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Il crocevia del ponte d'Era. Storie e voci da una generazione teatrale (1974-1995) - Mirella Schino - copertina
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Il crocevia del ponte d'Era. Storie e voci da una generazione teatrale (1974-1995) - Mirella Schino - copertina

Dettagli

1996
1 gennaio 1997
404 p.
9788883190148

Voce della critica


recensione di Ruffini, F., L'Indice 1997, n. 8

Il libro di Mirella Schino "Il crocevia di Ponte d'Era" parla del "teatro di gruppo" in Italia. Teatro di gruppo è uno dei nomi (altri, non strettamente sinonimi, sono "teatro di base" e "terzo teatro") con i quali è stato definito il variegato arcipelago di teatro che, sulla spinta decisiva dell'Odin Teatret di Eugenio Barba, cominciò a operare fuori del teatro riconosciuto a partire dalla metà degli anni settanta.
Mirella Schino ne parla assumendo come punto d'osservazione - punto da guardare e da cui guardare - quella capitale segreta del teatro che è Pontedera: dalla nascita del gruppo amatoriale del Piccolo teatro, guidato da Dario Marconcini, alla costituzione del Centro per la sperimentazione e la ricerca teatrale - con tutto il lavoro di regista e di inventore di cultura teatrale di Roberto Bacci -, fino alla crisi ultima del gruppo del Piccolo, sullo sfondo dei grandi impegni storici, come il Workcenter di Jerzy Grotowski e il Teatro Era.
Per parlare di (e da) Pontedera, Mirella Schino sceglie di dar voce diretta ai protagonisti, cosicché il libro si presenta come un mosaico di discorsi in prima persona, quelli dei vari protagonisti (oltre a Marconcini e Bacci, vanno ricordati Giovanna Daddi, Luca Dini, François Kahn, Luisa e Silvia Pasello, Carla Pollastrelli, Maria Teresa Telara, Stefano Vercelli), che rispondono su fatti ed esperienze, e quelli dell'autrice che assembla, dirige e commenta. La storia di Pontedera è riassunta in una cronologia, alla fine del volume, che può essere considerata come l'ordinamento definitivo di un archivio, prima inesistente o quasi. L'argomento, il punto d'osservazione, le scelte di composizione: è una buona scheda informativa del libro di Mirella Schino.
Ma, a lasciarsi portare dai molti personaggi "minori" che vi compaiono, dal tono discorsivo e a volte un po' "amarcord" delle loro testimonianze, dall'evidente partecipazione emotiva dell'autrice, la recensione rischierebbe facilmente di scivolare nell'aneddotico, che è il vestito solo un po' meglio confezionato del pettegolezzo. Il pettegolezzo non rende ragione né per il bene né per il male. Non la rende per il bene perché gli apprezzamenti positivi pigliano di complimento, e non la rende per il male perché un po' di acido critico è atto dovuto, nel pettegolezzo. Credo invece che il libro di Mirella Schino meriti di misurarsi con apprezzamenti e critiche a faccia aperta, senza ammortizzatori in mezzo. Lo credo perché è un libro importante, coraggioso e problematico.
Il teatro di gruppo in Italia è stato un fenomeno di inquietudine e protesta giovanile, di teatro vissuto non solo come pratica artistica, ma anche - spesso soprattutto - come via di cambiamento e di confronto creativo con la solitudine. È stato questo, ma è stato anche qualcos'altro. Credo che lo si possa pensare come la seconda anomalia del teatro italiano del Novecento. La prima, che agli inizi del secolo si manifestò con il ritardo nell'affermazione della regia, fu uno scontro tra la cultura dell'attore e la cultura del regista (e negli scontri, più che gli esiti, sono interessanti le dinamiche). Con il teatro di gruppo si è riproposto lo stesso scontro - a riprova della perdurante forza, in Italia, della cultura dell'attore. Ma entrambe le parti in causa erano molto cambiate. La regia aveva il fiato ingrossato dalla routine che è il golem della tradizione; e gli attori, dal canto loro, della tradizione da cui venivano avevano perso la consapevolezza. Anche per questa oggettiva caduta di rango, si è scritto poco o niente sul teatro di gruppo in Italia. Il libro di Mirella Schino contribuisce a colmare una lacuna storiografica, e lo fa nei riguardi di una realtà fortemente minacciata di silenzio. Anche per questo, è un libro importante.
Poi, è un libro coraggioso. Saranno in molti a dire che "si legge come un romanzo", ed è vero. "Si legge come un romanzo", detto di un saggio storico, non si sa mai se è un complimento condiscendente, o una critica sbilenca. Insomma, può essere della specie del pettegolezzo. Lo è quando mette l'accento sulla piacevolezza dello stile e sulla fluidità dell'impianto narrativo, però additate entrambe - implicitamente - come contropartite di una superficialità delle argomentazioni. Come dire: si legge come un romanzo perché c'è poco da fermarsi a capire. Non è pettegolezzo quando mette l'accento sulla sfida narrativa della storiografia. La quale sfida consiste proprio nell'essere scientificamente responsabili del proprio argomento e, al contempo, nel narrarlo con forza di persuasione come fa un (buon) romanzo. Il libro di Mirella Schino è coraggioso perché accetta questa sfida fino in fondo, e non sempre uscendone senza ferite.
La radicalità del confronto ne fa un libro problematico. Faccio due esempi. Le testimonianze dei protagonisti presentate in discorso diretto sono una sorta di correlativo oggettivo del coinvolgimento dell'autrice nelle vicende narrate, che è una delle ragioni forti del libro. Sono una consapevole, e apprezzabile, scelta compositiva. Ciò non toglie che la diversità di tono e l'inevitabile carica di aneddoto che una tale scelta comporta costituiscano un problema, e talvolta un fastidio, alla lettura. Allo stesso tempo, però, pongono un interrogativo sulla fisionomia del documento per la storia del teatro: che, per riguardare stavolta il teatro di gruppo, non è meno serio di quello che si incontrerebbe trattando del teatro umanistico. Passo al secondo esempio. Il libro di Mirella Schino si può dire che non ha note. Le note sono per lo più schede - spesso piccoli saggi documentari su personaggi e situazioni poco noti, e difficilmente conoscibili - e sono collocate in coda al libro. Un'autentica appendice documentaria, davvero preziosa. Penso che l'autrice abbia fatto così per non disturbare il tono narrativo del libro. Tuttavia, la separazione tra il racconto dei fatti e i relativi corredi documentari costituisce anch'esso un problema, alla lettura. Ma, allo stesso tempo, propone una soluzione a un altro problema che ogni studioso conosce: come salvaguardarsi il peso (scientifico) della propria ricerca senza condannarla alla pesantezza.
E altre questioni il libro di Mirella Schino solleva, non ultima quella di come lo leggeranno dei giovani studenti, troppo contemporanei ai fatti raccontati per non sentire il fastidio della documentazione, e però troppo posteriori per non sentire il fastidio di quelle voci in diretta d'altri tempi. A quelli tra loro che lo gusteranno come un romanzo, ricordo che è un importante libro di storia; a quelli che lo patiranno come un libro di storia, auguro di gustare il coraggioso e problematico romanzo che la racconta.

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