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Beethoven - Piero Buscaroli - copertina
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Descrizione


In questo libro Piero Buscaroli cerca di "inseguire e tentare un'immagine intera e coerente di Beethoven", di cogliere la "totalità" umana e poetica di una figura smisurata, insieme supremo genio musicale e artistico, ideale eterno delle migliori virtù umane e cumulo di contraddizioni, di comportamenti eccessivi e perfino scellerati.
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Dettagli

2004
XXI-1358 p., ill. , Rilegato
9788817870641

Voce della critica

Con questa biografia l'autore intende collocarsi nella corrente del revisionismo storiografico, estendendola dal campo politico a quello musicale. Suo intento è restituire un'immagine di Beethoven riscattata da due secoli di menzogne e falsificazioni, e insieme stendere una requisitoria contro tutta la civiltà moderna. Un elenco selettivo dei suoi idola polemici comprende la monarchia asburgica en bloc, quella francese dai Valois a Chirac, le potenze del Congresso di Vienna, i committenti di Beethoven mai abbastanza generosi, le sue donne quasi tutte cretine, scocciatrici o puttane, l'Illuminismo e il Romanticismo, Hegel e Pasolini, l'America, l'europeismo e l'euro, e naturalmente la Rivoluzione francese, sulla quale Buscaroli rivela novità sensazionali quali i misfatti del Terrore, le stragi in Vandea e le rapine di Bonaparte. Il tutto in quasi 1.400 pagine di prosa lutulenta, che aspira allo stile dei grandi polemisti ma che spesso inclina al feuilleton ("Una mattina dell'autunno 1972, insonnolito per la traversata notturna da New York, scesi a Londra all'aeroporto di Heathrow..."). Precisiamo che, avendo l'autore deciso, secondo un aforisma di Nietzsche ripetuto fino alla noia, che di un artista si può solo scrivere la biografia e che la musica si ascolta e non si spiega, di musica non parla, salvo che per discutere problemi critici quali: Beethoven ha mai scritto niente di più grande della Quinta?

Buscaroli afferma di essersi basato su fonti edite, preferibilmente vecchie, e su una selezione ristretta della bibliografia, trascurando quasi tutta quella dell'ultimo mezzo secolo, dichiarata inutile. Su queste fondamenta, egli confuta tesi che non sono mai state sostenute o che sono state da tempo abbandonate; cita documenti, o parti di essi, che rafforzano le sue idee, ma omette quelli, o quelle parti, che le contraddicono (se un testimone riporta una frase che non gli fa comodo, o mente o Beethoven lo ha preso in giro); fornisce dati sbagliati.

Già nella prefazione l'autore annuncia di aver respinto l'"annessionismo" del "malsesso", cioè dei "pederasti che l'eufemismo vigente ribattezza pedofili". A parte la differenza tecnica tra le due categorie, occorre precisare che la voga recente dei gay studies non ha interessato Beethoven: nessuno, dopo uno squalificato libro tedesco di cinquant'anni fa, ha fatto illazioni su una sua presunta omosessualità, neanche l'odiato psicanalista Solomon. Al contrario, "Beethoven e le donne" è tema classico della letteratura sul musicista, ma sempre trattato, secondo Buscaroli, in maniera troppo lagrimevole: il suo eroe è "solido e virile", "aperto al riso allo scherzo", tant'è vero che andava all'osteria, un vero macho che le donne le prende, se le gode per sei mesi e le butta via. Se documenti quali il "testamento di Heiligenstadt" e la "lettera all'immortale amata" suggeriscono qualche momento di dubbio o di abbattimento, qualche sentimentalismo di troppo, essi non valgono: prova ne sia che tali lettere non furono mai spedite, quindi non sono lettere, e Buscaroli si rammarica che non siano state distrutte quando furono trovate tra le carte del musicista. Poco vale obiettare che, se egli le conservò fino alla morte, qualche importanza per lui dovevano averla: per Buscaroli, implacabile come la pubblica amministrazione, fa fede il timbro postale.

