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E' una raccolta poetica capace di sorprendere per l’audacia con cui i versi si intrecciano, narrando il multiforme mondo di un’anima nel dolore di una perdita. Una raccolta importante, nella quale l’autore, coinvolto in prima persona nell’esperienza della morte della madre, esprime il dolore che l’assenza può ingenerare nella vita quotidiana: “Poi si parte dal corpo, verso / un altro corpo. Terre diventano altre / terre, parole improvvisamente ci / dimenticano; sdoppiati o accompagnati / da altre voci, da altri occhi, in / noi stessi: nessuno può cantare / veramente questo passaggio […]”. Nella memoria si ritrovano le radici dalle quali ha origine la linfa vitale che ha nutrito e continua a nutrire la propria esistenza; talvolta è la necessità di un ritorno al principio a portare avanti la vita e a rendere capaci del lacerante distacco dagli affetti più cari. Aglieco esprime sentimenti universali, dentro i quali ogni persona può ritrovarsi: “[…] abbiamo sentito tutti quella brezza / custodita nel ricordo, fermàti in qualche / passaggio della nostra mente / […]”.
Recensioni
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L'uomo che si accinga ad attraversare uno dei dolori più grandi della propria esistenza la morte della madre è uomo predisposto alla costruzione di una cattedrale, che nel deserto apparirà, grazie a una curiosa metamorfosi, come un'acutissima vox clamantis. Infatti, il sito cui allude Sebastiano Aglieco nel suo ultimo libro è lo spazio elettivo nel quale l'uomo può soppesare l'enormità della sua distruzione dinastica. Si legge nelle pagine di questa raccolta di versi un senso di tragedia greca, il quale, secondo la dinamica della sottrazione, giunge a eliminare i colori in eccesso, rendendo perciò la location livellata su toni grigi e foschi, quasi che la città narrata debba essere la polis dei morti. La vivezza del pentagramma è molto spesso selvatica, antipoetica nello stile dimesso, seppure raffinato. L'autore non si preoccupa di mettere in vetrina perizie estetiche ma è tutto inteso alla rappresentazione del ricordo di ciò che è stato. La madre, mai nominata direttamente, sfonda la barriera dei sensi grazie ai quadri geografici di una Sicilia occulta, dolorosa come poteva esserlo per Verga, nonostante i paesaggi industriali degli stabilimenti chimici della costa sudorientale. Una Gea che, così dipinta, appare con maggiore evidenza nella propria, fisica natura. Essa viene investita dalle anime dei morti, le quali, interagendo con le intenzioni dei vivi, creano un pathos particolarmente efficace. Il poeta dice: "Dobbiamo sottrarre le linee / e giungere all'inizio; quando / il progetto era solo un'idea
", a indicare il desiderio di una rigenerazione delle radici stesse. Piace, al di là di ogni conclusione, immaginare Aglieco nell'atto di uscire dalla casa materna (fatta di latte, carne e sangue) con addosso gli indumenti della serenità olimpica; quasi dovesse condividere il futuro con gli spettri antenati di una Pantalica senza tempo.
Gianfranco Fabbri
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