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Comunicazione e interpretazione - Herbert A. Rosenfeld - copertina

Dettagli

22 febbraio 1989
Libro universitario
298 p.
9788833954363

Voce della critica


recensione di Mancia, M., L'Indice 1989, n. 8

Vorrei introdurre la mia recensione a questo straordinario libro di Rosenfeld sottolineando una imprecisione nella traduzione del titolo (nell'originale: "Impasse and Interpretation*) che mi sembra grave in quanto falsa sostanzialmente il pensiero dell'autore. "Impasse" non è "comunicazione" ma, al contrario un ostacolo, uno stallo nella stessa. La scelta del titolo da parte di Rosenfeld, infatti, voleva indicare quegli aspetti della comunicazione schizofrenica che costituiscono un''impasse' nella prosecuzione del lavoro analitico.
Rosenfeld inizia il suo lavoro, più clinico che teorico, con l'affermazione che sono stati proprio i casi più difficili e più ostili al trattamento come le psicosi schizofreniche ad aver stimolato in lui attenzione e interesse. A leggere poi i numerosi e bellissimi casi clinici che presenta, analizza e discute nel corso del libro, si direbbe che non è venuto affatto meno al suo proposito e al suo impegno. Impegno che ha occupato tutta la sua vita di medico, psichiatra e psicoanalista tra i più prestigiosi della scuola inglese, come dire della più antica e prestigiosa del mondo.
Se Edgard, Eliza e Edward sono stati i primi pazienti schizofrenici che hanno inconsapevolmente alimentato nel giovane Rosenfeld la speranza di poter intraprendere una terapia con la parola di malati considerati dalla tradizione psichiatrica refrattari ad ogni trattamento che non fosse di natura organica (elettroschock, insulinoterapia, psicofarmaci, ecc.), Thomas resta il primo giovane schizofrenico che sia stato capace di dare a Rosenfeld la misura delle sue capacità di intervento terapeutico. Purtroppo Thomas amava troppo giocare con la morte: era solito valutare con precisione il tempo che passava tra il momento in cui apriva il gas e quello in cui avrebbe perso coscienza. Il gioco apparve casi pericoloso ai responsabili del servizio di psichiatria della Tavistock da consigliare fermamente a Rosenfeld di interrompere la cura. La interruzione fu molto dolorosa per Thomas ma anche per Rosenfeld che, da allora, giurò a se stesso che mai più avrebbe interrotto una terapia neanche con il paziente schizofrenico più grave e pericoloso che gli fosse capitato.
Fu così infatti per Mildred, una giovane schizofrenica che Rosenfeld iniziò a curare in un momento in cui la sua esperienza psicoanalitica si era arricchita attraverso la personale analisi con Melanie Klein e lo studio dei suoi scritti. Siamo nel 1946 e la Klein aveva pubblicato un lavoro in cui per la prima volta analizzava la modalità primitiva essenzialmente non verbale con cui i pazienti psicotici, specie schizofrenici, si rivolgono all'analista. La Klein aveva intravisto in questo tipo di comunicazione transferale una modalità della mente che defin di "identificazione proiettiva", caratterizzata dalla capacità del paziente di scindere parti dell'Io e di depositarle nella persona dell'analista che con queste parti cariche di affetti ed emozioni viene identificato. È chiaro che con queste modalità i pazienti riescono a creare, al di là del linguaggio, un'atmosfera che può essere terribilmente carica di emozioni e di angoscia. Merito di Rosenfeld è stato quello di applicare nel vivo della relazione questi contributi della Klein e aver sottolineato il ruolo dell'analista proprio nel processo di elaborazione di queste modalità transferali e di verbalizzazione di queste emozioni sotto forma di interpretazioni.
In analisi queste forme massive di identificazione proiettiva possono comparire come comunicazioni fatte di silenzio oppure di un parlare confuso, monotono, simbolico, capace di creare un concreto effetto sull'analista di tipo ipnotico, che paralizza le sue capacità di pensiero, di attenzione e di concentrazione.
