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Debussy, la bellezza e il Novecento. «La Mer» e le «Images»
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Debussy, la bellezza e il Novecento. «La Mer» e le «Images» - Ernesto Napolitano - copertina
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Debussy, la bellezza e il Novecento. «La Mer» e le «Images»

Descrizione


Un'analisi elegante e coinvolgente di quel legame tra bellezza e modernità che Claude Debussy portò in dote al Ventesimo secolo; un legame costruito attraverso una visione musicale che sfugge alle complesse elaborazioni formali della tradizione tedesca, prediligendo l'immaginazione istantanea e puntando senza incertezze a soddisfare un principio del piacere, la felicità dei sensi. Una visione che non poteva non entrare in conflitto con la radicale inaccessibilità della bellezza professata da tanta parte del pensiero estetico novecentesco, a partire da Theodor W. Adorno, che pur riconoscendo l'importanza della lezione di Debussy per le avanguardie, rimase sempre lontano dall'ammettere la radicalità della sua rivoluzione estetica. Dopo una critica serrata alle letture più diffuse dell'opera di Debussy, da quella di Vladimir Jankélévitch tutta votata all'evocazione e al mistero, a quella strutturalista di Pierre Boulez, senza trascurare la consueta dicotomia impressionismo/simbolismo, Napolitano guida il lettore al riconoscimento di questa peculiare idea di bellezza, determinata con infallibile sapienza costruttiva da Debussy e posta al cuore della modernità, attraverso l'analisi di due opere magistrali: il trittico sinfonico "La Mer", e la raccolta pianistica delle "Images".
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Dettagli

EDT
2015
11 giugno 2015
IX-224 p., Brossura
9788859207795

Voce della critica

Succede spesso, andando a un concerto che ospiti pagine di Debussy, di sentire commenti perplessi anche da parte di habitué colti e di gusti avanzati; inconsce testimonianze di quanto la musica di Debussy richieda un ascolto diverso, che non soddisfa le nostre aspettative usuali, ma instaura un nuovo ordine di pensiero. Su questa novità e sul suo mistero si interroga Ernesto Napolitano in una monografia che dichiara nel sottotitolo i suoi fulcri, La mer e le Images (le due serie pianistiche), ma che spazia in realtà in tutto Debussy, dalle Estampes ai Préludes, dai Trois Nocturnes a Jeux, dal Pelléas all'incompiuta Chute de la maison Usher: il gioco di intrecci, con l'acutezza delle osservazioni che lo lega, si rivela fondamentale per illuminare il compositore non in questo o quell'aspetto, ma in tutto il suo divenire, chiarendo anche e discutendo le interpretazioni che del musicista si sono date via via: il che fa di questo studio anche un fondamentale strumento di riflessione sulla critica. Debussy resta tuttora un enigma per la sua sconcertante indipendenza dai modelli, per la sua autonomia nell'affrontare problemi di forma, di tonalità, di timbro, per il modo con cui guarda oltre la musica, dentro la poesia, la pittura, la letteratura, ma restando immune da qualsiasi tentazione di compromettere la purezza del suono con riferimenti esterni. A questo enigma Napolitano si accosta non solo con gli strumenti del musicologo, che pure sono ben presenti e anzi regalano al lettore analisi acute e circostanziate di passi fondamentali dei lavori citati, ma anche con l'apertura critica di chi si muove perfettamente nella cultura letteraria, figurativa, filosofica e persino scientifica del Novecento: Maurice Blanchot, Deleuze, Bergson, Ernst Bloch, Jurij Lotman, Lukács, Adorno, Pierre Boulez sono presenze che circolano in tutto il lavoro, interrogate, discusse, vagliate con la familiarità di chi se ne nutre e al tempo stesso sa alle volte prendere le distanze, tornare a guardare l'oggetto della propria indagine con occhi nuovi e giudizio libero. "Vasto e diverso / e insieme fisso"; con questo verso di Montale Napolitano riesce a illuminare un cardine della scrittura debussiana: ossia da un lato la capacità di uscire dal tempo, di astrarsi dalle emozioni, di sospendere la vettorialità del discorso musicale; dall'altro, di isolare singoli istanti e rendere compiuto in sé il frammento. Dietro la capacità di prolungare l'attimo e farne la garanzia dell'infinito sta un'arte consumata, che però Debussy prova gusto nel dissimulare, nemico com'è di analisi e dichiarazioni di poetica; da qui l'affettuosa discrezione dell'autore, che non può esimersi dal rintracciare pazientemente il dissimulato, ma al tempo stesso ripensa i crismi stessi dell'analisi sulle necessità dell'oggetto studiato, tenendo presente che persino i concetti stessi di tema e motivo risultano impropri e approssimativi nel caso di Debussy. A prendere corpo attraverso le analisi saranno quindi lente metamorfosi interne, logiche di tempo interno, profili musicali di differente natura chiamati a convivere, arabeschi sprigionati già visivamente sulla pagina a stampa prima ancora che uditivamente ai nostri orecchi. Napolitano non vuole risolvere i problemi, ma capirli: e proprio per questo riesce a entrarvi più in profondità. Impressionista o simbolista? Melodista o incapace di melodia? Artista dell'attimo o della staticità? dell'imprevedibile o del calcolo millimetrico? Impossibile dirlo, perché la complessità di Debussy non si riduce sotto questa o quell'etichetta, e il suo sentire si evolve nel tempo come i suoi pensieri musicali si modificano incessantemente nel corso dei brani, pur senza perdere la propria identità. Resta però un dato sostanziale: che in Debussy il fulcro del sentire si sia spostato dall'uomo alla natura, il che lo distingue da predecessori e contemporanei. Quanto alla natura, la lettura della Mer insegna come Debussy non voglia addomesticarla, stilizzarla, riprodurla per analogie, ma goderne il mistero in tutta la sua ineffabile bellezza e al tempo stesso senza edonismi. Svuotata dalla presenza dell'uomo, la natura può essere inquietante e persino mortifera (i sotterranei del Pélléas); resta immutabile nei secoli e detta un nuovo tempo interno alla musica; sottrae la sintassi musicale all'urgenza delle tensioni interne e la ricostruisce a sua immagine: così, con Paul Klee, anche Debussy avrebbe potuto dire: «L'arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile", sonorizza cioè il mistero, l'inconoscibile, ciò che sta sotto la superficie. Il prodotto di questo miracolo è la bellezza nella sua astrazione più pura, non contaminata da mano d'uomo: e di nuovo Debussy si rivela padre della modernità lasciando in ciò "una suggestione poi sempre più difficile da raccogliere nel corso del Novecento: nascondere la soggettività, senza condannare l'espressone a scomparire".   Elisabetta Fava      

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