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Cristalli sognanti - Theodore Sturgeon - copertina
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Cristalli sognanti

Descrizione


Ci fu un'epoca d'oro, generalmente individuata nel periodo tra la fine della guerra e il 1960, in cui oscuri scrittori ignorati dalla società letteraria ma amati da intere tribù di lettori si rivelarono i cantori epici di nuovi mondi, pieni di orrori e meraviglie, che si andavano delineando nell'immaginazione – per fissarsi poi in un nuovo genere: la fantascienza. Fra questi primi maestri inevitabile è il nome di Theodore Sturgeon, e inevitabile è il suo capolavoro, «Cristalli sognanti», che apparve nel 1950. Incontriamo qui una fantascienza che non ha bisogno di avventure extra-galattiche: basta guardare nelle viscere della terra, dove i cristalli vivono da milioni di anni, e sognano – «sogni fatti di carne e di linfa, di legno, di ossa e di sangue» – finché qualcuno degli umani non riesce a comunicare con loro. Che cosa avverrà allora?
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Dettagli

1997
Tascabile
8 ottobre 1997
188 p.
9788845913235

Valutazioni e recensioni

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Dario
Recensioni: 5/5
Cristalli sognanti di Theodore Sturgeon

Cristalli Sognanti di Theodore Sturgeon ("Dreaming Jewels" nell'originale) è un romanzo del 1950 di fantascienza (o forse, a parer mio, più di fantasia). La trama è strana, tratta di un bambino senza amici (meno che una compagna di scuola), adottato da una coppia dispotica, che, espulso da scuola per la sua "stranezza", fugge di casa dopo una violenta lite col padre adottivo, unendosi a una compagnia di fenomeni da baraccone di un luna park guidati da un personaggio bizzarro e crudele soprannominato il Cannibale. I cristalli sognanti sono sullo sfondo a tutto ciò, entità "altre" dall'umanità che vivono un'esistenza disinteressata di tutto, alla vita degli altri propri simili o di altre creature e che pensano e ragionano secondo stilemi inqualificabili per l'uomo (il Cannibale, che se ne interessa, dice che "sognano"); la loro caratteristica è che possono replicare la vita che gli passa attorno (senza farlo per un particolare scopo) o persino generarla, nell'unico caso (rarissimo) in cui si uniscono in una coppia. Il racconto è originale, strambo, interessante come il suo autore; inizia con alcune cose che oggi farebbero storcere il naso ai Pillon di turno (un bambino che viene vestito da bambino e che finge di essere una bambina) e sembra poi indirizzarsi verso una linea, ovvero che i fenomeni da baraccone, i diversi, i "mostri" del romanzo sono creazioni imperfette di questi cristalli; salvo poi però, con un colpo di scena, rivelare che in realtà molte di quelle creature erano umane e non mostruose ma "diverse". Grande libro sulla diversità e sulla sua natura di caratteristica propria e tipica dell'essere umano, che, come nella vita, in questo romanzo è sia villain sia eroe. Bellissimo libro, e alcuni personaggi, come la nana Zena o Solum "l'uomo dalla pelle di alligatore" rimangono indimenticabili.

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Eleonora
Recensioni: 5/5

Non è il mio genere, ma il titolo mi ha incuriosita troppo! Ebbene, questo libro è stato una scoperta. L’ho letto tutto d’un fiato e poi l’ho riletto ancora, è coinvolgente e travolgente!

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Pierpaolo
Recensioni: 3/5

Uno dei pochi romanzi di Sturgeon, una fantascienza lontana dai viaggi interplanetari, più volta a indagare l'animo umano, di quelli che sono i freaks, i diversi, con uno stile sognante e onirico, purtroppo frenato dal suo essere più per un target di giovani o adolescenti che per adulti

