Dante di Shakespeare. Vol. 1: Amor ch'a nullo amato

Prima parte di una trilogia, coraggiosa, geniale, superlativa. Nella complessità dell'argomento trattato restituisce modernità mantenendo il livello letterario altissimo, come accade in tutte le opere di Monaldi & Sorti, eccellenti romanzieri contemporanei, probabilmente i migliori.

Un libro, anzi, uno spettacolo, che va dritto al cuore. Il cuore, e il batticuore, è il protagonista fin da subito dell’infanzia e giovinezza di Dante. L’intelletto d’amore, così dimenticato oggi e così combattuto già allora dagli adoratori ante litteram della dea ragione: un filo rosso che arriva fino a oggi e fa capire molte cose. E questo intelletto d’amore, questo cuore sacro ma odiato dalle anime fredde, viene raccontato nel libro riadattando di continuo situazioni e dialoghi tratti dai drammi di Shakespeare. Non dimenticherò tanto presto l’emozione che mi ha preso nella lettura del libro. Un grazie sentito agli autori: attendo il seguito della trilogia! L’operazione ha dell’incredibile: sovrumana e riuscita, almeno a parere mio. La ricerca delle fonti scespiriane, magistralmente scelte e riscritte nel romanzo per adattarle a Dante e intrecciarle con la Divina Commedia e la Vita Nova, è stata già oggetto di alcune recensioni dei media. Dovrebbe essere oggetto di una tesi di laurea. Importante: si ride anche molto, ad esempio con il latino (maccheronico e sgrammaticato, per chi non l’avesse capito;-)) degli studenti stranieri a Bologna. Raccomando anche la lettura delle appendici finali che spiegano il fondamento storico delle scelte operate dagli autori: davvero appassionanti, oltre che ricche di riferimenti di archivi e biblioteche online dove chi vuole può controllare tutto.

Voler accreditare a Shakespeare uno scritto su Dante Alighieri è un’operazione forzata e filologicamente improponibile, e a poco vale il ricorso ad atmosfere e citazioni shakespeariane (“speziale, dammi un’oncia di zibetto per profumare la mia fantasia!” dal Re Lear, una fra tante) o il riferimento di entrambi i letterati al Cocito (già menzionato secoli prima da Omero, Virgilio ed Eschilo fra i fiumi dell’Ade) per avvalorarne la paternità. Peraltro il drammaturgo inglese conosceva il proprio uditorio, quindi non avrebbe mai composto un’opera teatrale così lunga, men che meno incrociando senza criterio brandelli teatrali e brani in prosa, forma letteraria ancora di là da venire compiutamente; il pubblico elisabettiano, per quanto ben più attento e ricettivo di quello contemporaneo, non sarebbe rimasto inchiodato per ore, privo com’era della cultura per capire le frasi in latino – che in più passaggi del III atto si susseguono con frequenza – e le dotte disquisizioni filosofiche. Forse il duo Monaldi&Sorti, anziché inseguire l’improbabile originalità a tutti i costi, avrebbe fatto meglio a limitarsi a un romanzo che ricostruisse la vita di Dante, con la ricchezza linguistica e lo scintillio narrativo che distinguono gli Autori e con il consueto rigore che si riscontra negli altri splendidi lavori di loro produzione. Così invece pare un esercizio artificioso e uno sfoggio di erudizione che ho trovato indigesti; perciò, quando a metà del IV atto mi è capitato di procedere di fretta o, peggio, di saltare righe e capoversi, ho capito che era venuto il momento di sospendere la lettura e di accantonare il volume in attesa di tempi migliori.