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L' ombra di Ulisse. Figure di un mito
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Dettagli

1999
7 maggio 1999
240 p.
9788815071217

Valutazioni e recensioni

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Daniela
Recensioni: 5/5

Un prezioso classico della critica, un ottimo saggio, un atto d'amore nei confronti di un personaggio e di un'immensa galassia culturale, mitica e antropologica: grazie a Boitani, perché questo suo libro mi ha fatto amare ancora di più quella disciplina splendida, meravigliosa e vibrante che è la Letteratura Comparata.

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teresa manna
Recensioni: 2/5

Secondo il mio parere il libro di Boitani è buono dal punto di vista dell'impostazione dialettica e il rigore critico e logico ma la linearità della scrittura, la capacità divulgativa necessarie a mio avviso a chiunque scriva saggistica è totalmente assente così da rendere tortuosa la comprensione del testo.

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Voce della critica


recensione di Bettini, M., L'Indice 1992, n.10
(recensione pubblicata per l'edizione del 1992)

Qual è la natura dell'ombra? Ha davvero la forza che molte tradizioni antiche le attribuiscono? Perché si diceva, ad esempio, che l'ombra mantenesse sempre un oscuro legame con il corpo di chi la proiettava; o addirittura che riassumesse in se la parte più nobile e più vitale della persona, e che per questo fosse destinata a sopravviverle. Ma soprattutto, ci si chiede, l'ombra è da considerarsi piena, o vuota? piatta, o cava?
Sono domande che, un po' per metafora e un po' sul serio, capita di farsi leggendo "L'ombra di Ulisse" di Piero Boitani, un volume dedicato alla "figura" ed alla fortuna di questo personaggio nella letteratura occidentale. E man mano che si procede nella lettura, dall'"Odissea" a Dante, a Colombo, al vecchio marinaio di Coleridge all'"Ulisse" di Pascoli, a Gozzano- man mano che si vede l"'ombra" di Ulisse riempirsi di significati inattesi, di testi via via più complessi e apparentemente remoti dal loro primo referente, si finisce per convincersi che l'ombra deve per forza essere qualcosa di cavo e di magnetico: un piccolo gorgo scuro che invisibilmente inghiotte e trattiene tutto ciò che la sfiora. Senza bisogno di terrificare naturalmente senza bisogno di urlare, come fa il vortice del "Maelstrom". L'ombra cattura ma non distrugge, l'ombra conserva: in questo, la sua forza è molto superiore a quella del nordico gorgo. A proposito: con questo riferimento a Poe siamo e rimaniamo pienamente nel tessuto del libro di Boitani. Perché anche sul pescatore norvegese che scende nel grande imbuto in preda all'irresistibile desiderio di esplorare, costasse pure la morte; anche sul piccolo uomo che miracolosamente emerge dai flutti abbracciato ad un barile, tanto che gli è possibile raccontare la propria esperienza, Boitani stende con sicurezza l'ombra di Ulisse. Il navigatore greco, che per conoscere non esitò a forzare il mare e la natura, anticipava anche il marinaio della "Discesa". Miracolosamente sfuggito al vortice delle acque, il personaggio di Poe non sfugge all'ombra onnipossente della letteratura. E della critica letteraria.
