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parole tra noi leggere

Descrizione


Premio Strega 1969. Fino a che punto una madre aiuta o mette in difficoltà un figlio negli anni della sua formazione? Si può raccontare il rapporto tra una madre e un figlio? Un confronto tra generazioni nel segno di un coraggio morale che non si ferma davanti alle verità più difficili. Il romanzo ha vinto il Premio Strega 1969.
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Dettagli

1996
Tascabile
1 gennaio 1997
IX-300 p.
9788806140359

Valutazioni e recensioni

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Biagio Mastrangelo
Recensioni: 5/5

Un romanzo davvero interessante: ben scritto, profondo, amaro, allegro, struggente, a tratti cattivo. Un romanzo che si lascia leggere e catapulta il lettore nel rapporto madre-figlio , il rapporto più bello e più crudele che esista!

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Maria Francesca
Recensioni: 5/5

Come si dipana il delicato rapporto tra una madre e un figlio? Come accettare i silenzi, le diverse scelte di vita? Da abile "analista" dell'animo umano, Lalla Romano ci offre un altro suo capolavoro.

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Zelda
Recensioni: 5/5

Più che un romanzo potrebbe essere definito anche saggio-un saggio leggero ma ben scritto, molto architettate le emozioni e la descrizione del personaggio principale figlio dell'autrice. Questo tragazzo è paradossalmente pieno di contraddizione. Intelligente ricco di capacità ma con poca voglia di studiare. di prìimo acchitto risulterebbe un ragazzo che non ha voglia di far nulla per indolenza. Con la madre ha un rapporto difficile mentre più facile con il padre. Nonostante le divergenze di opinione tra madre e figlio la narratrice riconosce che l'atteggiamento del figlio è quello tipico degli artisti. Il ragazzo (il racconto è ambientato negli anni '50) anticipa quelle tematiche che poi i giovani nel '68 rivendicheranno.

