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La delfina bizantina - Aldo Busi - copertina
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La delfina bizantina
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La delfina bizantina - Aldo Busi - copertina
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Dettagli

3
1997
Tascabile
9788804432142

Valutazioni e recensioni

4,54/5
Recensioni: 5/5
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.

olivia
Recensioni: 5/5

Lo stile è come sempre vario, multiplo, passando dall'ironia alla dolcezza alla crudele e iperrealistica descrizione d'un umanità apparentemente senza speranza... il miglior Busi di sempre.

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bianca
Recensioni: 5/5

Romanzo bellissimo, in cui la è parola, in tutte le sue molteplici sfumature, a far da padrona assoluta, andando oltre la trama stessa, oltre l'apparente gioco/specchietto del facile biografismo, oltre lo scrittore stesso e alle sue invettive morali e non. Un libro scritto in uno stile sublime, travolgente, appassionante, alle volte anche irritante, ma che costringe il lettore ad una continua e serrata e poco indulgente analisi della realtà, propria e altrui... che è poi lo scopo finale di tutti quei pochissimi libri degni d'una immortalità letteraria.

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clemente
Recensioni: 5/5

Un romanzo dalla scrittura affascinante che affronta argomenti profondi, di vita, di morte, d'amore e del tempo che passa, sempre in maniera poetica e personale, portando il lettore ad una riflessione e condivisione di grandi emozioni.

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Recensioni

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Voce della critica


(recensione pubblicata per l'edizione del 1986)
recensione di Golino, E., L'Indice 1987, n. 4