Il libro di Boitani è vivace e ben scritto. All'inizio l'autore si preoccupa anche di impostare la questione, con molto piacere da parte del lettore. Lo fa con l'aiuto di Frege, il logico tedesco celebre per la sua distinzione fra Sinn e Bedeutung: che anche lui (persino lui) si è fatto almeno una volta catturare dall'ombra di Ulisse. Secondo Frege, era abbastanza dubbio che un personaggio mitico e favoloso come Ulisse avesse un "significato": però di certo aveva un "senso". La presenza di un nome, come per esempio "Ulisse", non comporta infatti, automaticamente, l'attivazione di un "significato" però garantisce il possesso di un "senso". Lo stesso Frege, in una nota, suggeriva anzi di chiamare "figure" questo particolare tipo di segni dotati soltanto di un senso. Ecco dunque com'è accaduto che l'Ulisse di Boitani si sia fatto "figura": ad indicare un segno aperto, una forma che (in quanto priva di uno specifico significato) è come inevitabilmente destinata a modificarsi e ad arricchirsi di sempre nuovi sensi. Ma in quanto "figura", l'Ulisse di Boitani funziona anche come segno destinato ad anticipare eventi e personaggi futuri: perché era difficile evitare che, nel corso dell'analisi, il termine "figura" non assumesse anche il valore "prefigurativo" che Auerbach gli aveva impresso.
Accade così che questo libro su Ulisse si trasformi continuamente in un libro su altro. Dopo i primi capitoli, per esempio, si è già mutato in un originale saggio su Cristoforo Colombo. E non per motivi di cinquecentenario, grazie a Dio, ma perché Tasso, Leopardi ed altri hanno realmente fatto di Colombo un vero e proprio "compimento storico" (p. 134) dell'eroe greco. Certo, perché l'Odysseus di Omero potesse trasformarsi in figura di Colombo c'era voluta la mediazione dell'Ulisse dantesco, vero Wendepunkt nel progressivo distendersi di questa mitica ombra sul cammino della letteratura occidentale. All'eroe del "folle volo" è anzi dedicato uno dei capitoli più brillanti del saggio (belle si troveranno di certo le osservazioni sulla metafora dei "remi" come "ali della nave", da Omero in là). E anzi, dopo l'analisi di Boitani, dopo il suo appellarsi ai testi venuti dopo Dante, diventa molto più chiara la tragica importanza di quella "montagna" apparsa all'orizzonte della nave dantesca un attimo prima del naufragio definitivo, "come altrui piacque". Una montagna cui la cultura occidentale non cesserà più, con paura e desiderio, di aspirare.
Ma Colombo, ovviamente, non basta per soddisfare il magnetismo della cava "ombra". Lasciato lo scopritore genovese, l'interesse di Boitani torna ad Ulisse. E con lui alla letteratura italiana (Graf, D'Annunzio Pascoli, Gozzano, altri) poi a quella inglese, naturalmente, che costituisce la presenza più cospicua in tutto il volume: si segnalano in questo settore almeno le belle pagine dedicate a Tennyson e Melville. Ma la conclusione è su Kafka, e la sua originale opinione sulle sirene. Le quali, secondo Kafka, non cantavano affatto ed anzi osservarono, al passaggio dell'eroe, un rigoroso silenzio: che certo risulta ben più enigmatico del loro celebre canto. Ma siccome cercar di riassumere serve a poco (perché troppo si lascerebbe comunque fuori), e servirà piuttosto leggere, torniamo per un attimo all'ombra.
La quale, essendo cava, come dicevamo, e magnetica, attrae e sé anche i ricordi letterari del lettore, quelli che nel libro a volte capita di non trovare (data la quasi infinitezza del tema trattato da Boitani, questa affermazione non intende ovviamente suonare come una critica). Per esempio, quando si parla del canto delle sirene, e poi della "mirabile Odissea scultorea della caverna di Sperlonga" voluta da Tiberio (p. 31), viene in mente l'aneddoto che Svetonio narra nella sua Vita di Tiberio, 70: "Tiberio... si interessava di mitologia sino alle più ridicole minuzie. Tempestava infatti i grammatici... di domande come queste: 'chi era la madre di Ecuba?', oppure 'qual era il nome di Achille quando stava fra le fanciulle?' o 'Che cosa cantavano, di solito, le Sirene?"'. Lasciamo pure da parte le prime due domande, ma per la terza certo non direi che si trattasse di una ridicola minuzia. Svetonio, come anche altre volte gli capita, non dà mostra di capire fino in fondo quello che (per nostra fortuna) ugualmente si preoccupa di raccontarci. Sarebbe forse una trascurabile minuzia voler conoscere il contenuto di un canto che uccideva chiunque lo udisse? per cui, solo chi non lo avesse ascoltato, poteva continuare a vivere? Chi aveva udito, non poteva riferirne, perché era morto: chi non aveva udito, era vivo, ma non avendo udito non poteva raccontare nulla. Ecco dunque un altro non trascurabile privilegio toccato ad Odisseo, legato all'albero della nave mentre i suoi compagni, ignari, remano e vivono.
