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La società della mente - Marvin Minsky - copertina
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società della mente

Descrizione


Per anni, l’Intelligenza Artificiale, a cui oggi si dedicano milioni di dollari per la ricerca e l’energia intellettuale di migliaia di scienziati, è stata una sorta di chimera nella mente di un uomo: Marvin Minsky. A lui in primo luogo si deve, infatti, se questa disciplina ha assunto una fisionomia, si è distaccata dal resto della ricerca, e infine, se ha attratto così tanti cervelli. Ma tutto questo si manifestava, per anni, attraverso brevi e densissimi articoli. Mentre, per altrettanti anni, correva voce che Minsky «stava preparando un libro», il quale naturalmente sarebbe stato il libro. E un giorno il libro si manifestò: è La società della mente.
Qui Minsky, con gesto che è tipico dei grandi scienziati della mente, non vuole accettare nulla per inteso. Occorre partire veramente da zero, se si vuole tentare una risposta alla temibile domanda che egli pone fin dalle prime righe: «Come è possibile che il cervello, in apparenza così solido, sia il supporto di cose tanto impalpabili come i pensieri?». Inutile dire che, se l’inizio del libro è semplicissimo, alla fine ci troveremo avvolti da una rete di pensieri altamente complessa, in obbedienza al sapiente precetto di Einstein: «Ogni cosa deve essere resa quanto più semplice possibile, ma non ancora più semplice». Così, in questa rete, riconosceremo i famosi «frames» che Minsky aveva già introdotto in anni passati, ma anche (e questo è una sorpresa) discussioni che coinvolgono Freud o Piaget. Alla fine, ci accorgeremo che questo libro tiene fede, sino ai limiti di ciò che oggi si può dire nella scienza, alla sua scommessa iniziale: render conto di come funziona il cervello, questa «vasta società organizzata», e di conseguenza la nostra mente, se è vero, come Minsky afferma, che «la mente è semplicemente quello che fa il cervello».

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Dettagli

4
1989
17 aprile 1989
674 p.
9788845906657

Voce della critica


(recensione pubblicata per l'edizione del 1989)
recensione di Parisi, D., L'Indice 1989, n. 9