Sbarcato nel 1984 sulla scena letteraria con una sigla editoriale raffinata e le stimmate del caso, oggi, al suo terzo libro in tre anni, Aldo Busi si presenta di nuovo on the spot con le caratteristiche del monstrum e l'alone maudit di un eccesso elevato a regola di vita, costume culturale, valore estetico. A differenza dei narratori che tendono al risparmio lessicale e all'uniformità cromatica, Busi punta invece ad una sorta di effetto Arcimboldo della scrittura con uno stile crepitante di vertiginosi barocchismi. Il lettore si sente come impollinato dal peso carnale, sanguigno, magniloquente di un linguaggio del tutto privo di eufemismi, dal succedersi implacabile di immagini per lo più efferate e ghignanti.
Segno dominante del mondo espressivo di Busi è il pastiche linguistico di marca padana che tra i più illustri antecedenti vanta il Folengo, Carlo Dossi e l'ingegner Gadda, poi tanti nipotini da Arbasino a Bianciardi, da Testori a Mastronardi, e analogie in altre aree geografiche come i meticciati linguistici di Pasolini e di D'Arrigo. Ma quali che siano i modelli a cui Busi può essere riferito (tra gli stranieri corrono i nomi di Henry Miller, Genet, Céline, Rabelais) resta il fatto che con la "Delfina Bizantina", esaltato da un iperbolico risvolto di copertina, il trentanovenne scrittore di Montichiari, Brescia, ha riaffermato una sua peculiare personalità.
Questo romanzo, rispetto a "Seminario sulla gioventù" (Adelphi 1984) e a "Vita standard di un venditore provvisorio di collant" (Mondadori 1985), esibisce una furia verbalistica moltiplicata, ribelle ad ogni editing normalizzante, che impasta perle e detriti sprizzando scintille di significato e sonorità onomatopeiche. Neologismi, locuzioni dialettali, gerghi, battutacce da varietà periferico, conficcati nella prosa a getto continuo, documentano estrose capacità nell'uso maccheronico del linguaggio e cadute di pessimo gusto. Ma ci si imbatte anche in frasi calettate fino allo spasimo, animate da uno scoppiettante incalzare di verbi, calibrate da un variopinta altalena di sensazioni tattili e visive: "Le unghie della signorina Adelaide non erano smaltate: erano di un blu naturale. Come se lei andasse con le mani a frugare negli angoli cerulei di questo passato in comune e raccattasse solo granelli di turchese per impreziosire il solfeggio delle dita che impartivano i movimenti ai corpi delle bambine, specialmente al suo, su cui pensava aver posato gli occhi una volta per sempre e con una sua risoluzione".
Una moltitudine di demoni popola l'infernale parolificio allestito da Busi. Anastasia Runcewicz, 42 anni ma ne dimostra 33, protagonista assoluta del romanzo, dirige a Ravenna un'impresa di pompe funebri. Il marito si chiama Onofrio Cofani, ex becchino, epilettico: la sua occupazione prediletta è saldare pezzi di lamiera e ricambi d'auto per ricavarne improbabili sculture. Teodora, figlia unica della coppia, nata però da un altro uomo ("la mia bastardona" dice Anastasia) è obesa. La mamma vorrebbe somigliasse alla filiforme imperatrice dei mosaici ravennati. Impossibile: la ragazza mangia in quantità pantagrueliche, e all'età di 15 anni già pesa 122 chili.
A scuola, Teodora ha ripetuto la seconda e la terza media, ma il cruccio suo e di Anastasia è la verginità. Il giovanotto che illude la tardigrada per due anni preferisce la garconnierre di Anastasia. E quando Onofrio invita l'ignara Teodora ad una fuga che sembra quasi un viaggio di nozze, Anastasia, furente, li raggiunge nell'alberghetto di montagna e sventa lo pseudo-incesto.
La storia dell'ascesa commerciale di Anastasia è l'esile filo che tiene insieme i quattro massicci blocchi in cui si articola il romanzo. Venduta l'azienda di pompe funebri, troppo esigua e provinciale per le sue ambizioni, Anastasia si trasforma in proprietaria di un mirabolante e lussuoso campeggio-residence, La Delfina Bizantina, quintessenza del kitsch vacanziere che alligna tra collina e mare sulla riviera adriatica. Intorno a sé Anastasia coltiva una piccola ma agguerrita "corte dei miracoli": la signorina Adelaide detta Scontrino, ex maestra di ballo, si occupa dell'ammmistrazione adottando i sofisticati strumenti dell'informatica ed ha un solo vizietto, si ciba di tanto in tanto di carne umana; Amilcara, ex ricoverata in manicomio ed ex carcerata, regna nelle cucine; Paquito, ex marchettaro spagnolo affetto da limosi, figlio di un boia del regime franchista, custode del campeggio e all'occorrenza sicario. Breve ma intensa l'apparizione di Vulvia Nascimpene, una quarantenne "metallara" con variopinta cresta di capelli, equilibrista provetta, transessuale.
L'eros polimorfo che squassa Anastasia chiede soddisfazione indifferentemente ad Amilcara e a Vulvia, ai garzoni del quartiere e a una coppia di prestanti gemelli (che poi la rapineranno infliggendole vergognosi oltraggi). Forte quanto l'eros è l'odio che Anastasia nutre per il conte Eutrifone degli Insaccati e la madre Donna Dulcis, a conoscenza del suo passato di serva, ladra e prostituta. Il conte - ancora un omosessuale - la ricatta. Anastasia tesse trame omicide per disfarsene, così come vorrebbe uccidere Onofrio e tutti quelli che intralciano i suoi piani. E in parte ci riesce...
