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Avvelenamenti, trafitture, cadaveri sanguinanti e corpi spiranti nelle tenebre, violenze fra donne e accapigliamenti e pugni e calci, cospirazioni e alleanze, sesso illecito eterosessuale e saffico, omicidi e suicidi, "rabbiosi fremiti e orribili storcimenti", vendette e ipocrite feste, bellezza corporea e infamia etica, a chi piacciono tali ingredienti narrativi piacerà il recupero del romanzo di Girolamo Brusoni, pubblicato probabilmente a Venezia nel 1658. C'è dentro questo e altro, come ad esempio una "violenza" sessuale praticata da una donna su un giovanotto drogato e denudato, riempito di baci e asservito alla fame erotica insaziabile della vestale Porzia. Perché di vestali si parla, in chiave di romanzo storico, ma il riferimento è palesemente ai monasteri secenteschi e alla perniciosa abitudine della monacazione forzata. Il romanzo è intriso di succhi libertini, risente della frequentazione dell'Accademia degli Incogniti e fa il verso maschilista, come osserva la curatrice Emanuela Bufacchi alle pagine di suor Arcangela Tarabotti sull'inferno monacale (scrittrice barocca molto amata, e a buon diritto, dalla critica di orientamento gender).
La collana in cui esce il volume si è già resa meritoria per l'attenzione al romanzo barocco italiano, genere da qualche decennio oggetto di amorose cure filologiche e materia di più di un convegno. Sono usciti: Il Principe ermafrodito di Ferrante Pallavicino, principe (sventurato) del libertinismo italiano; L'Alcibiade fanciullo a scuola di Antonio Rocco, altro incognito che osa affrontare il tema dell'amore pederastico; Il puttanismo romano di Gregorio Leti, in cui le cortigiane cercano di rimediare alla sodomia imperante nella Roma secentesca. Tutte riedizioni affidate a cure di specialiste, guarda caso tre studiose, Roberta Colombi, Laura Coci e la stessa Bufacchi. Onore alle donne, e alla libertà di pensiero, per cui nel secolo XVII si rischiava di perdere la vita.
"Quante son le donzelle / che per forza son tali? / Fresche, leggiadre e belle / ma disperate Vergini Vestali, / nel traffico d'amor merci fallite, / in prurigine eterna seppellite". Così canta una vecchia nutrice nel melodramma Statira di Giovan Francesco Busenello (1655), musica di Francesco Cavalli. Vestali seppellite nell'inferno della costrizione sono tutte le donne che non possono obbedire alla necessità naturale di amare e congiungersi carnalmente. Le vestali di Brusoni sono infernalmente lascive e malvagie e pressoché tutte finiscono male, ma le colpe sono della società che coarta la natura umana. Per cui la tirata della perfida Porzia contro l'onore è l'ululato di una vittima: "E poi, sorella mia, che cosa finalmente è questo onor femminile, del quale tanto il vulgo ignorante s'empie la bocca? Che cosa è questo onore? Umori malinconici e favole di gelosi imaginate per ingannare le semplici donne e levar loro quanto bene han loro conceduto il Cielo e la Natura. A me pare cosa onorata il seguitare gl'istinti naturali".
Il romanzo secentesco è ideologico, almeno questo incognito, ma è anche un genere commerciale, e quindi il gusto dell'orrido e dell'intrigo si spiega benissimo. Ma il romanzo è anche la denuncia della colpevolezza dei romanzi: le stanze delle "vergini" vestali sono piene di libri erotici, storie di battaglie sessuali e successi amorosi. La clausura è male assoluto e produttiva di ossessione maligna. E i romanzi sono strumenti del male? È il "romanzesco" stesso a essere un inferno, sembra essere la morale barocca. L'inferno della modernità.
Roberto Gigliucci
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