Insieme a Herbert Simon, premio Nobel per l'economia, e a John McCarthy, l'inventore del linguaggio di programmazione Lisp, Marvin Minsky, professore al Mit di Boston, è considerato uno dei padri dell'intelligenza artificiale, una disciplina che si pone come obiettivo di programmare i calcolatori elettronici in modo che si dimostrino capaci di comportamenti intelligenti simili a quelli umani. Eppure, come padre, Minsky non è detto che si riconosca completamente con quello che questa sua figlia è diventata. Come è abbastanza naturale per una disciplina che esiste ormai da qualche decennio, l'intelligenza artificiale oggi si articola in una varietà di approcci, di modi diversi di vedere e di fare le cose. Ma quelli che stanno diventando dominanti non sembrano essere i più vicini al modo di lavorare e di pensare di Minsky.
C'è innanzitutto la distinzione tra un modo di procedere che è stato chiamato 'scruffy' (arruffato, approssimativo, pasticcione) e un modo diverso chiamato 'neat' (netto, pulito). Chi è 'scruffy' si butta sulle idee nuove senza preoccuparsi molto se sono chiare, rigorose e ben fondate, e se si tratta di tradurre una teoria in un programma che giri su un calcolatore, per lui l'importante è ottenere il risultato, quale che sia il metodo seguito. Chi invece è 'neat' dà un gran peso ai principi, alla sistematicità, alla chiarezza e alla generalità. Poi c'è la questione della logica. La discussione sulla logica e sul peso che deve avere un intelligenza artificiale è oggi molto aperta. I logicisti vedono nella logica, nel suo rigore e nella sua generalità, il solo modo per l'intelligenza artificiale di darsi delle basi sistematiche, che sono necessarie per una disciplina che voglia chiamarsi scientifica. Si consideri che l'analisi quantitativa e matematica, che è tradizionalmente alla base del rigore della scienza, è abbastanza estranea all'impostazione dell'intelligenza artificiale. Per evitare quindi il rischio che questa disciplina appaia soltanto come un insieme di metodi pratici e di soluzioni empiriche, non c'è che da chiedere aiuto alla logica, ai suoi modi rigorosi di rappresentare la conoscenza e di produrre deduzioni e ragionamenti. Invece gli antologicisti non sono convinti che la logica debba costituire l'ossatura teorica dell'intelligenza artificiale, perché è troppo rigida, limitata, e dà l'impressione di cogliere solo una parte dell'intelligenza dell'uomo.
In terzo luogo, c'è la distinzione tra proceduralisti e asserzionisti. I proceduralisti hanno una visione più attiva dell'intelligenza. L'intelligenza per loro è disporre di procedure efficaci e efficienti per risolvere problemi e un programma di calcolatore è una procedura che garantisce certi risultati, a meno che non contenga errori. Invece gli asserzionisti ritengono che l'essenziale per l'intelligenza sia avere tante conoscenze ben formulate, coerenti e complete. La soluzione di un problema viene fuori automaticamente una volta che si è capito quali conoscenze applicare. E infine, quarta e ultima differenziazione, all'interno dell'intelligenza artificiale c'è chi da più peso al fatto che le macchine intelligenti che vengono costruite rassomiglino a noi esseri umani e quindi costituiscano dei modelli per farci capire meglio come è fatta e come funziona la nostra intelligenza, e chi invece si preoccupa soprattutto che le macchine sappiano risolvere problemi complicati e quindi siano utili sul piano pratico e abbiano un valore commerciale, anche se la loro intelligenza ha poco a che fare con la nostra.
Minsky nella sua ormai lunga carriera ha sempre avuto la tendenza ad essere piuttosto uno 'scruffy', uno poco favorevole alla logica come toccasana per i problemi dell'intelligenza artificiale, un proceduralista, e uno abbastanza interessato all'intelligenza naturale e al valore conoscitivo e non solo tecnologico dell'intelligenza artificiale - tutte posizioni che con il passare degli anni, e con il desiderio evidente di questa disciplina di dimostrarsi rigorosa, attendibile, pratica, e commercialmente appetibile, tendono a diventare sempre più di minoranza. "La società della mente" è Marvin Minsky in una versione abbastanza estrema. Minsky si rifiuta esplicitamente di scrivere un libro sistematico e raccoglie, in circa 250 capitoletti di due-tre pagine ognuno, una serie di idee che si richiamano l'una con l'altra e sono raccolte in temi più generali (ad esempio "emozione", "sviluppo", "ragionamento", "coscienza e memoria", ecc.), ma sono certo molto lontane dal costituire un trattato scientifico. Quello che è curioso è che l'autore giustifica con l'argomento trattato dal libro il fatto che il libro sia così poco sistematico. A suo avviso, il modo migliore di considerare la mente è di vederla come una società composta da una varietà di individui che cooperano o magari competono tra di loro per produrre le prestazioni, spesso intelligenti, che sono caratteristiche