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Recensioni

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Voce della critica


recensione di Bianco, L., L'Indice 1998, n. 5

In un ipotetico decalogo dell'appassionato di fantascienza, ben prima delle tre leggi della robotica formulate da Isaac Asimov dovrebbe a buon titolo figurare la "legge di Sturgeon", il cui lapidario enunciato può essere motivo, al contempo, di rassegnato sconforto e di baldanzoso orgoglio. Si racconta, infatti, che a un party di scrittori, Sturgeon si fosse visto avvicinare da una signora ingioiellata e molto snob, che lo apostrofò dicendo "Mr. Sturgeon, il novanta per cento della fantascienza è merda". "Certo, "madam"", rispose serafico Sturgeon, "del resto, il novanta per cento di "qualunque cosa" è merda".
Come tutte le leggende, anche questa conosce molte versioni differenti, molti aggiustamenti più o meno edulcorati; a ogni modo, quel che è certo è che Theodore Sturgeon, per tutta la sua vita, si impegnò (e nella maggior parte dei casi riuscì) a mantenersi entro il restante dieci per cento.
Nato Edward Hamilton Waldo, Sturgeon prese il nuovo cognome dal patrigno, e scelse il nome di battesimo "perché mi è sempre piaciuto chiamarmi Ted". Una carriera scolastica non brillante venne presto trascurata in favore di un impiego nella marina mercantile, e di un'ostinata e rigorosa vocazione per la narrativa, che sin dagli inizi si esplicò piuttosto nella forma del racconto breve - talvolta brevissimo - che in quella del romanzo. Meritoria dunque l'impresa che Paul Williams, direttore della rivista musicale "Rolling Stone" ed esecutore letterario di Philip K. Dick, ha intrapreso negli Stati Uniti: raccogliere tutti i racconti di Sturgeon in una serie di volumi che, nelle intenzioni del curatore, non saranno meno di otto. Oltreoceano siamo giunti al numero quattro; in Italia si comincia ora, partendo dagli inizi, dallo Sturgeon "principiante assoluto" che vende alle riviste "pulp "brevi racconti realistici di genere rosa, racconti a sorpresa, bozzetti di costume: dal successo o meno di quei racconti, spesso, dipende la sopravvivenza spicciola dello scrittore. Parrebbe dunque, a prima vista, materiale adatto soltanto ai completisti, ai collezionisti fanatici. In buona parte davvero è così, e tuttavia anche per il lettore comune è difficile non apprezzare la straordinaria levità, il brio da commedia dei dialoghi, le efficaci descrizioni degli ambienti che Sturgeon conosce meglio.
Il giovane Theodore impara in fretta; sempre alla ricerca di nuovi mercati, decide finalmente di cimentarsi con la letteratura fantastica, e sin dal primo racconto di genere si capisce che abbiamo a che fare con un autore dalla pasta tutta particolare: "Un dio in giardino" tratta l'abusatissimo tema del genio nella lampada (in questo caso un lovecraftiano idolo di pietra sepolto nel giardino di un Mr. Smith qualunque), ma il trattamento è più vicino, appunto, a un film di Frank Capra che a un racconto di Lovecraft. Sempre sul pedale del comico premono alcuni degli altri racconti fantastici del primo Sturgeon: dal burlone transdimensionale del ciclo del "Mangiaspazio" al gatto mutante di "Helix il gatto", nitido e spassoso come un fumetto di Carl Barks. Ma altre frecce erano all'arco del giovane Sturgeon, come dimostrano i due migliori pezzi della raccolta: "It", seminale racconto horror in veste di tragedia rurale, progenitore di molti incubi di palude del cinema e dei fumetti, e soprattutto il capolavoro "Le mani di Bianca, "morboso, poetico, agghiacciante e straordinariamente moderno nella sua descrizione dell'amore ossessivo di un tipico "all-american boy" per una ragazzina ritardata e soprattutto per le sue splendide mani, che vivono di vita propria in terribile contrasto con il miserabile corpo che le trascina.
L'orizzonte di Sturgeon non è quasi mai quello della "science fiction* classica: niente galassie lontane, pochi extraterrestri, pochissimi macchinari futuribili. In loro vece, troviamo l'infinita ricchezza dei caratteri umani, la gioia del raccontare e, come ingrediente fondamentale, l'intera gamma del fantastico e del bizzarro che qualche decennio addietro era stata esplorata da Charles Hoy Fort, l'antiscienziato per eccellenza, l'inesauribile indagatore di quelli che ai nostri giorni, nell'immaginario televisivo, sono noti come X-Files.
