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recensione di Mazzetti, G., L'Indice 1995, n.11
Attraverso una complessa ricucitura delle posizioni di numerosi studiosi, di uomini politici, di rappresentanti di istituzioni internazionali, di movimenti e partiti, la Ravaioli ricostruisce lo scenario complessivo nell'ambito del quale si presentano i tre problemi principali di questa fine secolo: il riemergere della disoccupazione di massa, l'aggravarsi degli squilibri ambientali e il cambiamento dei tradizionali rapporti tra i sessi. La rappresentazione del modo in cui questi tre problemi "si tengono tra loro" è indubbiamente ricca e convincente, così come convincente è l'indicazione secondo la quale "tutti e tre incrociano, quale passaggio obbligato della loro soluzione, la questione della riduzione del tempo dedicato al lavoro... che dovrà fungere da referente sistematico su cui verificare ogni altra iniziativa".
La sottolineatura di questo elemento è forse il pregio maggiore dell'opera. La Ravaioli evidenzia infatti con acume che una delle cause dell'attuale debolezza delle forze che esprimono il bisogno di un profondo cambiamento sociale, sta proprio nella loro incapacità di operare una "sintesi coerente" delle diverse istanze delle quali sono portatrici. Ognuna di queste istanze appare racchiusa nell'ambito di una sfera autoreferenziale, cosicché le è preclusa la possibilità di formulare i bisogni che la sollecitano, in maniera coerente con il resto della vita. Ciò spiega perché "i verdi non sono rossi" e, in genere, anche "i rossi non sono verdi", e perché in questa repulsione reciproca vadano ricercate le ragioni della loro debolezza. Il passaggio chiave, quello attraverso il quale la Ravaioli argomenta a favore del fatto che la riduzione del tempo di lavoro consentirebbe a "rossi" e a "verdi" di parlarsi in modo non artificioso o volontaristico, perché racchiude in sé sia una critica del rapporto oggi prevalente tra l'uomo e la natura, sia una critica dei rapporti sociali che mediano la produzione, è senz'altro la parte più riuscita dell'intero libro.
Se il quadro esplicito del problema è stato rappresentato in forma pienamente convincente, ci sembra che un giudizio analogo non si possa dare nei confronti dell'analisi inerente alle forze sotterranee che rendono complicata la sua stessa accettazione. Sembra quasi che la difficoltà di elaborare, come la Ravaioli chiede, "una politica rossoverde" consegua da una mera assenza di volontà, da un'ingiustificata mancata disponibilità da parte dei soggetti, e non costituisca piuttosto una manifestazione necessitata dei loro stessi limiti sociali. Per questo l'obiettivo della redistribuzione del lavoro tra tutti i cittadini adulti apparta un'"operazione di aritmetica elementare", e addirittura di "elementare buon senso". E non si riesce a comprendere perché mai essa sia stata e venga "scansata con fastidio o attaccata con dura riprovazione".
Qui, paradossalmente, la Ravaioli sembra leggere Keynes solo a metà. Keynes è stato infatti il primo a sostenere che ai suoi tempi l'obiettivo della riduzione del tempo di lavoro non era 'immediatamente' praticabile, perché non era ancora intervenuto quel cambiamento nelle condizioni materiali dell'esistenza che avrebbe consentito di porre la ricchezza nel tempo disponibile, invece che nel tempo di lavoro. Nella "Teoria generale" la questione viene liquidata in appena quindici righe come "prematura", e in "Prospettive economiche per i nipoti" si dice che solo tra la fine e l'inizio del XXI secolo, e solo se nel frattempo gli uomini avessero imparato a fare i conti con l'inadeguatezza della domanda aggregata, il problema si sarebbe imposto come un problema ineludibile. Ma proprio in questo secondo saggio Keynes sottolinea che mai e poi mai gli uomini dei paesi economicamente avanzati sarebbero stati in grado di prenderne spontaneamente atto e di risolverlo nella forma piana di un'operazione aritmetica elementare, di un arrendersi al "buon senso". Questo perché il riconoscimento del problema sarebbe stato possibile solo all'interno di un radicale mutamento del modo di essere degli individui, che sarebbe potuto intervenire solo a prezzo di grandi sofferenze.
È questo il vero punto debole del testo della Ravaioli, la quale si mostra sorpresa di fronte al fatto che "il valore e l'impatto di una seria manovra 'orari ridotti', in tutta la sua complessità e in tutta la sua portata, sembra sfuggire" agli stessi agenti sociali. Si dovrebbe piuttosto concordare con Keynes, cioè ci si dovrebbe sorprendere del contrario.
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