Ma tornando a Tiberio, così poco era minuta, questa sua curiosità, che l'interrogativo da lui posto ai grammatici continuò a restare ben aperto nel seguito della vicenda letteraria, come del resto lo stesso saggio di Boitani insegna. E tanti secoli dopo, il secentesco Thomas Browne poteva esprimere la sua fiducia nella capacità umana di congetturare proprio riprendendo Tiberio e le sue minuzie. Scriveva infatti: "Quale canto cantavano le Sirene? e qual era il nome assunto da Achille quando si nascose a Sciro fra le donne? Simili domande, benché ci lascino sconcertati, non sono al di sopra di qualsiasi possibile congettura". È probabile che Browne esagerasse, in questa sua fiducia nell'arte della congettura: stiamo sempre aspettando l'Edipo capace di risolvere l'enigma del canto delle sirene. Ma erano comunque queste parole di Browne che Poe metteva come motto ai "Delitti della via Morgue".
Siamo alla conclusione, e a Boitani, se ce lo consente, vorremmo muovere un appunto. Uno solo. Ha scelto un bellissimo tema, non solo, ha trovato i testi giusti per far vedere quanto il suo tema fosse importante (nella critica letteraria, trovare i testi è già fare): e questi testi li ha studiati bene. Di più, ha scelto un tema che non è solo bello letterariamente, ma che è bello e basta. Un tema profondo. Leggendo, infatti, non si riflette solo su quali testi, e come, siano stati risucchiati dentro l'ombra di Ulisse, ma inevitabilmente ci si chiede: si deve, o no, rischiare la vita per conoscere e per pensare? Perché questo è il senso ultimo dell'ombra che Ulisse ha steso sul cammino della nostra cultura. Man mano che si legge, questa domanda si alimenta anzi delle riflessioni che su questo tema hanno svolto autori che sono quasi sempre grandi, e comunque veri. E come se non bastasse, questa domanda viene formulata e discussa alla costante presenza del più misterioso e potente fra gli enigmi naturali: lo specchio del mare. Qual è dunque l'appunto che vorremmo muovere a Boitani? Questo. Spettatori, per suo merito, di tanto enigma esistenziale oltre che culturale; alle prese, sempre per suo merito, con domande molto vere, si resta come disorientati tutte le volte che ci si imbatte in qualche "lettura obliqua", "lettura impura", "lettura inquieta", o "misreading", o "interpretazione infinita", o "midrash" -insomma, in una delle numerose ed esplicite allusioni alle contemporanee tendenze della critica letteraria che punteggiano queste pagine. Come una fila di lampioni accesi sopra una darsena, il rifrangersi dei raggi critici, l'intrecciarsi dei riflessi teorici, impedisce a volte la vista del mare.

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Conosci l'autore

Piero Boitani

Piero Boitani insegna Letterature comparate all’Università La Sapienza di Roma e ha insegnato Lingua e Letteratura Italiana all’Università di Cambridge. Dantista, anglista, studioso del mito, della Bibbia e delle sue riscritture, Boitani svolge anche attività di traduttore. Scrive su “L'indice dei libri del mese”, “La Rivista dei Libri”, “Il Sole 24 Ore”. È stato presidente dell’Associazione italiana di anglistica e della Società europea di studi inglesi (di cui è ora presidente onorario). Ha scritto numerosissimi libri, pubblicati dalla Oxford University Press, dalla Cambridge University Press e il Mulino. Per i "Classici" Feltrinelli ha curato il Cimbelino di Shakespeare (2014).

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