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Trilobiti. I dodici racconti di un grande scrittore - Breece D'J Pancake - copertina
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Trilobiti. I dodici racconti di un grande scrittore - Breece D'J Pancake - copertina
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Descrizione


Breece D'J Pancake muore suicida nel 1979 a 26 anni. Quando, quattro anni dopo in America esce la sua unica raccolta di racconti, la reazione è unanime: non si tratta soltanto di un caso letterario, ma di un autore nato classico. Il libro raccoglie dodici racconti, spietati, precisi e delicati. Essere umani, animali e paesaggi della regione depressa dei monti Apalachi, in cui Pancake era nato e cresciuto, si trasformano nelle sue mani in vite esemplari, vere per tutti, in tutti i tempi.
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Dettagli

2005
186 p., Brossura
9788876380099

Valutazioni e recensioni

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pedro
Recensioni: 5/5

Racconti di cui vi ricorderete nitidamente la trama anche tra dieci anni. Potente.

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Bez
Recensioni: 5/5

Vengo a conoscenza di Pancake alcuni mesi fa. A intuito, ma sarebbe più onesto ammettere che mi sono fidato di Vonnegut e Waits, lo compro subito. Poi sta lì a riposare, perché ho certi Grandi da dover riaffrontare. Ed ecco che, saturo di artifici, meta-letteratura, esistenzialismi e sublimi vari, mi affaccio sulle realtà scarne, gelide, rurali. Sulle prime sono irritato dalla prosopopea che precede certi “eventi” editoriali. Poi dimentico, man mano che procedo nei racconti, e il sangue mi si va congelando. “Sento che la mia paura si allontana in cerchi concentrici, attraverso il tempo, per un milioni di anni”. Questa è la prima immagine, annichilente, che mi illumina sulla percezione spaziale di Pancake. L’inerzia. Poi la morte del padre, periodica, ossessiva. Poi ancora, mia, la coscienza che si tratti di un’opera prima e – ahimè – ultima.

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Luca Martini
Recensioni: 5/5

Sarò breve, perchè c'è ben poco da dire: un capolavoro assoluto della letteratura americana, dodici indimenticabili, sconvolgenti racconti che ci fanno solo intuire la grandezza di un autore morto così giovane. Da leggere e rileggere, e rileggere, e rileggere.....

