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Descrizione


Milano, Napoli, Bologna, Torino, Roma e Bari: sei periferie degradate, abbandonate, silenziose o semplicemente malinconiche, universi di emarginazione e povertà, modi diversi di vivere "il margine". Il libro, composto da scrittori e artisti, è il frutto di un percorso parallelo tra fotografia, arte e racconto.
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Dettagli

2006
7 settembre 2006
VIII-117 p., ill. , Brossura
9788842080534

Valutazioni e recensioni

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Antonio
Recensioni: 3/5

Piccolo Libretto sulle periferie di sei grandi città italiane (Milano, Napoli, Bologna, Roma, Torino, Bari), testi da autori diversi, come diverse sono le riuscite degli scritti, alcuni interessanti altri troppo superficiali, come non riletti dagli autori, confezionati un po' di corsa, forse per esigenze di uscita editoriale. Peccato perché l'argomento è valido e interessante.

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Patroclo
Recensioni: 3/5

periferie descritte da scrittori, la qualitá e il convolgimento dipendono dalla bravura dello scrittore stesso, e dall´approccio. Biondillo che é architetto é scientificamente partecipe, Lagioia é scrittore puro e divaga (ma a tratti convince), Torino viene bene, Napoli é scadente. lettura comunque consigliata, ma per appassionati del tema

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Voce della critica

La periferia è un limite, una linea di demarcazione, una soluzione di continuità. Affaccia sui pieni della città, strapiomba sui vuoti dell'assenza abitativa. Conosce i segreti degli uni (i quali via via, allontanandosi dalla midtown, si rarefanno), si avventura nei misteri degli altri. È luogo di desolato abbandono (le periferie degradate e fatiscenti di tante nostre città), di arroccamento cagnesco (le periferie-bene di chi, esurbato volontario, le elegge a fortini, cittadelle, gated houses), di resurrezione e riscatto. Sinuosa e sfuggente, cangiante e irrequieta, appare a tratti come una gelatinosa bordertown; avanza e si ritrae come un'onda, assecondando i movimenti di marea di chi viene e chi va, di quelli che si spingono avanti o decidono di tornare sui loro passi.
Sei periferie di altrettante città percorse rigorosamente a piedi da chi le racconta e da chi, intanto, le fotografa. Perché camminare, osserva Stefania Scateni, la curatrice di questa deliziosa raccolta di storie sottovoce, rende "capaci di vedere quello che non c'è". Dai vecchi "narratori delle pianure" filtrati dall'occhio laterale di Celati ai nuovi narratori di luoghi di confine di volta in volta ingombranti e indecifrabili, anonimi e invisibili; e, almeno apparentemente, svuotati di una qualunque personalità e tra loro indistinguibili.
Gianni Biondillo / Annalisa Sonzogni. Milano. Sai dov'è? La periferia come sogno della differenza ("Non ci credo che esistano posti uguali dappertutto, non accetto l'idea che le periferie si assomiglino tutte, ogni luogo cerca il suo genio costruttore, cerca il suo senso") e già iniziale smentita pretesa di dominio, galeotta una foto, sulla città-territorio che la contiene ("Io so tutto di Milano. Tutto. Sono il suo cantore, il poeta delle periferie meneghine, il lettore urbano, il peripatetico, il flâneur. Milano è il mio correlativo oggettivo, il mio panorama interiore. Guardo di nuovo la foto. Maledizione, non so dove diavolo sia questo posto!").
Giuseppe Montesano / Gruppo Underworld. Napoli. Periferia Totale. La periferia "integrata"cui non corrisponde alcun centro ("un vasto sistema che lascia convivere la speculazione selvaggia e la pianificazione burocratica, l'illusione della casa-per-tutti e la realtà dei servizi-per-nessuno"). Figurazione di un caos programmato, e prefigurazione di un "campo di concentramento", sembrerebbe di fatto irredimibile: "L'oppio mediatico è sceso nelle coscienze dei periferici di tutto il mondo, disuniti e infelici nelle catene che non vogliono perdere, e li tiene in sua balia". Eppure tanti luoghi periferici comunicano ormai planetariamente tra di loro grazie al tam tam delle Web communities, tribù interconnesse di decentrati agravitazionali che si costituiscono in nuovi e atipici a-centri reticolari schierati a difesa di scampoli d'identità contro il grande, minaccioso tentacolo della Rete.
Emidio Clementi / Andrea Chiesi. Bologna. In Barca. La periferia trasfigurata e quella fresca di costruzione. Non solo allora la Barca, dove l'aristocrazia felsinea, quasi un secolo prima, amava oziare durante l'estate e dove ora risiedono soprattutto immigrati; ma il Pilastro, un tempo malavitoso e violento e adesso diventato "quasi chic", e Bologna 2, "una scheggia di orrido presente gettata in mezzo al nulla".
Beppe Sebaste / Laura Palmieri. Roma. Sulle barricate di Tor Fiscale. Da una parte Tor Fiscale, "il contrario delle banlieues parigine"; dall'altra l'Esquilino-Chinatown, che borgata – o periferia – non è. Ma il termine Esquilino "non si oppone forse a 'inquilino', come periferia a città? Periferia sarebbe allora ciò che non ha appartenenza, non fa condominio, è irrelato e condannato a un'autosufficienza che è a volte autosussistenza". Periferia, allora, come luogo esperienziale non più rispondente all'etimologia del nome, non più in grado di assecondare il percorso di una circonferenza, di un ring che ingloba e trattiene: enclave ghettiforme, al contrario, all'interno di quello che era una volta il cuore cittadino, nel frattempo trasferitosi altrove (nei non-places, soprattutto, dei megacentri commerciali).
Silvio Bernelli / Botto & Bruno. Torino. La nuova periferia è in centro. Appunto. Tra i luoghi visitati il Lingotto e l'area del parco Italia 61, con quell'"infilata di palazzi di lusso" di cui non sorprende più di tanto, dell'edificio più nuovo, la cancellata che dal cortile si erge fino al primo piano impedendo l'ingresso al garage sotterraneo. "È la stessa tecnica costruttiva usata nelle case-fortezza di Rio de Janeiro". E di molte altre metropoli. Sintomo di quel fenomeno, indicato da Paul Virilio come passaggio dalla cosmopolis alla claustropolis, evocato anche dal piccolo-borghese "fortino integralista" dei villini a schiera di certa milanesità decentrata di Biondillo ("Non ci puoi arrivare a piedi, solo in macchina, non ci passa nessun mezzo pubblico").
Nicola Lagioia / Alessandro Piva. Bari. Dieci anni. Quelli trascorsi da quando dal capoluogo pugliese ci si è allontanati. Ora ci si è ritornati e tutto è cambiato. Sembrerebbe in meglio: la città vecchia è "stata finalmente restituita alla gente comune"; il vecchio quartiere dormitorio di Japigia, "non molto distante dal centro cittadino, chiuso tra i binari della ferrovia e le larghe corsie della circonvallazione", da grosso mercato di droga è diventato un quartiere come tanti altri. Eppure tutto cospira a far rimpiangere il passato. I motorini, davanti al liceo scientifico Enrico Fermi, li rubano ora come allora; prima però il ladro aveva un volto e un nome (o meglio un soprannome: lo Sghigno); ora non più. Prima c'erano il rock e il jazz; ora impazza la musica elettronica.
  Massimo Arcangeli

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