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L'ultimo romanzo di Cinzia Zungolo è un giallo solo all'apparenza, che inizia sì con un omicidio, ma si rivela assai presto altro dal thriller cui potrebbe far pensare il lungo interrogatorio al quale viene sottoposta dai carabinieri la protagonista-testimone. Man mano che procede, infatti, il lettore scopre come di ben altra indagine si tratti: di un'investigazione in primo luogo sulle passioni e sui sentimenti, qui declinati soprattutto al femminile e riferibili in modo speculare a due donne, entrambe giunte alla soglia della mezza età e dei bilanci esistenziali che solitamente essa comporta.
L'una è la proletaria Vita il personaggio principale della storia , quarantenne divorziata, sempre in cerca di relazioni maschili appaganti ma puntualmente delusa dai vari partner disponibili; l'altra è la borghese Nora, moglie d'un indaffarato imprenditore e invaghitasi a senso unico di Manuel: vero e proprio don Giovanni di borgata che le fa sperimentare intensi momenti passionali ma non solo, a detta quantomeno della donna, convinta che la sua liaison sia all'insegna di un amore autentico. Così è il materasso il luogo per elezione di questo dissacrante e agrodolce romanzo su incontri e scontri erotico-affettivi tra uomini e donne. A partire dalla relazione coniugale di Vita con Opusdei militante dell'Azione cattolica tanto integralista quanto maschilista , descritta come un annoso/tedioso menage che nel libro assurge a vicenda privilegiata, tanto l'autrice insiste a narrarcela quale occasione per un mini-romanzo di formazione sentimentale che, in filigrana, possiamo cogliere all'interno del Materasso dell'acciuga.
L'umorismo sottile e arguto di Zungolo (solo a tratti reso amaro da un sarcasmo bruciante), coniugato a un salutare disincanto, rende però estremamente lieve e assai godibile una narrazione intorno a temi come quelli suaccennati, che altrimenti avrebbe potuto rischiare di arenarsi entro le secche del patetismo o dello psicologismo. L'autrice si rivela invece forte di un'ironia spiazzante che mette alla berlina ora i personaggi maschili ora quelli femminili, con i loro reciprochi vizi/vezzi e sorride delle loro ambizioni/illusioni amorose, limitandosi a scrivere una storia smaliziata e vivace (sebbene pervasa da una sottile amarezza) su come due donne adulte, d'opposta estrazione sociale, si trovano in difficoltà a fare i conti con i problemi legati all'amore o alla sua assenza.
Qui anche gli uomini, peraltro, non risultano granché equilibrati rispetto alla gestione dell'affettività. Ora bigotti e frustrati quale l'antipatico Opusdei , ora inclini a reificare la donna di turno quale il navigato seduttore Manuel , ora gretti e per nulla empatici quale il marito di Nora , sembra siano assolutamente incapaci di offrire alla partner altro che "pene" (non a caso Vita da ragazza interpreta/legge il nome dell'organo sessuale maschile come equivalente a "dolori"). Né le donne dimostrano autonomia alcuna, tendenti come sono a elemosinare "la mendicità dell'amore"; o tuttalpiù risolvono sbrigativamente il problema del rapporto fra sentimenti e sessualità stabilendo (vedi l'extracomunitaria Pulcra): "Senza amore, tutto più comodo". Resta che sullo scomodo "materasso dell'acciuga" (un giaciglio davvero angusto sia per Nora che per Vita), dove si danno slanci passionali a senso unico giammai reciprocità , scorgiamo amplessi reiterati, non la pienezza dell'eros legato a un sentimento, sia pure temporaneo, di mutua appartenenza.
Francesco Roat
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