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Marmo - Silvia Bre - copertina
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Marmo

Descrizione


Premio Viareggio Poesia 2007. Sotto il marmo del titolo, che evoca la tranquilla staticità del definitivo, la nuova raccolta di Silvia Bre è tutta dominata da movimenti vertiginosi: verso il cielo, le stelle, il remotamente lontano o anche solo l'alto a cui tendono "i ciuffi di basilico, gli sguardi/i quattro girasoli e il pensare"; e poi, con repentini cambi di direzione, impennate verso la terra, il sottoterra, l'abissale ("un po' più sotto è dove stanno i morti/a scalciare in eterno oltre la vita"). La realtà di chi vive sembra scorrere lungo i continui tragitti verticali tra queste dimensioni estreme, nei salti ciechi tra il corporeo e l'immaginario, nell'aspirazione paziente e disperata a una conciliazione che può venire solo dalla voce che la canta e dall'ascolto spietato del "suono che tiene unito l'universo".
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Dettagli

2007
17 aprile 2007
100 p., Brossura
9788806167479

Valutazioni e recensioni

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gino
Recensioni: 2/5

Questa raccolta è un'occasione sprecata. Poesie bellissime, poche, si trovano faccia a faccia con giochi di rime, allitterazioni e assonanze certo funzionali a ottenere il volume di un libro ma, anche e soprattutto, momenti poco ispirati. Pensare che "Sempre perdendosi" (peraltro inglobato) è, nella sua brevità, un' opera d'arte riuscita, ricca. Non così per Marmo che, in definitiva, mi sembra più un libro pretestuoso, creato mettendo insieme poesie dalle provenienze disparate e non sempre felici (immagino per scarsità di testi disponibili e riusciti), che un'opera a se stante e in grado di stare in piedi da sola.

