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"Il suo mestiere è dello scalpello, e non del pennello": in una lettera del 1637 a Francesco I d'Este, il poeta Fulvio Testi giustificava così, riportando le parole dello stesso Gian Lorenzo Bernini, il rifiuto opposto dall'artista alla richiesta di dipingere due quadri per il duca di Modena e Reggio. Sebbene Bernini non sia stato, quindi, pittore di professione, Filippo Baldinucci, nella sua biografia del 1682, gli assegnò genericamente oltre centocinquanta dipinti. Trattandosi di un insieme di quadri perduto, le ricerche volte a ricomporlo hanno condotto, negli ultimi anni, ad accumulare sul nome di Bernini tele non sempre omogenee.
Per la bella mostra a Palazzo Barberini, e nel catalogo che l'ha accompagnata, Tomaso Montanari ha dunque lavorato di vaglio, selezionando gli unici sedici dipinti noti che, per qualità di invenzione e di esecuzione, si possono ragionevolmente assegnare alla mano del "regista del barocco" (l'espressione era nel titolo della grande mostra dedicata a Bernini nel 1999, Gian Lorenzo Bernini. Regista del barocco, a cura di Maria Grazia Bernardini e Maurizio Fagiolo dell'Arco, catalogo Skira). Operare una selezione basata sulla qualità conduce però, nel caso di Bernini, a ottenere un corpus composto quasi interamente da ritratti, aventi per soggetto l'autore stesso o altri. Montanari motiva questa apparente predilezione dell'artista ricordando che nell'accademia di Bernini il ritratto, insieme al teatro, giocò un ruolo determinante per l'appropriazione all'arte di attitudini ed espressioni; è pressappoco quanto avveniva negli stessi anni anche nell'"officina di Rembrandt" descritta nel volume di Svetlana Alpers, da poco ristampato da Einaudi, al quale lo stesso Montanari si richiama (L'officina di Rembrandt. L'atelier e il mercato, 2006). Come esercizio, oppure come dono prezioso, Bernini ritrasse colleghi e persone della sua cerchia in un'attività forse non assidua, ma protrattasi, secondo lo studioso, dagli anni venti sino agli anni sessanta del Seicento. Non si limitò però ai ritratti: fra alcune intense figure dell'Antico e del Nuovo Testamento si segnala, in particolare, un notevole Cristo deriso, ritrovato da Francesco Petrucci, che esibisce i segni pittorici di un altissimo esercizio d'accademia (questa è l'unica attribuzione accolta da Montanari, tra quelle avanzate da Petrucci nella sua recente monografia Bernini pittore, Bozzi, 2006). Fonti e documenti d'epoca assegnano a Bernini anche numerosi dipinti di destinazione pubblica, ma è dimostrato che in quei casi egli si riservò la responsabilità dell'invenzione, lasciando l'esecuzione ai collaboratori.
Il volume è distintamente suddiviso in due parti. La prima, monografica, si deve interamente a Tomaso Montanari e comprende un saggio sulla pittura di Bernini e le schede di tutti i dipinti a lui attribuiti, cui si aggiungono le schede delle altre opere presenti in mostra: il busto di Costanza Bonarelli e sette dipinti attribuibili, per la sola parte esecutiva, a collaboratori o seguaci. Annesso alle schede è l'inventario dei dipinti, in cui sono elencati anche quelli irrintracciabili, quelli di bottega e quelli da rifiutarsi. Segue un'utilissima raccolta delle fonti, fino al 1750, relative all'attività pittorica di Bernini.
La seconda parte raccoglie interventi di altri studiosi su temi affini. Ann Sutherland Harris, specialista dei disegni berniniani, illustra i sei bellissimi fogli esposti; Alessandro Angelini, dopo aver rilevato le tangenze con la pittura romana dei primi decenni del Seicento, richiama alcune delle direttrici d'incontro tra decorazione dipinta, scultura e architettura nei cantieri berniniani; Tod A. Marder, dedicandosi allo studio del topos letterario, ricerca le possibili implicazioni teoriche dell'episodio, narrato dai biografi, dell'incontro tra Gian Lorenzo bambino e papa Paolo V; Steven F. Ostrow, anticipando il contenuto di un suo prossimo libro dedicato alla teoria artistica in Bernini, coglie nelle sue creazioni gli echi della disputa rinascimentale sul paragone delle arti. Questa parte del volume, aprendosi a tecniche diverse, invita quindi a considerare i dipinti di Bernini nell'ottica della speciale "unità delle arti visive" che egli seppe comporre nel corso della sua carriera (l'espressione è nel titolo del volume di Irving Lavin dedicato alla cappella Cornaro: Bernini e l'unità delle arti visive, Edizioni dell'Elefante, 1980). Il libro non risolve il problema, ma imposta solidamente il dibattito sul ruolo da attribuire, nell'ambito della multiforme attività creativa di Bernini, a una produzione pittorica notevole per qualità e modernità. Nicola Prinetti
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