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Villaggi - John Updike - copertina

Descrizione


Pioniere dell'informatica in pensione, Owen vive con la seconda moglie in Massachusetts, ma la sua vita è partita da una cittadina della Pennsylvania e si è fermata a lungo in un paese del Connecticut. Ed è proprio attraverso questi tre luoghi che Updike sceglie di raccontare la vita di Owen: dal primo amore, con relativa iniziazione sessuale, fino al matrimonio, che gli ha dato quattro figli e gli ha fatto scoprire i piaceri segreti del tradimento, tanto da renderlo un "adultero seriale". E infine la separazione e il secondo matrimonio, con la ex moglie di un pastore protestante, e la pensione.
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Dettagli

2007
301 p., Brossura
9788882468750

Valutazioni e recensioni

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Reds
Recensioni: 4/5

Sì è vero che spesso, sfogliando le pagine, sembra di ritornare alle atmosfere di "Coppie", ma, come allora, Updike possiede una incredibile capacità di scandagliare la persona umana nel suo essere relazionale, di portare in superficie quei sentieri più reconditi dell'animo che tutti noi, anche incosciamente, ci troviamo a percorrere. E lo fa senza pruderie, senza autocompiacimento, con stile asciutto e sardonico, illuminando nel contempo il tessuto sociale di riferimento - allora il '68, oggi il sogno americano (attraverso la nascita e l'evoluzione dell'informatica) vissuto nella periferia extraurbana. E quelle etichette spesso banalmente elaborate come difesa - rapporto materno, matrimonio, famiglia, sesso, adulterio - qui trascendono a rappresentare tessere di un unico limpido ed onesto mosaico della vita umana, aspetti reali e paradigmatici dell'esistere quotidiano.

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f.
Recensioni: 4/5

Updike ed i suoi Occhi Digitali. Romanzo che come tutti gli altri suoi da me letti sfiora il capolavoro ma non è un capolavoro; boh, non so perché, forse sarà colpa di quel suo sguardo freddissimo – mondato da impurità – e straordinario, che gli permette di fare lavori come questo: privo di sbavature, nitido, chiaro, perfetto; frigido direi, anzi da figlio unico, direi. Eppure la consapevolezza moderna che pervade Villaggi raggiunge cinque stelline, se cinque stelline è il massimo. Il protagonista è un ingegnere informatico e la sua vicenda esistenziale scorre parallela alla storia dei computer (dai tonti bestioni degli anni quaranta, fino ad arrivare a quei vispi furetti che popolano le nostre case). La vita affettiva del protagonista è sempre, a me pare, dominata da un calcolo, un calcolo ingenuo (e quindi errato), innocente e tuttavia pur sempre un calcolo: un'operazione cioè tutta tesa preservare, a rischiare il meno possibile. Mi pare sia un buon romanzo perché è in grado di lasciare intuire nel modo giusto ( grazie alla sua sensibilità classica) che i computer sono i nostri veri figli: delle cose semivive capaci d’individuare la via più indolore, meno confusa e dispersiva. Sono le nostre prime rozze creazioni che preannunciano i prodigi che stanno dietro l’angolo del tempo. E se la nostra lentissima, snervante, storia dell’evoluzione comincia con delle scimmie che un giorno sono scese dall’albero, passa per noi – impacciati dal peso di vecchi concetti come può essere quello di dio, e immersi fino alle ginocchia, o forse più su, nel nulla – e continua dirigendosi verso una forma di umano capace di computare le emozioni, le irrazionalità e contenerle, azzerarle, addormentarle, vigilarle. E l’essere umano, la sensibilità umanista che ha permesso ad Updike – l’ultimo vero erede di Vermeer – di scrivere questo libro apparirà come cosa antica (come Eraclito per noi oggi): pensieri capaci di emanare un misterioso e lacerante bagliore di consapevolezza agli abitanti dei villaggi del futruro.

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Libetta
Recensioni: 3/5

Dopo aver premesso ed attratto con il protagonista da giovane ed averci girato intorno con una trama apparentemente lontana ed itinerante negli anni, dalla metà il libro rientra prepotentemente in Coppie, quasi un remake di quelle faccende sessuali infelici e disincantate del '68 partendo da legami tra sposati altrettanto rovinati ed inquieti e con le somiglianti premesse di infelicità atavica, alcol e figli piccoli ma con nuove tipologie di donne e di orgasmi presentati con accuratezza corporea e ginecologica. Femmine messe male dal lato onestà ma con delle doti compensative sufficienti ad un'infatuazione dopo l'altra e la storia del pc (considerato che un lavoro il protagonista doveva pur averlo) dagli albori fino ai tempi recenti sembra quasi un supporto, forse una giustificazione del revival nella parte centrale che, considerata l'enfasi pare, come allora, di massimo e certo interesse per Updike.

