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scheda di Beddini, A., L'Indice 1990, n. 4
Nella dissertazione - ma il curatore propone, su base filologica, che questo sia considerato un "altro" testo, primo e in più sensi presupposto di tutta l'opera filosofica - Kierkegaard considera il concetto di ironia in due momenti distinti. La prima sezione guarda all'ironia socratica e al pensiero greco, attraverso cui si dà per la prima volta sulla scena del mondo l' "affermazione della soggettività". Il romanticismo - argomento della seconda sezione - conosce un nuovo concetto di ironia, conforme al potenziamento del soggetto determinato dalla filosofia della riflessione. L'ironia romantica è contraddistinta, seppure con sfumature diverse presso Fichte, Schlegel, Tieck e Solger, da una vertigine della soggettività che, nella sua ansia di distruggere la realtà, finisce col produrre un movimento riflesso di autoannientamento, un vortice da cui viene risucchiata ogni sua consistenza. Nella critica all'ironista romantico, emblematicamente rappresentato dal poeta che cerca di auto-crearsi Kierkegaard si appoggia spesso, e in un primo momento in modo sconcertante per il lettore, a Hegel. Via via, però, emerge la forza viva del testo che sta proprio nell'ironizzare con scintillante rigore concettuale e leggerezza stilistica, sulla stessa citazione, sulla ragionevolezza della argomentazione. L'accusa a Hegel che traluce sullo sfondo è proprio quella di non aver "ironizzato" sul sistema di non averne colto la limitatezza. C'è dunque, oltre il romanticismo un modo esistenzialmente positivo dell'ironia, che è nella capacità di sapersi limitata, di dominarsi: la sua verità sta nel consegnare religiosamente la vita dell'uomo alla sua infinità interiore, alla possibilità non di crearsi, ma di essere creata poeticamente.
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