"Beethoven non fu mai un illuminista; non fu mai giacobino; non fu mai amico dei francesi, cui portò, da quando li vide invasori della Germania, forsennato odio": ecco la verità celata per centocinquant'anni da tutti coloro che si sono occupati di Beethoven, compresi gli studiosi tedeschi del 1870, del 1914 e del 1937. In realtà nessuno ha mai sostenuto che Beethoven sia stato un "giacobino" (ma Buscaroli usa il termine come certuni usano "comunista" per designare chiunque non la pensi come loro, da Pol Pot a Norberto Bobbio), e difficilmente si può contestare che la sua formazione sia avvenuta sotto il segno dei Lumi (la frase che egli avrebbe detto al principe Lichnowsky - "come Lei ce ne sono tanti, come me ce n'è uno solo" - è quella di un discepolo di Rousseau che ha letto anche Beaumarchais). È pure ben noto che le sue idee ebbero una netta svolta in senso nazionalistico negli anni tra il 1809 e il Congresso di Vienna, mentre sulle sue opinioni nell'ultimo decennio la documentazione è scarsa, ma sufficiente per capire che erano piuttosto oscillanti. Insomma, il percorso tipico di molti intellettuali della sua generazione, compreso quel Fichte di cui, a sentire Buscaroli, sembra che Beethoven abbia precorso i Discorsi alla nazione tedesca quando il filosofo era ancora, lui sì davvero, giacobino; fatto sta che di letture fichtiane di Beethoven non v'è traccia, mentre egli copiò di sua mano la celebre frase di Kant sul cielo stellato e la legge morale, qualsiasi cosa essa significasse per lui e anche se Buscaroli ha deciso che non significa nulla tout court.

Due canti del 1796-97 per i volontari austriaci che andavano a combattere i francesi inaugurerebbero col loro tono guerriero niente di meno che la riscossa della nazione tedesca; perciò sarebbero stati censurati dai musicologi e addirittura occultati dai bibliotecari (la congiura è una delle sue categorie storiografiche fondamentali). Ma quali biblioteche frequenta Buscaroli? Tali canti sono accessibili in edizioni economicissime, si possono ascoltare negli esecrati cd e hanno persino una loro bibliografia recente. Invece egli non ricorda neppure il lied Der freie Mann, del 1795, che mal si può ricondurre a entusiasmi nazionalistici e che ha lo stesso tono degli altri due, il modello comune essendone l'innodia massonico-rivoluzionaria.

È noto che l'atteggiamento di Beethoven nei confronti di Napoleone oscillò continuamente fra attrazione e ripulsa, tanto che ancora nel 1810 vagheggiava di dedicargli la Messa in Do, e difficilmente una frase che egli avrebbe detto dopo la morte dell'imperatore - "Un tempo non lo potevo soffrire, ora la penso ben diversamente" - si può interpretare come "il tratto finale di un'ira e di uno sdegno". Neppure Buscaroli può negare che in origine l'Eroica era "intitolata Bonaparte", e tutti conoscono la storia del frontespizio strappato alla notizia della proclamazione a imperatore, quindi si arrampica sugli specchi per dimostrare che l'entusiasmo per Napoleone fu un abbaglio dal quale Beethoven si riprese subito; se al posto del titolo eliminato egli riscrisse di suo pugno (sicuramente e non "forse") "scritta su Bonaparte", e se poi scrisse a un editore che "la sinfonia è realmente intitolata Bonaparte", ebbene, afferma Buscaroli, "che l'abbia cambiata e come, non dice: quale posizione vi abbia assunto l'uomo del titolo, neanche questo dice, e nessuno lo saprà da lui", e tanto gli basta (dovrebbe fargli piacere sapere che uno studioso di sinistra ha proposto di identificare nel principe Luigi Ferdinando di Prussia, uno dei suoi eroi, il "grand'uomo" della dedica definitiva; ma non lo sa). Buscaroli accoglie poi "un'esile e discreta tradizione orale" secondo cui la Marcia funebre avrebbe sostituito molto tardi, con l'intento di mettere una pietra tombale su Bonaparte, un movimento scritto in precedenza e poi trasferito nella Quinta; è una balla messa in giro a metà Ottocento da Fétis: fin dal 1880 è filologicamente provato che già nella prima concezione della Terza, primavera 1803, la Marcia funebre se ne stava ben salda là dove la conosciamo.

