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MASINO, PAOLA, Colloquio di notte
MARABINI, CLAUDIO, I sogni tornano
recensione di De Federicis, L., L'Indice 1994, n. 4
Quanto conta un padre e quanto regge l'autorità del padre alle ondate del cambiamento storico e nelle vicissitudini dell'esistenza? Su questo tema, che investe la trasmissione dei modelli di cultura, l'americano Paul Auster è esplicito nel segnalare l'urto fra il bisogno di sopravvivenza - e quindi di legami forti che stringano padri e figli in un rapporto di continuità - e il nostro convincimento radicale dell'azzerarsi di ogni identità e memoria, in "L'invenzione della solitudine" (Anabasi, Milano 1993, ed. orig. 1982), storia autobiografica di una lontananza dal padre che la morte di lui rende all'improvviso enigmatica e insopportabile. Franco Rella, recensendo Auster, lo ha ricondotto a una linea di pensiero sulla morte che ha radici profonde nella cultura occidentale e che oggi spesso si caratterizza come rifiuto, come resistenza contro la morte, l'unico evento tuttora e per sempre scandaloso; e si veda non solo Canetti, ma Julia Kristeva. Fra i romanzi italiani recenti un bel libro di resistenza (inquieta, disperata) è "I sogni tornano" di Claudio Marabini. Qui un figlio racconta la malattia e la morte del padre, seguendone le prevedibili scansioni, la diagnosi e le terapie e la lenta discesa ospedaliera, fino ai riti funebri e all'ultima elaborazione del lutto. Materia trita del vivere comune impasto quotidiano di banalità e strazio, che Marabini cala nella forma tipica del romanzo di memoria in cui un io narrante, vicinissimo all'autore, si fa testimone. Così questo scrittore faentino, che ha il merito di una lunga carriera senza clamori (otto romanzi pubblicati in circa vent'anni, oltre all'attività giornalistica e critica), persegue coerentemente un suo programma incentrato sull'incontro fra narrazione e vita. Raccontare la vita e la morte e raccontandole tentare di capirle: la pagina di Marabini è elegiaca, l'intonazione è affabile, ma l'obiettivo è alto. Nella stanza d'ospedale passano i visitatori, si chiacchiera, si rievoca l'aneddotica di una piccola Italia che il padre ha percorso su e giù con orgoglio e pazienza. Ferroviere il padre e ingegnere stradale il figlio; può nascerne un confronto fra vari tempi e spazi della modernità. L'ingegneria del figlio e le strade aperte non accendono però l'immaginazione come fa invece e intensamente la ferrovia, che ha rotaie e stazioni fisse di cui il romanziere accoglie le valenze metaforiche che, già sedimentate nella tradizione poetica e le analogie esistenziali culminanti al termine del viaggio nel binario morto della clinica "con l'erba che cresce e i vagoni che aspettano di andare alla demolizione". La colloquialità del racconto, la moralità, l'amoroso vagheggiamento di una storia minore e di una cultura ingenua (patriarcale, appunto), l'apertura al mistero che balugina nel buio dei sogni e ha bagliori di consolazione: siamo nella zona del romanzo italiano sostenuta dalla persistenza dei microcosmi familiari e ambientali, e in una sua ben riconoscibile diramazione volta allo scavo psicologico e alla ricerca di valori. Tocca forse al padre insegnarci a morire? Ma, per paradosso, l'idea più suggestiva che ispira il libro, il suo punto aguzzo, è il silenzio del padre. Nel flusso delle conversazioni correnti e leggere c'è infatti uno scoglio da evitare, la morte che sta capitando. Tacciono di questo, per pudore e mitezza, il padre e il figlio. Marabini lascia emergere, insondabile, la diversità della morte e ne concentra l'espressione' a me pare, non tanto nei messaggi che affida all'artificio letterario del sogno quanto in certi dettagli fisici ai quali con rara semplicità ed economia di linguaggio dà il massimo risalto: "Mio padre aprì gli occhi. Gli vidi, come non gli avevo visto mai, una pupilla blu scuro. Quel blu non gli apparteneva, il suo occhio era marrone". Si distanzia e sparisce in silenzio lo sguardo paterno. Resta il problema dello scrittore che è - sono parole di Marabini - "un continuo bisogno di significato e di qualcosa che 'rimanga' al di là della morte e della distruzione.
Escono ora, provenienti da altri anni e altro gusto, alcuni racconti recuperati di Paola Masino (1908-89), compagna di Bontempelli, amica di Pirandello, e ardita scrittrice in proprio. La Masino non è interessata alla registrazione minuta dell'esperienza, bensì alla visionarietà del racconto-parabola che raffigura scenari fuori dei tempo e solleva domande metafisiche. Nella raccolta "Colloquio di notte" quindici pezzi presentati da Maria Rosa Cutrufelli e ben introdotti e curati da Maria Vittoria Vittori, compaiono due fiabe crudeli, "Fame" del 1933 e "Quarto comandamento" del 1943. Sullo sfondo di remoti paesaggi agropastorali, percossi da un'inusitata violenza della natura, padri e figli consumano il loro destino di possesso reciproco assumendosi i compiti estremi; in "Quarto comandamento" il pastore Laio accetta la sottomissione a un vecchio e il dovere di assisterlo e accompagnarlo alla morte, in "Fame" un pover'uomo accetta di ammazzare i piccoli figli che lo chiedono, anzi lo pretendono. Paola Masino, attingendo a un ricco deposito simbolico e mitico, sceglie di rappresentare modelli arcaici e un mondo di poteri ancora riconosciuti e sacralmente ordinati che implica però sussulti di protesta, grida di dolore, trasgressioni. E contro il padre quale maggior trasgressione che farsi uccidere da lui?
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