Le identificazioni proiettive che i pazienti psicotici portavano in seduta o che agivano all'esterno sono subito apparse a Rosenfeld come l'espressione di relazioni oggettuali di tipo narcisistico dominate da invidia, gelosia, competitività e caratterizzate dal bisogno di negare la natura separata dell'oggetto: una difesa quindi dalle ansie di separazione. Ma presto Rosenfeld doveva accorgersi che la identificazione proiettiva è anche una modalità di comunicazione preverbale che può riferirsi alle prime relazioni del bambino con la madre e pertanto fornire al terapeuta una indicazione preziosa sullo stato emotivo del paziente così come si manifesta nel 'transfert'. Il lavoro elaborativo e interpretativo eseguito su queste modalità preverbali dice anche che il 'transfert' psicotico "fornisce l'opportunità di dimostrare che è possibile contenere sentimenti insopportabili e riflettere creativamente su di essi".
Da quanto detto appare evidente che la personalità dell'analista diventa uno strumento di importanza decisiva nel riconoscere alcuni aspetti essenziali della comunicazione schizofrenica e che gli consente di funzionare con precisione e sensibilità in senso terapeutico. Un difetto nella personalità dell'analista potrà dunque creare un''impasse' soprattutto con questi tipi di pazienti particolarmente sensibili. Le difficoltà, infatti, con questi pazienti derivano da intensi sentimenti di invidia che possono facilitare reazioni terapeutiche negative o deliri relativi alla propria identità come dimostra il caso di Adam, splendidamente presentato e discusso nei particolari. È nella descrizione dei diversi casi clinici che appare evidente il merito di Rosenfeld di aver potuto intuire che nella mente dello schizofrenico è in atto un conflitto tra parti della sua personalità: la parte del Sé infantile narcisistico e onnipotente che attira la parte del Sé dipendente e più sana in uno stato onirico psicotico, quale base del suo delirio, e in questa trappola mortale fa perdere al paziente il senso della realtà e la sua capacità di pensare.
Nel teorizzare queste esperienze cliniche Rosenfeld si collega direttamente alla formulazione freudiana di pulsioni di morte e mette in relazione il concetto di narcisismo distruttivo con le pulsioni di morte e la reazione terapeutica negativa. Il narcisismo distruttivo, nella sua formulazione, si identifica con l'opera di parti onnipotenti del Sé idealizzate, per lo più scisse e occultate. Il prevalere nella personalità del paziente di queste parti onnipotenti impedisce lo sviluppo di relazioni oggettuali normali e dipendenti e fa sì che gli oggetti esterni siano invidiosamente svalutati. Ciò comporta notevoli ostacoli nella relazione analitica. Ma l'interesse di questa modalità è particolarmente evidente se si considera con Rosenfeld che le fantasie onnipotenti e la struttura stessa del Sé onnipotente "hanno origine nella prima infanzia, in una fase in cui l'individuo si sente inerme, piccolo e incapace di far fronte alla realtà di essere al mondo e a tutti i problemi ad essa connessi. Da quanto è nato, non solo ha costruito la fantasia di un Sé onnipotente, ma ha anche creato, in chiave onnipotente, degli oggetti (dapprima oggetti parziali), che siano sempre presenti per soddisfare i suoi desideri". Sono oggetti interni che io definirei "sostitutivi, o protesici" che hanno il compito cioè di compensare e far fronte a sentimenti di impotenza, inadeguatezza e incapacità ad affrontare la realtà e il mondo.
Rosenfeld parla di "stile di vita narcisistico", per indicare il prevalere, nell'individuo, di questi oggetti sostitutivi, compensatori che alimentano una fantasia onnipotente e la credenza delirante nella propria onnipotenza. Ogni evento (in primo luogo l'analisi) che possa mettere il paziente in grado di capire la natura difensiva, sostitutiva e protesica dei suoi oggetti, verrà vissuto come evento capace potenzialmente di smantellare la sua onnipotenza e di falsificare la sua costruzione delirante e sarà perciò ostacolato, svalutato, criticato, sabotato e distorto. Quest'ultimo processo costituirà l'essenza stessa della reazione terapeutica negativa. Interessante la rappresentazione che Rosenfeld fa di questa parte del Sé onnipotente, che