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Voce della critica

Questo romanzo di John Updike è siglato da alcuni versi di Matthew Arnold, tratti da Dover Beach, che sintetizzano alla perfezione la disincantata, amara e sottilmente ironica scoperta del mondo da parte di due innamorati: "Amore mio, siamo tra noi sinceri! / Ché il mondo aperto al nostro sguardo / come un paese dei sogni, / ricco, meraviglioso e nuovo, / non offre gioia, amore e luce, / né certezza, né pace, né conforto al dolore". Un analogo contrasto si ricava dal percorso tracciato dalla geografia memoriale del protagonista, Owen Mackenzie, che si dispiega esplodendo poco dopo l'alba, al risveglio, in quella fase della giornata in cui i fili della memoria, dei sogni, delle sensazioni fisiche si intrecciano e si confondono. A indurre questo assonnato settantenne, matematico e geniale informatico in pensione, a ripercorrere con la memoria i "villaggi" del proprio passato – piccoli centri americani tra Pennsylvania, Connecticut e Massachusset dove ha trascorso la propria vita – sono le sensazioni fisiche lasciate dall'attuale moglie Julia sul suo corpo, assieme al riemergere di sogni inevitabilmente refrattari a ogni divisione tra passato e presente, ma anche l'urgenza della realtà stessa, che è "lì che aspetta" – "Il mondo reale, una tigre che il suo sogno non ha scalfito".
Dagli anni trenta a oggi, Owen rivive le trasformazioni sociali e la storia di quasi un secolo filtrandole attraverso le proprie esperienze amorose, a cominciare da quelle con la prima fidanzata delle superiori, Elsie, fino a quelle vissute con la moglie perduta Phyllis, a loro volta scandite da una fitta serie di tradimenti, e con l'attuale Julia. Fin dall'inizio avvertiamo una curiosa malinconia, un oscuro e indefinibile desiderio che provengono dal senso di peccato – collegato principalmente al sesso e alla morte, e ancor più al suicidio – inculcato dalla religione puritana dell'America di quegli anni. Quando "soltanto le dee di marmo o madre Eva in intricate incisioni" potevano sfoggiare la nudità "alla luce del giorno". Il perentorio divieto ricevuto da Owen da parte della madre ("Non toccare!") durante una passeggiata, nel vedere a terra "una cosa bianco latte simile a un palloncino sgonfio", dall'aspetto "specioso del giocattolo", si riaffaccia spesso nel romanzo, come un simbolico marchio a fuoco che tiene all'erta il personaggio, tra senso di colpa e gusto innocente della trasgressione e della scoperta, per riemergere implicitamente anche quando gli anni sessanta e settanta hanno spazzato via ogni pudore.
Il mondo che si offre allo sguardo impudico di Owen e dei lettori di questo romanzo – reso in italiano con precisa e incisiva efficacia, soprattutto nelle molte sfaccettature ironiche del linguaggio, da Silvia Piraccini, a cui era già stata affidata la traduzione del Terrorista (Guanda, 2007) – è quindi tutt'altro che banale, ma sempre sottilmente contraddittorio e ossimorico come nei versi del poeta inglese, descritto e interrogato con cinismo e paradossalità proprio quando più sembrerebbe offrirsi in apparenze sdolcinate e romantiche. "I villaggi – ci dice il personaggio – sono intessuti di segreti, di verità che è meglio lasciare inespresse, di case con meno finestre che pareti opache". Un mondo poco trasparente, quindi, da indagarsi con estrema, anatomica minuziosità. Qualcosa che non tiene, una "maglia rotta", uno stimolo, un sintomo bucano, per così dire, il fitto tessuto della realtà per lasciare entrare l'occhio del personaggio.
Il fatto che la lente d'ingrandimento di questa indagine sia il rapporto con le donne, e in particolare il sesso, non ha nulla di morboso o di volgare. Il nostro personaggio non è soltanto un distratto e accondiscendente traditore, ma è anche un acutissimo informatico, un "alchimista" che fin dagli anni dell'università e del Mit ha seguito l'evolversi del progresso tecnologico della nostra civiltà. Discendendo nell'opacità dei suoi "villaggi" e immergendosi con la più sfacciata disinvoltura in queste storie erotiche di conoscenza e di tradimento, Owen sa bene che l'interrogazione del sesso non è diversa dalle domande che si rivolgono alla natura, al mondo, oppure ai numeri, alle leggi di un computer. Non si può rispondere, ma soltanto arrendersi a un mistero buffo, meschino, ma straordinariamente affascinante. "È una cosa folle essere vivi", conclude. "I villaggi esistono per moderare questa follia – per nasconderla ai bambini, imbottigliata a nostro uso e consumo, ammorbidire in abitudini i suoi imperativi, proteggerci dal buio fuori e dal buio dentro". Chiara Lombardi

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Conosci l'autore

John Updike

1932, Shilligton, Pennsylvania

Scrittore statunitense. Entrato appena ventenne nella redazione del «New Yorker», vi pubblicò poesie (raccolte poi in Pali del telefono, The telephone poles, 1963) e racconti (La stessa porta, The same door, 1959) che della rivista newyorchese hanno la cifra stilistica: il nitido funambolismo verbale, i toni dell’ironia e della nostalgia. Il romanzo breve Festa all’ospizio (The poorhouse fair, 1959) e i felicissimi racconti di Le piume del piccione (Pigeon feathers, 1962) rivelano gli sviluppi di una scrittura personale, delicata e nervosa, tesa a rappresentare le lacerazioni del quotidiano, le epifanie dello sguardo infantile, le trasparenze della memoria. Frattanto, in Corri Coniglio (Rabbit run, 1960 - tradotto da Bruno Oddera per Mondadori nel 1961), il suo...

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