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Il nemico dell'uomo nuovo. L'omosessualità nell'esperimento totalitario fascista
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Il nemico dell'uomo nuovo. L'omosessualità nell'esperimento totalitario fascista - Lorenzo Benadusi - copertina
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nemico dell'uomo nuovo. L'omosessualità nell'esperimento totalitario fascista

Descrizione


La pervasività del modello di virilità imposto dal fascismo, la portata del suo disegno totalitario, i successi e i fallimenti del progetto di rivoluzione antropologica degli italiani, gli strumenti per realizzarlo, il rapporto tra morale tradizionale e nuova morale fascista, il grado di ingerenza della politica nella sfera privata delle persone. L'omosessuale rappresenta il negativo del modello fascista di virilità. Attraverso lo studio di fonti eterogenee e spesso inedite, il giovane storico analizza le direttive impartite dal regime per salvaguardare "l'integrità della stirpe", delineando anche il contesto culturale tramite il quale l'accusa di pederastia ha assunto spesso un movente politico.
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Dettagli

2005
20 giugno 2005
XVI-430 p., Brossura
9788807103865

Voce della critica

A differenza di quanto è accaduto nelle storiografie di altri paesi, la storia dell'omosessualità in epoca contemporanea non ha mai avuto in Italia la dignità di un vero e proprio campo d'indagine storica, con la parziale eccezione di contributi di ricerca e riflessioni dal carattere episodico o circoscritto (cronologicamente o localmente). Questa sporadica ed embrionale ricostruzione dell'omosessualità ha seguito ora la strada della memorialistica, o della rievocazione di momenti, luoghi e vicende umane particolari, ora quella dell'articolazione dell'omosessualità come problema storiografico, sempre a partire da oggetti o temi d'indagine circoscritti, entro il più ampio orizzonte delle identità di genere, della cultura e del dibattito scientifico in senso lato. O anche attraverso la tematizzazione di un sistema complessivo di ortodossia e "devianza", il cui interesse interpretativo appare ben più rilevante, evidentemente, della mera sommatoria dei percorsi esistenziali delle persone omosessuali. Pur nella sua asistematicità per certi aspetti inevitabile, quindi, questo secondo insieme di ricerche storiche - condotte, fra gli altri, da Dall'Orto, Petrosino, Zuccarello, Milletti, Barbagli e Colombo, Rizzo - ha avuto il merito di gettare le basi di un'ampia e inedita storia dell'omosessualità nell'Italia contemporanea. Con la quale si intende, per esempio, un approccio che riesca a mettere a fuoco gli innumerevoli legami fra omosessualità e omofobia, quindi fra omosessualità e eterosessualità, quindi fra mascolinità e femminilità: nel quadro, in breve, di una storia complessa delle identità di genere che vuole poi dire, in definitiva, storia di una dimensione essenziale, sul piano interpretativo, della società contemporanea stessa.
A giudicare dall'opera di Benadusi, interessanti risultati in questo campo cominciano decisamente a emergere. Dedicato in realtà non solo all'omosessualità in epoca fascista, ma al rapporto fra culture scientifiche, morali, giuridiche e politiche, da un lato, e dinamiche - dall'altro - di rappresentazione-sanzione-persecuzione dell'omosessualità maschile dall'inizio del Novecento alla seconda guerra mondiale, il libro è una corposa ricerca basata su fonti di notevole ampiezza e varietà: letteratura medica e religiosa, dibattiti giuridici, una mole imponente di documenti d'archivio prodotti da vari apparati dello stato fascista, e in primo luogo dai suoi organi repressivi. Tuttavia, le vicende narrate non sono solo quelle della persecuzione degli omosessuali sotto la dittatura mussoliniana (il che sarebbe già un risultato di non poco conto), ma dei vari intrecci discorsivi che si sviluppano fra esaltazione della virilità, costruzione politica e scientifica della "devianza" maschile, strategie di controllo sociale, dinamiche conflittuali all'interno dell'apparato di potere fascista; e l'arco cronologico della ricerca include, in modo metodologicamente persuasivo, ampi riferimenti al primo sviluppo del nazionalismo, della moderna psichiatria e della sessuologia in Italia a cavallo tra Otto e Novecento. Un'indagine dunque robusta quanto all'impianto delle fonti, ricca per i rimandi bibliografici che contiene (importante è la rassegna della letteratura internazionale che percorre trasversalmente il volume), estesa sia verticalmente, in senso cronologico, sia orizzontalmente, per i vari ambiti della cultura e della politica italiana che attraversa.
