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Dal mulino alla fabbrica - David McAulay - copertina
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Dettagli

1987
128 p., ill.
9788885890381

Voce della critica


recensione di Calegari, M., L'Indice 1989, n. 6

Macaulay è un architetto di 43 anni. Nato in Inghilterra, ha studiato negli Stati Uniti e qui, nel Rhode Island insegna architettura; "Dal mulino alla fabbrica" è l'ultimo suo lavoro tradotto in lingua italiana. L'autore è conosciuto in Italia dal 1975: erano anni di ricerca sulle forme della divulgazione, della narrazione e della rappresentazione, e l'editore Armando pubblicò in quello stesso anno "La città romana", nel 1976 "La piramide", nel 1977 "La città moderna: il sottosuolo", nel 1978 "Il castello", nel 1979 "La cattedrale". Successivamente le Nuove Edizioni Romane hanno riproposto questo gruppo di opere, aggiungendo nel 1981 "Il grattacielo", e questo "Dal mulino alla fabbrica".
Nei suoi libri, stampati bene e su bella carta, la chiarezza dei concetti è accompagnata da grandi disegni suggestivi e ricchi di preziosi particolari, che sono essi stessi racconto. Come tutti i racconti presentano grandi scene d'insieme, e non trascurano i particolari che permettono di capire come realmente funzionavano le cose. I temi sono quelli classici della cultura di base (infatti Armando aveva inserito la prima serie di titoli nella sua "Biblioteca di casa e di classe"). Macaulay non ama generalizzare: quando parla della città romana sceglie Verbonia, la cattedrale è quella di Chutreaux e risale al secolo XIII, il castello è quello di Lord Kelvin edificato nel Galles attorno al 1300. Naturalmente la città di Verbonia, la cattedrale di Chutreaux e il castello di Lord Kelvin non sono mai esistiti, ma gli ingredienti impiegati per raccontarne la storia sono il risultato, filologicamente rigoroso, di indagini condotte da archeologi e da storici della società, dell'economia, della tecnica.
I disegni costituiscono l'80% circa dello spazio utilizzato e hanno funzioni diverse: riportarci ai contesti suggestivi in cui città, cattedrali e castelli sono nati, rappresentarne l'opera di costruzione (e qui l'interesse è dichiaratamente per i problemi di trasporto e di impiego dei materiali), ricreare le macchine e i congegni messi in opera. Va detto con chiarezza che tutto questo è utile. È utile ad un comune lettore ma specialmente a scuola, dove si continua a pensare che sia più significativo il nome di una dinastia egizia della conoscenza di una tecnica di trasporto usata nello stesso periodo per trasportare alcuni milioni di tonnellate di materiali. Ci sono anche aspetti, in questi lavori di Macaulay, che convincono meno. La natura sociale e politica di molte soluzioni tecniche e pratiche è oscurata o ignorata completamente, e questo è un neo non da poco. Una tecnica, la soluzione pratica di un problema costruttivo o produttivo è sempre fortemente influenzata dal contesto sociale in cui si sviluppa.
In "Dal mulino alla fabbrica" Macaulay si misura con un problema in parte nuovo rispetto alle esperienze passate. Il suo racconto si svolge alle soglie dell'Ottocento, in una piccola regione del Rhode Island dove esistono alcuni impianti che utilizzano l'acqua per produrre la forza motrice necessaria a macinare cereali (il mulino), segare legnami (segheria), battere panni (gualchiera). È in questa zona che l'immaginario protagonista del racconto decide di costruire un cotonificio. Per il nuovo stabilimento c'è bisogno di energia, e inizia allora la modifica dello spazio naturale con la costruzione di canali, argini, serbatoi e grandi ruote idrauliche. Si devono anche affrontare problemi completamente nuovi, come ad esempio la trasmissione contemporanea del movimento a molte macchine distanti tra loro. C'è poi la costruzione del nuovo edificio che ospiterà le macchine. La storia dell'insediamento continua con le trasformazioni successive: nel 1830 viene costruita la fabbrica in pietra, l'ampliamento nel 1852, il nuovo cotonificio nel 1870. Abbandonato il mondo delle macchine semplici, Macaulay è costretto a rifarsi a disegni tecnici la cui lettura può riuscire difficile. Infatti, se in un manuale tecnico si può lasciare un asse su cui gira una ruota appoggiato nel vuoto, in un disegno con intenzioni didascaliche questo non si può fare. Anche il centro della narrazione, la storia di una famiglia di imprenditori, lascia qualcosa a desiderare. Schematici i riferimenti ai fenomeni sociali ed economici che ne costituiscono il contesto durante un periodo di oltre un secolo; le ragioni dei cambiamenti, delle nuove costruzioni, delle nuove tecniche, del mutare del profilo dell'imprenditore, finiscono per essere leggibili all'interno di una filosofia elementare della modernizzazione, dei tempi che cambiano. Malgrado ciò anche quest'ultimo lavoro è pieno di osservazioni interessanti. Verrebbe voglia di riscriverlo raccontando storie analoghe, di fabbriche, di famiglie impresarie, di vocazioni industriali. Questa proposta di leggere un libro per migliorarlo credo che non dispiacerebbe neppure a David Macaulay.

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