé può sottrarsi al flusso del tempo. L'ansia della caducità, il timore del cambiamento, l'anelito di definitività attraversano l'opera intera. Il finito attinge consistenza, stabilità, persistenza solo tramite l'Io; la sua sostanzialità è solo presa a prestito e trasferita. Porsi fuori del tempo diviene, per esso, il vero imperativo morale.
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