A lungo Sturgeon rimarrà fedele alle atmosfere fortiane: in attesa che la raccolta mondadoriana prosegua il suo corso, il lettore impaziente potrà ad esempio recuperare il romanzo breve "Killdozer", uscito molti anni addietro nell'omnibus "Universo a sette incognite" (Mondadori,1963). Una misteriosa entità che "sembra roccia e sembra fumo" si impadronisce di un modernissimo e micidiale bulldozer impiegato da un pugno di uomini per costruire un aereoporto su una sperduta isola del pacifico: mentre all'interno del gruppo esplodono conflitti di potere, la macchina compie una vera e propria carneficina, in un crescendo di tensione e violenza che fa assomigliare il racconto proprio a un episodio di X-Files, però diretto dall'Howard Hawks di "Avventurieri dell'aria".
Ma per fortuna, chi è interessato a leggere lo Sturgeon migliore non è costretto ad aspettare troppo, o a passare al setaccio legioni di bancarelle, estremo rifugio di quei romanzi e racconti che passavano spesso inosservati nelle edicole degli anni settanta.
Adelphi ha infatti riproposto, dietro una brutta copertina che pare una cattiva imitazione del Max Ernst meno ispirato, lo splendido "Cristalli Sognanti" (già edito dalla Nord nel 1984), forse il miglior romanzo di Sturgeon, che anche sulla lunga distanza riesce a non perdere nemmeno una briciola delle doti che rendono strepitosi i suoi racconti.
In questa strana sorta di incantato "Bildungsroman "Sturgeon riesce a sintetizzare tutti i suoi temi favoriti: la decisa simpatia per gli emarginati e gli esclusi (si veda la straordinaria galleria di "freaks" che, come in "Sabotatori" di Hitchcock, offrono rifugio e aiuto ai protagonisti); il fascino dei "mirabilia naturae" che arricchiscono il museo sturgeoniano, vera e propria "Wunderkammer "della fiction anglosassone del dopoguerra, qui ben rappresentati dai "cristalli sognanti" del titolo, una forma di vita incommensurabile e aliena agli umani; se poi non bastasse ecco Pierre Monetre, alias Mefisto, alias il Cannibale, che "godeva del proprio disgusto e si era costruito un pinnacolo d'odio per guardare il mondo dall'alto in basso": uno dei più riusciti "villain* della letteratura fantastica; ed ecco ancora sbocciare nel racconto le precise indicazioni di tutto ciò che Sturgeon amava: i dipinti di Mondrian e la musica incredibilmente strana di Spike Jones, le "Cronache marziane" di Ray Bradbury e Johann Sebastian Bach, "l'architetto che costruisce con agata e cromo".
La qualità della scrittura di Theodore Sturgeon, la sua attenzione per la scelta delle parole e del ritmo, devono aver complicato non poco il compito del traduttore, che comunque se la cava egregiamente anche nei brani di prosa poetica che Sturgeon inserisce per cambiare repentinamente atmosfera e cadenza al racconto, secondo una tecnica brevettata e collaudata nel citato "Le mani di Bianca, "che consiste nell'inserire versi poeticamente strutturati all'interno di un brano di prosa, in modo che il lettore ne percepisca solamente il tono lirico e non gli artifici.
Un procedimento davvero poco comune nella letteratura fantastica americana, nella quale, di fatto, Theodore Sturgeon trova ben pochi compagni di viaggio. È piuttosto all'Europa, alla Francia degli anni cinquanta e sessanta, che indirizzano per affinità elettive gli scritti di Sturgeon: trasportate "Cristalli sognanti" nelle "caves" di Saint-Germain-des-Près, sostituite Charles Fort con Alfred Jarry e Sturgeon potrebbe diventare il fratello gemello di Boris Vian. Ma non è soltanto questione di affinità elettive: l'ammirazione di Georges Perec per "Cristalli sognanti", esplorata da Mariolina Bertini in questa stessa pagina, viene in qualche modo a chiudere un cerchio. Racconta infatti il mediocre autore di fantascienza James Gunn, che assistette ad alcune lezioni sulla fantascienza tenute da Sturgeon nei college, che per ribadire l'importanza dello stile, lo scrittore leggeva al suo uditorio "la traduzione inglese di un autore francese che raccontava la stessa ridicola storia in dozzine di modi diversi". Inutile aspettarsi che Gunn si ricordi il nome di questo autore francese, ma colmare la lacuna non è difficile: si tratta senz'altro di Raymond Queneau e dei suoi "Exercices de style, "un altro di quei capolavori di felicità affabulatoria che rende più piacevole la permanenza in un mondo in cui "ninety-per-cent of everything is shit"