Il libro potrebbe idealmente (nella realtà non lo è) essere diviso in due parti. La prima, sinteticamente, riguarda: la rappresentazione dell'omosessualità maschile, nell'ambito di una più ampia e complessa rappresentazione della mascolinità, tra gli inizi del secolo e l'avvento del fascismo; la sua definizione medica e scientifica; la sua definizione, infine, sul piano del discorso morale-religioso e giuridico. Nella seconda parte si ricostruisce invece la persecuzione concreta dell'omosessualità maschile durante il ventennio: dal funzionamento dell'apparato repressivo alla segregazione carceraria e manicomiale, all'uso strumentale dell'omosessualità nelle faide interne al partito. Chiude il volume una riflessione sulle relazioni fra morale borghese e morale fascista, con particolare riferimento alla sfera della sessualità.
All'interno dei capitoli si inseriscono inoltre ampie e dettagliate descrizioni di questioni, personaggi o vicende particolari, ma non certo marginali: fra l'altro, la figura di Aldo Mieli e la storia della rivista da lui fondata, "Rassegna di studi sessuali"; la lunga discussione sull'inserimento del reato di omosessualità nel codice Rocco, nel quadro di una storia del diritto che risale all'Unità; una ricostruzione complessiva, che grazie a una minuziosa ricognizione archivistica fa chiarezza su precedenti ipotesi provvisorie, delle misure di polizia prese durante il periodo fascista nei confronti di un numero rilevante di omosessuali (con centinaia di essi, collocati fra i "comuni" o i "politici", inviati al confino); alcuni approfondimenti di situazioni locali (Catania, Venezia, Firenze), grazie ancora a fonti giudiziarie e poliziesche, che in parte ricostruiscono anche i particolari scenari della socialità omosessuale; le analisi di sentenze contro alcuni "pederasti", le quali, sottolinea tra l'altro l'autore, "erano un utile strumento per rafforzare l'immagine dell'uomo maschio che gli omosessuali minacciavano, rendendo in questo modo visibile il codice non scritto della virilità".
Anche se Benadusi è pienamente consapevole che l'atteggiamento del regime nei confronti dell'omosessualità maschile rappresenta "il punto culminante di un'evoluzione del concetto di virilità che si era iniziato a sviluppare alla fine dell'Ottocento", è evidente che il taglio interpretativo prevalente nella sua ricerca privilegia il "volto totalitario" del regime stesso, e insiste quindi particolarmente sul tentativo fascista di costruzione di un ideale "uomo nuovo" come modello esasperatamente normativo da imporre agli italiani, penetrando fin nelle pieghe più intime e personali dell'esistenza. Le identità di genere hanno qui rilevanza, quindi, in quanto sono funzionali all'interpretazione del progetto totalitario. L'asse fondamentale dell'opera ha del resto a che fare proprio con rapporto fra il regime e i comportamenti dei singoli; il carattere prescrittivo di modelli identitari e regole di condotta è ricondotto, nell'analisi delle rappresentazioni e delle politiche concrete della mascolinità del ventennio, pressoché esclusivamente alla vocazione illiberale del fascismo in quanto cultura totalitaria. Secondo l'autore, infatti, "l'esaltazione della virilità del fascismo nasceva soprattutto dal progetto di creare un 'uomo nuovo' che comportava la trasformazione di ogni aspetto della vita individuale dei cittadini, dai comportamenti pubblici a quelli privati".
È forse anche a causa di tale impostazione di fondo, oltre che per l'evidente enormità dell'ipotetica impresa, che Benadusi non approfondisce la questione del rapporto fra ortodossia di genere promossa dal regime e modelli e linguaggi diffusi nella società più ampia (ma non la ignora: come quando, ad esempio, scrive che "l'immagine dell'omosessuale era il più delle volte priva di ogni comprensione, del tutto ingenerosa e basata su una serie di stereotipi diffusi nella società civile e condivisi dal regime"). Analogamente, appaiono qui in secondo piano le connessioni fra costruzione normativa della mascolinità e politiche di genere più ampie nel ventennio: non risulterà quindi sorprendente che l'opera a lume di logica più accostabile a questa, il fondamentale volume Le donne nel regime fascista di Victoria de Grazia (Marsilio, 1993), sia nel libro citata due volte su un totale di ben 1.178 note. Forse però a un opera che, come questa, si può comunque definire pionieristica, e che ha già, fra gli altri, il pregio di trattare ogni questione collocandola entro un contesto politico-culturale davvero ampio e variegato, sarebbe troppo chiedere di più; ma è ciò che capita, talvolta, quando si è girata l'ultima pagina di libri che sono sembrati interessanti: che non si smetterebbe più di immaginare i possibili sviluppi dei tanti discorsi che hanno aperto.

Sandro Bellassai

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Conosci l'autore

Lorenzo Benadusi

1973, Roma

Insegna Storia contemporanea all’Università di Bergamo, si occupa di storia del giornalismo e di storia di genere, con particolare attenzione all’Italia liberale e fascista. Su questi temi, oltre a numerosi saggi, ha pubblicato con Giorgio Caravale, Sulle orme di George L. Mosse (Carocci, 2012) e con Simona Colarizi, 1911. Calendario italiano (Laterza, 2011). Per Feltrinelli ha pubblicato Il nemico dell'uomo nuovo L'omosessualità nell’esperimento totalitario fascista (2005) e Ufficiale e gentiluomo. Virtù civili e valori militari in Italia, 1896-1918 (Feltrinelli, 2015).

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