Questi minimi frammenti di ciò che accade nel congestionato romanzo, l'inesauribile annodarsi e sciogliersi di coppie, terzetti, quartetti, quintetti e via contando nelle combinazioni più diverse, le mille rifrazioni tra vero e falso, danno solo una pallida e inadeguata idea del turbinoso vorticare di coup de théatre: fino alla morte apparente di Anastasia per overdose di "cocaina candita ai mirtilli", alla sua resurrezione dopo un carnevalesco rituale di amplessi che la pietosa Teodora orchestra nella cassa da morto dove giace "la sua adorata mamma troia", e al suicidio (?) di Teodora, ultimissimo atto del grotesque. Altre figurette sveltamente abbozzate contribuiscono ad alimentare il doppio registro narrativo di una realtà effettuale e di una realtà affabulata (per esempio il mito del tenente Albigian, l'unico uomo - peraltro impotente - di cui Anastasia sia stata davvero innamorata, un ex fascista che agisce nell'ombra di altolocate protezioni organizzando campi e aste di mercenari all'estero e alla Delfina Bizantina).
Un tema emerge con forza dal magma stilistico che pervade il romanzo: la spietata ricerca della rispettabilità e del denaro come riscatto sociale e strumento darwiniano di sopravvivenza per dimenticare umiliazioni e povertà di un passato oscuro, ignobile. In questo desiderio di status dai connotati di classe molto precisi, Busi rappresenta e trasfigura l'afrore materialistico della provincia italiana, la furbizia aggressiva dei ceti emergenti implicati nei traffici del sottogoverno di quella immensa Bisanzio che è l'Italia, il pragmatismo di matriarche come Anastasia in grado di stravincere sul maschio rovesciando rapporti di secolare soggezione.
Infatti, quando scrive di sesso, nonostante il tremendissimo hard dell'apocalisse erotica fra Sodoma e Gomorra, Busi ha un atteggiamento per così dire biologico. La Babele dei sessi rispecchia l'esistente, così che la transessualità frenetica e la lussuria coatta risultano n‚ scandalose n‚ perverse ma, appunto, normali, quotidiane. Vi è una eguaglianza livellatrice, una omogeneizzazione genetica fra le varianti della libido praticate nella Delfina Bizantina e che Busi registra con indefessa efficienza notarile. Animalità e umanità, ciascuna nell'ambito della propria specie, si manifestano sessualmente allo stesso modo, senza inibizioni n‚ tabù. Magari è l'animalità a persistere nella ferinità di certi comportamenti (o nel naso maialesco di Anastasia: "una cosa ripugnante in mezzo a tutte le altre attraenti era una calamita in più, il dettaglio irresistibile della bestia più feroce").
Tuttavia non solo su Anastasia l'autore imprime il marchio di una fisiognomica stravolta, dai lineamenti alterati tipici dell'espressionismo. Teodora, con la sua obesità, ne è un altro esempio, e la sua deformità non le impedisce di essere il personaggio più poetico del romanzo e di ispirare a Busi alcune tra le pagine più belle: Teodora che pattina sul lago ghiacciato; Teodora che esegue un goffo spogliarello con la tristezza di un animale da circo, Teodora bersagliata dalla crudeltà infantile per la sua mole; Teodora costretta a soggiacere, riluttante, ai "sogni" della madre, che fra l'altro vorrebbe farne una ballerina...
Giocando sulla trasgressione di ogni limite, sulla profluvio di eventi come metafora del tumultuoso melting pot che è la vita, Busi ha ecceduto nel costruire i materiali per "La Delfina Bizantina". Si può stare al gioco fino in fondo con tutta la simpatia per un autore che non teme di "buttarsi", che non si sottrae alle sfide più azzardate e proditorie, ma sia lecito a chi legge accusare stanchezze e pronunciare argomentati dissensi, soprattutto uno.
Una scrittura che nasce all'insegna del movimento più ciclonico, della dismisura più mercuriale, dell'immaginazione più eccentrica, ha bisogno di un feroce dominio stilistico che in Busi si allenta troppo spesso, così che la scrittura si rivolge contro se stessa impiccandosi al laccio delle parole, imprigionandosi in una stucchevole immobilità.
Busi comunque ha già un pubblico che ne apprezza, credo, la spavalda sincerità e l'acre moralismo, lo spirito sarcastico e l'allure comica, la funebre malinconia e la disperata vitalità: anche in questo romanzo, "La Delfina Bizantina", dove la riuscita totale del grande affresco gli è stata impedita dalle pretese di un priapismo strutturale e stilistico, il nemico più insidioso per l'autentico talento visionario di questo scrittore.

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Aldo Busi

1948, Montichiari (BS)

L'esordio letterario risale al 1984 con Seminario sulla gioventù. Considerato uno dei maggiori scrittori italiani, è anche apprezzato traduttore letterario. Ha tradotto diversi libri tra cui Alice nel paese delle Meraviglie di Lewis Carroll e Intrigo e amore di Friedrich Schiller. Tra le sue opere: Vita standard di un venditore provvisorio di collant, Sodomie in corpo 11, Altri Abusi, Le persone normali, Vendita Galline km 2, Manuale del perfetto single, La signorina Gentilin dell'omonima cartoleria, E io, che ho le rose fiorite anche d'inverno?, Casanova di se stessi, Dritte per l'aspirante artista (televisivo), Aaa!, Bisogna avere i coglioni per prenderlo nel culo, Vacche amiche (un'autobiografia non autorizzata), La camicia di Hanta, Seminario sulla gioventù-Seminario...

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