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Voce della critica

Ancora una volta, a sei anni dall'uscita, sempre per Einaudi, di Le barricate misteriose e dopo circa venti dagli esordi in rivista (la romana "Prato Pagano"), Silvia Bre conferma con gli interessi il proprio raggio di azione e meditazione "sentimentale". Ancora una volta, nel nuovo libro, osa affrontare le questioni ultime e grandissime: il mistero della vita; le relazioni tra essere e mondo, tra l'infinitamente piccolo e l'infinitamente grande; il precario di ogni individualità con la sua trafila di condizioni sinonime (fragilità, senso di perdita, incompiutezza ecc.) e il mondo eterno, "marmoreo", della bellezza del cosmo – talvolta madre e sorella, talvolta inafferrabile e frustrante.
Bre intanto, e prima di tutto, è un'autrice mentale, "mente" o "pensiero"e simili sono parole in lei quasi immancabili, oppure "silenzio", e Wallace Stevens è – come nel suo vicino Stefano Dal Bianco – un autore significativamente citato. Nei suoi testi la materia esistenziale non è versata calda, non è confessione o aneddoto, ma si presenta come "levigata, smerigliata a fatica / a lungo (…) lavorata ancora e ancora". Quella del lavoro, con i suoi armonici più o meno intensi – "fatica", "lotta", "patire", "resistenza", oppure "lentezza", "pazienza", "organizzazione", "rigorosamente" ecc. – è a tutti gli effetti la categoria centrale di Bre, in cui ragioni etiche ed estetiche fanno tutt'uno. Parlare di sé non subito ma diciamo "giorni dopo", previa meditazione e filtraggio interiore, guardare la propria vita non da vicino ma da lontano, sembra che valga come una prova di sano autocontrollo, di etica uscita dalle vie tortuose del solipsismo – tortuose, ma anche a buon mercato e potenzialmente ricattatorie per il lettore. Il lavoro di riflessione, il "pensiero duraturo" a cui si costringe a tendere questa poetessa funziona come resistenza alla spontaneità irriflessa del momento, bandiera sia della brutta poesia sia di ogni egoismo individuale e sociale, oggi come sempre. Per quanto fin qui detto si può citare dal libro precedente ("guarda la sua vita da lontano / per farla somigliare alle altre vite") e da quest'ultimo ("nulla di mio, nulla mai più di proprio").
C'è poi il risvolto estetico, non isolabile dal primo. La dominante mentale, e dunque la distanza del soggetto dai suoi oggetti o da sé stesso, la metafora del lavoro di lima e smeriglio (ma si vedano anche le ricorrenti e pregnanti immagini del marmo o del cristallo) indicano bene come lingua e stile di Bre tendano senz'altro al classico. Su qualunque posizione si ruoti il libro si trovano conferme: compattezza tonale, medietà, naturale eleganza e spiccato senso della forma e dell'opera. Non c'è dubbio che questa poetessa governi magistralmente questi aspetti, ed è evidente la sua bravura nel creare endecasillabi strutturandoli poi in cadenze avvolgenti e ipnotiche (Un salmo è forse non a caso un titolo-segnale della dominante tonale del libro), e questo grazie anche alla giusta trama di rime e a una retorica della ripetizione euristicamente utile e insieme piacevole, come ad esempio: "Non c'è cosa ch'io dico che non dica / ch'io vivo un'altra vita che è più viva / di questa stessa mia che vivo e dico" – e per sequenze come queste verrebbe da avvicinare Bre alla Patrizia Valduga di Requiem, sela distanza tra le due non fosse quasi abissale.
Resta invece il dubbio se questo tipo di poesia, dunque anche di Claudio Damiani e altri di "scuola romana", non sia nel suo candore un po' astuta o "volpina" (così Franco Fortini a suo tempo), nella sua forma curata e pulita un po' nostalgica o bella-e-basta, troppo antinovecentesca. Come al solito non è una poetica che fa una poesia, e non è una scuola a decretare una volta per tutte fisionomie e risultati. Credo allora che in questo libro Bre non sia esente da qualche macchia del genere suddetto, soprattutto nella sezione L'opera dell'arte, ma il tessuto complessivo è netto e forte, a tratti emozionante. A leggere il libro con la dovuta attenzione (meglio dunque la seconda o la terza che la prima lettura) si sente che la compostezza e l'eleganza, ivi compreso il continuo sfiorare il manierismo, hanno veramente mediato e "lottato tenacemente" (due parole chiave del libro) con le forze contrarie dell'incomposto e dell'inafferrabile; e che il mentale condensa e raffredda, ma sempre veramente includendolo, il sentimentale – sia esso il "lento moto del dolore" o il "tema solo umano della pena", la distanza tra le stelle e l'umano "essere poco", l'ansia per la difficoltà di afferrare linguisticamente il mistero delle cose, e per la difficoltà o l'impossibilità della poesia di entrare nel cuore degli altri e di "reggere (…) un intero pianeta".
Ci sono poi almeno altri due meriti. Il primo è che sì, questa poesia è difficile, e talvolta in prima lettura può respingere, ma è quasi sempre traducibile. I ragionamenti, con le loro talvolta fitte trame retoriche e sintattiche, sono sempre smontabili e rimontabili (con qualche eccezione per i testi brevi: forse troppo oscuri, forse troppo facili). E questo perché, di nuovo, lo stile classico o "semplice" riesce a garantire quella trasparenza che ti fa vedere il fondo e pertanto verificarlo, capire se i pensieri sono astrusi o "solo" impegnativi. Il secondo merito è l'abilità di questa poetessa nel creare un circolo virtuoso, e filante senza cozzo, tra parole astratte e concrete ("i ciuffi di basilico, gli sguardi, / i quattro girasoli e il pensare"), e nel creare paesaggi e figure emblematiche, entro cui il pensiero e la mente trovano una fisicità, e attraverso cui l'io è meno io.
Il lettore potrà così proiettarsi nella contemplazione di un orizzonte fatto, in alto, di cieli, stelle, comete, astri e, in basso, di orti, piante e piantine, insetti, come in una georgica catapultata fino ai nostri giorni. Come si vede è un immaginario che magari ricorda (ma solo ricorda) quello di altre figure di spicco dell'ambiente romano o quello, appunto georgico-astronomico, del Valerio Magrelli di Ora serrata retinae. Ma poi è in ultima analisi tutto suo, come tutta sua (o forse dantesca? o memore degli angelirilkiani?) l'affascinante immagine dell'"aquila", che già c'era ai tempi delle Barricate misteriose e che anche in questo libro continua a essere protagonista dei testi più forti e riusciti.
  Andrea Afribo

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Conosci l'autore

Silvia Bre

1953, Bergamo

Silvia Bre è un'autrice e traduttrice italiana. Nata a Bergamo nel 1953, vive da molti anni a Roma. Per Einaudi ha pubblicato Le barricate misteriose (2001), Marmo (2007), La fine di quest'arte (2015) e Le campane (2022) grazie al quale è entrata nella cinquina finalista del Premo Strega Poesia 2023. Ha tradotto inoltre tre volumi di poesie di Emily Dickinson: Centoquattro poesie (2011), Uno zero piú ampio (2013), Questa parola fidata (2019).

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