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Romanzo bellissimo, che tuttavia si dimentica in fretta. a dimostrazione di quanto sia deliziosamente inutile la letteratura.
In men che non si dica, già subito nelle pagine di avvio ci troviamo immersi nei profumi della campagna toscana, nei dintorni di Siena, per la precisione. La scrittura sfrondata di ogni orpello, essenziale, verista, scavata nella roccia, e di cui ci vien nostalgia e si conserva volentieri memoria (come, del resto, di quella che impreziosisce l’altro capolavoro: “Tre croci”), odora di terra, di olivi, di vigne, di frutti. Non solo ci troviamo nella campagna, ma all’interno di uno spaccato di vita contadina, con il padrone Domenico che, quando non è a gestire la trattoria “Il Pesce Azzurro”, passa il suo tempo a controllare pignolescamente i lavori dei suoi “assalariati”, e se c’è qualcosa che non va “in presenza sua faceva rifare il lavoro”. Ecco un brano del suo ritratto, tra i più belli del libro: “Comprava un cappello all’anno, portandolo tutti i giorni; finché la tesa, che si adagiava sugli orecchi, rovesciandoli più giù, non fosse untuosa.” Gustate questi nomi: Giacco, Masa - che sono i vecchi genitori di Rebecca, la balia di Pietro, il figlio del trattore -, Ghìsola, Palloccola, Pipi, Nosse, Ceccaccio. Ma un’ombra pare vivere insieme coi personaggi; vi è un’attesa di fatalità che si mantiene lieve, non incombe, però la percepiamo, e ci dà il senso di un’esistenza tuffata nella natura che, per ciò stesso, è prigioniera del suo mistero. La superstizione è il suo tramite, e lo sono l’oscurità della sera sempre tetra, malinconica, lo sferragliare dello donne poco ciarliere, Ghìsola con la sua inquieta infanzia (“sentiva malvolentieri che tutto ciò che esiste non era soltanto in lei”), che la induce ad appropriarsi di un nido di “cinque passerotti” e “schiacciò con le dita la testa a tutti”, la parsimonia di Masa, che ha paura di finire troppo presto il pane che ha addentato. Lo stesso Pietro, coetaneo di Ghìsola, “Cercava di superare le sue malinconie; ma non poteva dimenticarle quanto avrebbe voluto” e “Stava bene sul letto, con gli occhi chiusi.” Non si poteva creare meglio uno spicchio di civiltà contadina,
Recensioni
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Il romanzo fu pubblicato nel 1918. E' la storia, largamente autobiografica,di un'adolescenza, dei primi dolorosi incontri con la realtà e con l'amore.Pietro Rosi è un giovane fragile e sognatore, figlio di un oste rude e di unadonna delicata che muore ben presto. Pietro si innamora di una giovane con-tadina, Ghisola, sentimento che affronta "ad occhi chiusi". Quando a FirenzeGhisola, dopo essere stata l'amante di un uomo maturo, rimasta incinta, deci-de di sfruttare il sentimento di Pietro e di attribuirgli la paternità del fi-glio che aspetta, si trova però costretta a sfuggirgli, perché Piero la "ri-spetta" e fa sfumare il suo piano. Scoperta improvvisamente la verità Piero"apre" gli occhi e termina così la sua adolescenza.
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