Leonore/Fidelio non sarebbe un'esaltazione dell'amor coniugale e insieme della libertà senza aggettivi, ma un pamphlet antirobespierriano, dato che il soggetto è ispirato a un fatto vero accaduto in Francia durante il Terrore. Ma ciò vale per il libretto di Bouilly, del 1798, da cui quello beethoveniano è ripreso: se di polemica politica si tratta, è tutta francese, del regime termidoriano contro quello precedente. La Nona Sinfonia diviene un monumento allo spirito tedesco sulla base di un (notissimo) appunto in cui Beethoven la indica come "Sinfonie allemand" (in francese!), che Buscaroli fa diventare senz'altro il titolo della sinfonia benché mai più ripreso in manoscritti, edizioni, lettere e conversazioni. Lo stesso Nottebohm che pubblicò l'annotazione, "tenace e profondo studioso" e sicuramente buon tedesco, ne aveva anche proposto un'interpretazione verosimile: Beethoven voleva distinguere la sinfonia con coro in tedesco, destinata all'esecuzione in Germania, da un'altra solo strumentale che intendeva destinare all'Inghilterra; è un'ipotesi, ma Buscaroli non ritiene di doverla menzionare. Il lettore si chiederà poi come una lettura pangermanista della Nona si concili con l'ode Alla Gioia, un pezzo di culto dell'umanitarismo illuministico che accompagnò Beethoven tutta la vita, e in particolare col verso " Alle Menschen werden Brüder " (Tutti gli uomini diventano fratelli) che Beethoven lasciò campeggiare nel testo da lui variamente manipolato. La risposta è che la poesia di Schiller è inadeguata alla musica di Beethoven, e che comunque né questi né alcun altro artista tedesco "fu mai disposto a considerare Menschen, esseri umani di cui valesse la pena di occuparsi, che non fossero un tedesco, o una tedesca". Di fronte a verità così incontrovertibili noi poveri Untermenschen chiniamo la fronte e chiediamo a Buscaroli il permesso di continuare ad ascoltare la musica di Beethoven.

Da questo campione, necessariamente parziale, il lettore può farsi un'idea della solidità dei fatti su cui Buscaroli pretende di fondare le proprie interpretazioni e revisioni. Resta solo da interrogarsi su quella strana forma di political correctness (concetto di certo inviso all'autore) per cui egli viene presentato come serio studioso "benché di destra": il metodo del far storia non cambia con le posizioni politiche.

Fabrizio Della Seta

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La recensione di IBS

Dopo vent'anni, ecco la «nuova immagine» che mancava. Il nuovo libro di Piero Buscaroli è come il Bach del 1985, e La morte di Mozart del 1996, il frutto di una sfida e soprattutto del bisogno di «inseguire e tentare un'immagine intera e coerente di Beethoven», di cogliere la «totalità» umana e poetica di una figura smisurata, insieme supremo genio musicale, artistico, ideale eterno delle migliori virtù umane e cumulo di contraddizioni, di comportamenti eccessivi. Con uguale chiarezza e sicurezza, Buscaroli rilegge le fonti, riscrive tutto: la famiglia, Mozart, il carattere, la sordità, le malattie, gli amori, le donne, le lettere, il sentimento e gli scopi dell'arte, diversi da tutti gli altri, i bestimmte Gegenstände, i «distinti oggetti», modelli segreti di cui nessuno finora s'è accorto; il disegno totale di un'opera totale, condotto con fermissima mano. Minima nella biografia di Bach, la presenza della storia universale diventa massima ora che la musica è prima delle arti, quale mai era stata, e Beethoven il primo dei musicisti.
«Vi è solo biografia», sostiene un perentorio aforisma dei Frammenti Postumi di Nietzsche, e Buscaroli fa della biografia del musico massimo la chiave della revisione sopra l'età seguita alla révolution, smascherando i tradimenti e le falsificazioni della musicologia. Generazioni di critici hanno sempre occultato il carattere profondamente tedesco di Beethoven, le musiche patriottiche, i canti guerrieri per i volontari dell'Aprile 1797, L'österreich über alles del 1809 e il Finale, Germania risorgi, nella Gute Nachricht del 1814, per farne un illuminista, un giacobino, un amico dei francesi. La cultura ufficiale ridusse l'ultima Sinfonia, che invano egli chiamò «allemande», ossia tedesca, a «un messaggio umanitario, un baloccone per eurobaggianate, un trofeo per banche e Bar Sport». Un Beethoven nuovo e totale in un grande libro aspro, duro, irrefutabile.

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Conosci l'autore

Piero Buscaroli

1930, Imola

Piero Buscaroli (1930-2015), giornalista, scrittore e storico della musica, è autore di fondamentali monografie su Bach e Beethoven, diversi studi su Mozart, oltre ai saggi dedicati alla storia del Novecento (Dalla parte dei vinti e Una nazione in coma). Dal 1972 al 1975 fu direttore del quotidiano «Roma» di Napoli. Nel 1979 iniziò una collaborazione con «Il Giornale» di Montanelli: tenne una fortunata rubrica denominata La stanza della musica. Buscaroli usò il proprio nome per la critica musicale, mentre per le note di politica e costume firmò con lo pseudonimo Piero Santerno. La collaborazione al «Giornale» continuò anche col successore di Montanelli, Vittorio Feltri. Ha studiato organo, armonia e contrappunto, e dal...

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