della mente dell'uomo. Questa società è organizzata gerarchicamente nel senso che è fatta di sottosocietà, di sottogruppi sempre più piccoli e con compiti sempre più limitati, fino ad arrivare agli individui singoli che hanno compiti molto limitati e anche pochissima intelligenza. Questo è un punto essenziale per la teoria di Minsky che vuole arrivare a spiegare il comportamento intelligente partendo da entità elementari che di per sé non sono intelligenti. In certi punti, per dare un significato concreto a queste entità elementari, Minsky fa riferimento ai neuroni, alle cellule nervose relativamente semplici che compongono in decine di miliardi il sistema nervoso di un essere umano e dalle cui interazioni complesse emerge, in un qualche modo, la nostra intelligenza. Ma qui ci sono le prime contraddizioni. Da un lato, fedele in questo a uno dei principi più saldi dell'intelligenza artificiale, Minsky ritiene che l'intelligenza si possa capire e riprodurre su una macchina ignorando la struttura e il modo di funzionare dell'organo fisico, il cervello, che negli animali, incluso l'uomo, ne costituisce il supporto materiale. Quindi, i riferimenti ai neuroni, al cervello, e in genere alla biologia, che pure ogni tanto compaiono nel suo libro, svolgono in realtà un ruolo marginale nella elaborazione delle idee che Minsky pensa possano essere utili per studiare l'intelligenza. In secondo luogo, parlare di "società" della mente presuppone che gli individui che compongono questa società siano entità dotate di una maggiore o minore intelligenza, come accade per le società umane e anche per quelle animali. Ma questo è in contraddizione con la tesi dell'autore secondo cui le entità di base che costituiscono la società della mente non debbono essere intelligenti. In ogni caso, non è chiaro quanto la metafora della società possa risultare realmente utile per analizzare la mente, dato che se la mente è qualcosa di complicato e di ancora poco conosciuto scientificamente, la società sembra essere qualcosa di ancora più complicato e su cui la scienza ha gettato finora forse ancora meno luce.
Per Minsky, tuttavia, dato che la mente è una società fatta da tante entità in complesse interazioni tra di loro, il modo più appropriato di parlarne è quello di proporre una collezione di idee, ipotesi, speculazioni, indicandone nella misura del possibile le relazioni reciproche. Minsky è colpito dalla complessità della mente e del cervello, è convinto che la psicologia e le neuroscienze abbiano capito finora molto poco sia dell'una che dell'altro, e ne conclude che per il momento sulla mente non si possa che speculare, avanzare ipotesi un po' avventurose, verificandole fondamentalmente con la sola intuizione, fino ad arrivare a pensare, scetticamente, che forse quella adottata nel suo libro è "l'unica maniera realistica peri riflettere sulla psicologia, perché la mente di ciascuno si sviluppa come una immensa macchina che cresce in un modo un po' diverso da tutte le altre" (p. 638).
Per fortuna l'autore è una persona molto intelligente e con una mente creativa. Il libro contiene così parecchie idee interessanti e originali, anche se spesso un po' buttate lì (un esempio scelto quasi a caso è l'idea che dalla pubertà in poi cessa in genere la capacità di imparare l'accento di una lingua straniera perché altrimenti gli adulti imparerebbero i modi di parlare dei bambini). Minsky è anche l'autore di alcune idee che si sono affermate largamente in intelligenza artificiale e nella scienza cognitiva, come quella di 'frame', e nel libro ne propone molte altre sperando che influenzino nello stesso modo le ricerche di altri ricercatori (Minsky spinge la sua intelligenza fino al punto di difendere il fatto che uno presenti un'idea in modo vago - come gli è stato rimproverato per il concetto di 'frame' - perché in questo modo spinge altri ricercatori a interpretarla e a precisarla, mentre se un'idea parte come già precisa, gli altri non possono che accettarla o confutarla). Un 'frame' è "una sorta di scheletro, qualcosa che somiglia un po' a un modulo di domanda, con spazi e caselle da riempire" (p. 478). Questi spazi da riempire vengono chiamati "terminali". Il 'frame' della sedia ha un terminale per il sedile, uno per lo schienale e uno per le gambe. Nei casi particolari, di fronte a sedie particolari, ogni terminale si riempie nel modo opportuno. Ad esempio, il sedile della mia sedia è rotondo e imbottito. Ma i terminali si riempiono anche "per difetto", senza informazioni particolari, ma limitandosi a riflettere i casi più comuni o tipici. Ad esempio, il terminale delle gambe, se non ho informazioni su sedie specifiche, si riempie "per difetto" con il numero quattro (quattro gambe).