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Recensioni

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Voce della critica


recensione di Bo, R., L'Indice 1996, n.10

Qualora si consideri l'interesse che suscita e ha suscitato in tempi recentissimi Lalla Romano (nata nel 1906), artista poliedrica la cui fama da sempre si divide tra segno pittorico e scrittura (il primo volume dei "Meridiani" che raccoglie le sue opere è del '91), non sorprenderà questa recensione alla riedizione di un romanzo la cui prima comparsa nelle librerie è datata 1969.
Della Romano, che molti critici non esitano e definire "autore", "scrittore", come se la declinazione al femminile di questi sostantivi potesse in qualche modo scalfirne il significato, contaminandoli con una patina di leziosaggine o sentimentalismo (per essere intellettuali o artisti occorre dunque camuffarsi da uomini, o piuttosto l'arte è tale solo laddove sia rigorosamente asessuata?), della Romano, si diceva, e della sua chiara vocazione alla memoria e all'autobiografia molto si è discusso e scritto, individuando in questa tendenza all'esplorazione attenta, estrema e pure trasfigurata, della propria esperienza di vita la cifra più immediatamente riconoscibile della sua scrittura. "Le parole tra noi leggere" racconta, senza vivisezionarlo scientificamente e senza accampare alcuna pretesa di tipo psicoanalitico, del complesso e viscerale rapporto che si sviluppa tra una madre (colei che assume il ruolo di io narrante) e un figlio, a partire dai primi anni dell'infanzia di Pierino fino al suo definitivo ingresso nell'età adulta, che lo vede sposato e autore a sua volta di un libro, naturalmente autobiografico. Non occorre certo affannarsi per cercare delle corrispondenze: la madre è Lalla e il figlio è suo figlio Piero, e il dichiarato scomporsi e sovrapporsi di persone e personaggi costituisce uno degli elementi di maggior fascino del volume, perduto e dilatato com'è il confine tra finzione e realtà; per i lettori affezionati della scrittrice non sarà poi difficile ravvisare altri frammenti del suo romanzo familiare in opere precedenti ("Maria") o successive a questa ("Nei mari estremi").
Nel comporre "Le parole", l'autrice, oltre che alle vicende biografiche, ammette (nel colloquio introduttivo con Vittorio Sereni che funge da prefazione al volume - corredato anche di antologia e bibliografia della critica) di essersi ispirata in modo assolutamente "confidenziale" a un verso delle montaliane "Riviere", in cui il poeta si propone di "cangiare in inno l'elegia", espressione che l'avrebbe spinta a cancellare quanto più possibile dalle sue pagine il peso appunto dell'elegia, di quell'attitudine troppo lirica o sentimentale che temeva il lettore vi cogliesse inesorabilmente. A partire da questo spunto si può dire che il binomio vita e letteratura si ripropone in una formulazione nota ma non per questo inefficace: come altri libri della Romano ("Maria" rispetto al flaubertiano "Un coeur simple", "La penombra che abbiamo attraversato" in rapporto a Proust, e così via) anche questo nasce all'incrocio fra il tragicomico succedersi degli eventi quotidiani di un nucleo familiare piuttosto peculiare e le suggestioni che dal territorio dell'arte figurativa e della letteratura lo attraversano: certi momenti nella costruzione dello straordinario personaggio del figlio sembrano uscire dalle tele di Casorati per la loro pensosa maestosità, così come le sue avventure mirabolanti ricordano i protagonisti dei più riusciti contes philosophiques; ma c'è anche l'arte "povera" del Fortunello eroe da fumetto, le suggestioni della scuola dello sguardo, e altro ancora. A guardar meglio, quasi sempre di arte si parla nel romanzo: i libri e le tele della madre lo percorrono al pari degli estemporanei manufatti del figlio (originalissime sculture, disegni, composizioni letterarie), che da primitivi vanno facendosi sempre più raffinati e complessi, e il discorso sulla creatività, sul talento, sulla fatica dell'essere artisti è la nota più costante e prepotente del libro; al punto che i protagonisti in alcuni luoghi smettono di essere due per lasciare libera la scena al noi che occhieggia dal titolo e sembra alludere a un colloquio molto più interiorizzato, incentrato sulle motivazioni più profonde dell'arte, un'arte vissuta, amata, ricercata e insieme rifiutata. Perché non occorre frequentare Freud per comprendere come un figlio possa rappresentare simbolicamente per ogni genitore la parte più creativa e vitale di se stessi: figuriamoci nel caso di una personalità tanto "artisticamente" evoluta come quella della Romano.
Per questo mi pare che l'autodifesa pronunciata dall'autrice circa la liceità della memoria in arte e la necessità da lei profondamente avvertita (certo anche in seguito a manifeste incomprensioni nei confronti della sua scrittura) di impadronirsi di uno stile che la riscattasse da un universo troppo intensamente pensato al femminile, sia in un certo senso superflua, anche se certamente condivisibile. Il suo coraggio non è stato solo quello di mettere in scena un tormentato rapporto esistenziale col figlio (vivo, tra l'altro, e quindi in grado di leggerla e giudicarla), quanto soprattutto quello di dar voce al continuo interrogarsi interiore dell'artista. Un colloquio che, sebbene siano passati quasi trent'anni dalla sua stesura, è ancora estremamente attuale, certo più della tematica relativa alle difficoltà dei rapporti generazionali negli anni sessanta: quest'ultima corrisponde a un fatto ben contestualizzabile - pur nella sua autenticità e nel suo valore ancora presente -, le parole leggere che inseguono la radice dell'arte (dove risiede: nel lungo studio o nella trasgressione, nella vita attiva o nell'otium, nella responsabilità o nel fatalismo?) fanno parte invece di un patrimonio di pensiero non condizionato dallo scorrere del tempo. Non nuoce, in conclusione, tornare alla lirica di Montale che ha ispirato questo romanzo-confessione, per sottolineare ancora quanto affine fosse la meta che la scrittrice e il poeta proponevano a se stessi (ben consapevoli della sua irraggiungibilità: "Le parole" sono in fondo un libro non concluso): "Ed un giorno sarà ancora l'invito / di voci d'oro, di lusinghe audaci, / anima mia non più divisa. Pensa: / cangiare in inno l'elegia; rifarsi; non mancar più".

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Conosci l'autore

Lalla Romano

(Demonte, Cuneo, 1906 - Milano 2001) scrittrice italiana. Esordì con la raccolta di versi Fiore (1941), cui seguirono L’autunno (1954) e Giovane è il tempo (1974). Più significativa fu la sua opera di narratrice, iniziata con le prose di Le metamorfosi (1951) e col romanzo Maria (1953), che rivelarono la specifica attitudine a creare atmosfere rarefatte e ad analizzare affetti semplici e domestici: una poetica che toccò il momento più alto nel lungo racconto autobiografico La penombra che abbiamo attraversato (1964). Toni delicatamente psicologici caratterizzano anche i libri successivi: Le parole tra noi leggere (1969, premio Strega), L’ospite (1973), Inseparabile (1981), di impianto autobiografico. Con Nei mari estremi (1987) e Un sogno del Nord (1989) la R. tornò alla libertà inventiva...

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