recensione di Bertini, M., L'Indice 1998, n. 5

Posto davanti a "La vita istruzioni per l'uso" (1978) di Georges Perec, che intreccia nello spazio di un caseggiato parigino le storie ora minime ora bizzarramente romanzesche di centinaia di personaggi, il lettore tende ad attribuire al romanziere un'attività fantastica delle più sbrigliate, spontanee e inesauribili. Ma è noto invece che, sulle orme di Raymond Roussel, Perec traeva ispirazione da macchinosi reticoli citazionali e da rigorose "contraintes" che stimolavano il suo estro acrobatico e, al tempo stesso, creavano una sorta di muraglia protettiva intorno al suo io fragile radicato in un'infanzia straziata, spezzata dalla tragica partenza della madre per Auschwitz. Tra le citazioni e le allusioni dissimulate come enigmatici amuleti nel racconto perecchiano, ce ne sono ben dieci che rimandano a "Cristalli sognanti": dal chimico Morellet che perde come l'eroe di Sturgeon "tre dita della mano sinistra", ai nani e mostri da circo, a un musicista di nome Hortense che cambia sesso, allo studente sorpreso a versare, come Pierre Monetre, estratto di carne nella zuppa di un ristorante vegetariano (per l'elenco completo, si veda il "Cahier des charges de La Vie mode d'emploi", a cura di Hans Hartje, Bernard Magné e Jacques Neefs, Zulma, Paris 1993). Evidentemente il romanzo di Sturgeon - letto nell'adolescenza, durante una vacanza in campagna - era entrato in qualche modo a far parte della mitologia personale di Perec. Il fatto è sorprendente perché Perec, ineguagliabile conoscitore di polizieschi, nutriva invece per la fantascienza una diffidenza accentuata.
Ma "Cristalli sognanti" - Perec lo scriverà esplicitamente in una pagina di "Pensare/classificare" - non è un romanzo di fantascienza: non prospetta società future, non indulge a nebulosi gerghi cosmico-mistici. Storia della rivincita di un trovatello maltrattato, ignaro delle proprie vere origini, racchiude tutti i temi più cari al Perec di "La scomparsa" (1969) e di "W o il ricordo d'infanzia" (1975): la solitudine dell'orfano, l'enigma delle sue radici, l'implacabile necessità della vendetta. Basterebbero queste coincidenze, probabilmente, ad assicurargli un posto privilegiato nell'immaginario perecchiano; credo però ci sia qualcosa di più. L'intreccio in qualche modo tradizionale del romanzo di Sturgeon ingloba un importante elemento fantastico: il potere dei "cristalli sognanti", ai quali è dato duplicare, con la forza del pensiero, oggetti e creature reali. Il pensiero dei cristalli è alieno rispetto alla dimensione in cui viviamo, è impenetrabile nella sua logica rigorosamente autonoma, e tuttavia finisce per interferire con l'esistenza degli umani: le sue finzioni si intrecciano al vero, oscillano tra il polo della mostruosità e quello della perfezione, sono travolte dai flussi del dolore, della vita e della morte. Da questo credo sia stata catturata l'attenzione di Perec. Che cos'è, in fondo, il destino di queste finzioni, se non la più perfetta, la più convincente metafora del destino dell'arte? Almeno dell'arte secondo Georges Perec, che non cesserà mai di riflettere sulla componente di illusione, di falsificazione, di replica che ogni rappresentazione artistica inevitabilmente racchiude.

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Theodore Sturgeon

(Staten Island, New York, 1918 - Eugene, Oregon, 1985) scrittore statunitense. Autore di romanzi e racconti di fantascienza, predilige i temi fiabeschi e sceglie i suoi protagonisti tra gli «anomali», i «diversi» della società contemporanea, a cominciare dai bambini, che diventano veicolo di una concezione tenera e malinconica della vita. Ha scritto pochi romanzi, sempre di grande successo, tra cui Cristalli sognanti (The dreaming jewels, 1950), Nascita del superuomo (More than human, 1953 in tre parti), e molti racconti (ricordiamo l’antologia Profumo d’infinito, A touch of strange, 1959 e il racconto La scultura lenta, Slow sculpture, 1971).

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