La conoscenza contenuta in una mente può essere rappresentata mediante un gran numero di 'frames' che si organizzano tra di loro in strutture complesse e che possono essere usati per interpretare quello che ci dicono i nostri sensi, per comprendere le frasi e i discorsi altrui, per guidare le nostre azioni e il modo con cui affrontiamo e risolviamo i problemi. Nel suo nuovo libro Minsky estende la nozione di 'frame' in vari modi ("uniframe", "trans-frame", "schiere di frames", ecc.), discute una teoria della memoria e del ricordarsi già presentata qualche anno fa (la teoria delle "linee K"), e propone una serie di nuovi concetti, ad esempio per parlare del linguaggio, che però non sempre sono nuovi se sono interessanti e non sempre sono interessanti se sono nuovi. Visto il tono del libro, il suo autore si sente libero di spaziare anche al di fuori dei tradizionali argomenti della scienza cognitiva (pensiero, linguaggio, conoscenza, percezione, memoria, ecc.) per occuparsi di cose più sfuggenti come l'individualità, il sé, le emozioni, l'umorismo, l'intuizione e l'introspezione. I brevi capitoli sono quasi sempre interessanti e divertenti, scritti con semplicità (e ben tradotti in italiano) dato che il libro, sebbene intellettualmente così ricco, vuole risultare utile e utilizzabile sia per gli specialisti che per coloro che non lo sono - e nel complesso ci riesce.
Come libro "La società della mente" può essere preso in due modi diversi: come il prodotto un po' particolare di uno scienziato un po' particolare, oppure come un modo di fare intelligenza artificiale, un modo che, come si è detto all'inizio, si discosta non solo nella forma ma anche nella sostanza dal modo che oggi sembra predominante. Esso in sostanza solleva la seguente domanda: è possibile oggi fare intelligenza artificiale senza affidarsi alla logica formale quale apparato di concetti che dia una base sistematica e rigorosa alla disciplina, e senza porsi unicamente obiettivi di efficacia pratica e tecnologica ma cercando anche, seriamente, di capire come funziona l'intelligenza reale, quella biologica, mediante le nostre simulazioni di comportamenti intelligenti sul calcolatore? Il libro di Minsky fa venire dei dubbi che questo sia possibile - se la disciplina "intelligenza artificiale" deve essere qualcosa di più, nella migliore delle ipotesi, di un meccanismo di generazione di idee brillanti e suggestive. Nonostante la sua notevole apertura intellettuale, Minsky rimane legato ad alcune assunzioni e atteggiamenti di fondo dell'intelligenza artificiale e della scienza cognitiva che inevitabilmente tendono a fare dell'intelligenza artificiale, basata sulla logica e intesa primariamente come una tecnologia, l'alternativa vincente. Si è già parlato dell'idea che la mente e l'intelligenza si possono e si debbono studiare in modo puramente funzionale, cioè indipendentemente da come è fatto e come lavora il cervello. Minsky insiste nel dire, in parte a ragione, che finché del cervello sapremo soltanto come funzionano i singoli neuroni, questo non ci sarà di nessun aiuto per capire la mente. Ma le neuroscienze cominciano ad occuparsi anche di sistemi e di reti di neuroni, e non solo di neuroni singoli, e tutto il connessionismo e i nuovi modelli delle reti neurali simulate su calcolatore sono tentativi di cogliere l'emergere dei comportamenti intelligenti da sistemi complessi che non vogliono ignorare il cervello. Vi è poi l'assunzione, collegata del resto con l'idea che il cervello può essere ignorato, che la mente non va studiata in modo quantitativo con i normali strumenti matematici e statistici delle scienze naturali, ma usando un vocabolario di simboli qualitativi. Minsky riconosce che nel suo libro non vengono neppure menzionate "quantità suscettibili di essere misurate", e questo deriva dalla sua convinzione profonda che "ogni volta che ricorriamo a misurazioni, rinunciamo in parte all'uso dell'intelletto" (p. 558) - che non è una valutazione molto positiva nei riguardi delle scienze, quelle della natura, che finora hanno avuto i maggiori successi. C'è infine l'atteggiamento di fronte alla psicologia, che è certamente una scienza piena di limitazioni ma che non può essere ignorata da chi pretende di studiare l'intelligenza naturale non fosse altro per l'enorme quantità di dati empirici sulla mente e sul comportamento che ha accumulato. Minsky è uno dei pochi autori in intelligenza artificiale che cita Piaget e Freud, ma si tratta evidentemente di suggestioni isolate da lui raccolte in autori a tutti noti piuttosto che del normale confronto con una letteratura scientifica.
Se si tagliano i ponti con il cervello e le neuroscienze, con l'analisi quantitativa tipica delle scienze della natura e con i dati empirici sul comportamento, e sa d'altra parte non si vuole accettare l'atteggiamento fondamentale pratico e operativo di molta dell'intelligenza artificiale attuale, la strada percorribile diventa molto stretta. Si può soltanto dire che Minsky percorre questa strada stretta con grande lucidità e talvolta con genialità.

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