opera nel paziente schizofrenico attraverso una "propaganda interna", una modalità con cui può controllare la parte sana e quindi l'intera personalità del paziente. Nell'affrontare questi aspetti della relazione, appare in tutta la sua bellezza il metodo di Rosenfeld che consiste nell'offrire al paziente interpretazioni che possano aiutarlo " a capire come in lui sia operante una forza che esercita una potente suggestione e gli impedisce di pensare e osservare quel che avviene. Questa impostazione mobilita gradualmente l'autosservazione". Si dovrà aiutare il paziente ad accettare questa verità sconcertante che opera dentro di lui. "Un Sé scisso [...] che attraverso la persuasione e la suggestione, esercita su di lui un potente influsso e assume il ruolo di consigliere". L'interpretazione dovrà dunque essere indirizzata a "rilevare [...] che questo consigliere [...] opera con l'inganno e che la sua funzione principale è quella di preservare il modo di essere delirante e narcisistico del paziente".
Il pensiero di Rosenfeld, data questa sua concezione della mente, non poteva non confrontarsi con l'inquietante problema della pulsione di morte. Rosenfeld si ricollega direttamente al pensiero di Freud del 1920 per il quale la vita mentale esprime un conflitto fra Eros e Tanatos. Queste pulsioni sono normalmente fuse ma in alcune condizioni sono "defuse" e giustificano i fenomeni distruttivi che compaiono nella vita psichica (come il caso di alcune psicosi narcisistiche tra cui la schizofrenia) dominata dal narcisismo distruttivo. Il concetto di pulsione di morte è in Rosenfeld empirico; legato all'esperienza clinica, nella tradizione del pensiero anglosassone. Egli afferma che "esistono nel paziente, e possono essere clinicamente osservate, alcune forze mortali, che somigliano alla pulsione di morte descritta da Freud. In alcuni, questa forza distruttiva si manifesta sotto forma di resistenza cronica, paralizzante, che può bloccare l'analisi per molti anni In altri assume la forma di una forza mortale, ma occulta, che allontana il paziente dalla vita e [...] gli provoca gravi angosce di essere sopraffatto o ucciso. I suoi [del paziente] sogni e fantasie possono rivelare l'esistenza di una forza omicida dentro di lui [... che] minaccia di distruggere sia il paziente sia i suoi oggetti esterni". Rosenfeld collega le pulsioni di morte a parti della personalità che si organizzano come una banda mafiosa o nazista i cui membri si potenziano per rendere sempre più efficace il loro lavoro sadico, criminale e distruttivo. Nel mondo psicotico questa organizzazione è tesa a far sentire il paziente autosufficiente, contro ogni forma di relazione ed è la base del suo delirio. Ma al di là del singolo individuo, se noi osserviamo alcuni inquietanti episodi della vita sociale di ogni giorno ci accorgiamo di come operino queste organizzazioni e del potenziale distruttivo e di morte fisica e morale che esse veicolano.
Ne deriva che la finalità dell'analisi, nei casi di psicosi grave, è di aiutare il paziente a trovare e a salvare la parte sana e dipendente del Sé dalla sua posizione di ostaggio all'interno della struttura psicotica narcisistica, poiché essa è il collegamento essenziale con la relazione oggettuale positiva verso l'analista e il mondo". Soltanto verbalizzando questa operazione è possibile fargli capire quanto grande sia il pericolo rappresentato da questa "parte infantile onnipotente di se stesso che non solo lo spinge verso la morte, ma lo infantilizza, gli impedisce di crescere, tenendolo lontano dagli oggetti che potrebbero aiutarlo a conseguire la crescita e lo sviluppo".
Una grande lezione, non solo di psicopatologia, ma direi di antropologia generale basata su una concezione della mente umana in cui le pulsioni (l'amore, l'odio, la creatività e la distruttività) regolano tutta la vita relazionale e possono fare dell'uomo un individuo maturo, creativo e capace di amore o un povero soggetto isolato dal mondo, che non conosce l'amore ed è solo vittima della sua inesorabile distruttività psicotica.

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