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Recensioni

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Voce della critica

I racconti di Breece D'J Pancake arrivano in Italia molti anni dopo la prima pubblicazione americana del 1983. A quella data risalgono la recensione della "Nyt Book Review" in cui Joyce Carol Oates paragonava il debutto del giovane scrittore a quello di Hemingway, nonché le lodi di Kurt Vonnegut, che in una lettera a John Casey descriveva Pancake come "il più grande scrittore, il più sincero che io abbia mai letto. Temo però che questo gli abbia dato troppo dolore, non c'è nessun divertimento a essere così bravo".
Il dolore di cui parla Vonnegut è quello che aveva spinto Pancake a suicidarsi nel 1979, all'età di ventisei anni, quattro prima della pubblicazione di quei dodici racconti che rimangono la sua unica eredità letteraria. Oggi verrebbe da chiedersi se le critiche entusiastiche con cui venne accolta l'opera di Pancake siano del tutto meritate, o se non rappresentino piuttosto un omaggio alle potenzialità di uno scrittore sicuramente dotato ma ancora acerbo, che la personalità enigmatica e il suicidio in giovane età hanno trasformato, come recita la prefazione italiana, in una "figura a metà strada tra un eroe esistenzialista e Kurt Cobain".
In realtà sono vere entrambe le cose. I dodici racconti, ambientati nelle desolate zone rurali del West Virginia, nella regione degli Appalachi, sono scritti con la mano sicura dello scrittore di talento, e la loro qualità disomogenea dipende solo dal fatto che l'autore non ebbe la possibilità di riorganizzare il proprio materiale.
I protagonisti delle storie di Pancake sono camionisti, minatori, ex carcerati, benzinai, pugili falliti, membri di un sottoproletariato rurale che lotta per rimanere a galla in un ambiente ostile. Si tratta di personaggi spesso trascurati dalla letteratura americana contemporanea: i bianchi delle campagne, poveri e ignoranti; uomini (le donne sono quasi sempre figure piatte, ridotte al ruolo di comprimarie) cresciuti all'interno di una comunità ristretta, in un isolamento emotivo che li spinge alla deriva fra desideri mai realizzati, con l'unica compagnia di ricordi e persone assenti, morte o lontane. Da una parte respingono il duro stile di vita dei genitori, ma nello stesso tempo sono bloccati dalla devozione alla famiglia e alla comunità, dall'attaccamento a un'identità che solo il luogo d'origine può offrire ("Sono nato qui e non ho mai voluto andarmene davvero", dice Colly, il protagonista di Trilobiti ). Così la decisione se andarsene o restare si rivela impossibile da prendere, perché i personaggi non possono sfuggire al passato, non hanno possibilità di scelta (e questo è uno dei motivi dell'originalità dello scrittore nel panorama letterario americano), nessuna speranza di un lieto fine o di un futuro migliore. In loro c'è solo una specie di rassegnata, amara consapevolezza dell'infelicità a cui sono destinati.
Il profondo legame fra luogo e identità rende quasi impossibile separare i personaggi dal territorio: il paesaggio devastato, grigio e nebbioso del West Virginia non è soltanto uno sfondo, ma un fattore imprescindibile della personalità. I personaggi di Pancake sono quello che sono per via del luogo dove sono nati; le loro identità sono forgiate dalle montagne circostanti, che creano una prigione di aspettative, sogni frustrati e risentimento. In questo panorama così uniformemente desolato, tanto da far pensare a una specie di "espressionismo per sottrazione" sia pur all'interno di una scelta tematica di innegabile realismo, lo stile si adatta perfettamente al contenuto: le storie più riuscite, come Trilobiti , Cava , Cacciatori di volpi , L'attaccabrighe , Che ne sarà del legno secco? sono compatte, cariche di tensione, scritte in una lingua che riesce a essere scarna e grezza ma anche elegante e poetica (e che il traduttore fa del suo meglio per ricreare, cimentandosi in un'impresa certamente non facile), con una costante e prodigiosa attenzione per i dettagli.
Trilobiti , forse il racconto migliore, venne pubblicato nel 1977 dalla rivista "Atlantic Monthly". Fu in quell'occasione che Pancake decise di adottare le strane iniziali D'J (D come Dexter e J come John, il nome che aveva scelto dopo la conversione al cattolicesimo) che gli erano state attribuite per errore dalla rivista. Protagonista del racconto è un giovane che ha da poco perduto il padre; sua madre sta per vendere la fattoria e la sua fidanzata è andata al college e ha trovato un nuovo ragazzo. Lei, Ginny, è una delle poche persone che sono riuscite ad andarsene, a sfuggire al tempo immobile; e infatti ha "fianchi e gambe come quelli che salgono le scalette degli aerei". Lui, Colly, ferma il trattore in mezzo ai campi avvizziti che presto sua madre venderà: "Mi restano solo il letto del torrente e gli animali di pietra che colleziono. Sbatto le palpebre e respiro. Mio padre è una nuvola color kaki tra i cespugli di canne e Ginny nient'altro che un odore amaro tra i rovi di more su per il crinale".
L'incomunicabilità, la solitudine, la miseria rendono difficili i rapporti fra le persone, che spesso sono impregnati di violenza. La violenza è esplicita in molte scene (come in L'attaccabrighe , dove un ex pugile professionista, per guadagnare qualche soldo, combatte contro un uomo che sicuramente lo ucciderà: "Skeevy sentì le ossa sottili della sua mascella fracassarsi e il sapore del sangue. (...) Voleva cavargli l'occhio e saltarci sopra, sentire la sua pressione che cresceva sotto i piedi... pof"), mentre altrove rimane sospesa nell'aria come una minaccia incipiente.
Pancake sente il fascino della violenza, a cui però attribuisce un prezzo: quello dell'isolamento, della solitudine, dell'alienazione. Le sue storie migliori sono pervase da una sorta di codice morale, di senso dell'onore, che le salva dal nichilismo assoluto e mette ancora più in risalto l'unicità di questo giovane scrittore di soli dodici racconti.

Silvia Pareschi

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