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Le parole e la giustizia. Divagazioni grammaticali e retoriche su testi giuridici italiani - Bice Mortara Garavelli - copertina
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Le parole e la giustizia. Divagazioni grammaticali e retoriche su testi giuridici italiani
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Descrizione


Questo libro si interroga sui caratteri generali e sulle tendenze attuali del linguaggio giuridico, passando in rassegna particolarità lessicali, grammaticali, stilistiche e retoriche di testi legislativi, di atti processuali, di documenti prodotti dalla pubblica amministrazione, senza rinunciare a rilevarne improprietà, inutili complicazioni e incoerenze, né a richiamare l'attenzione sulle cautele da prendere nel semplificarne la stesura. Da ultimo si propongono esempi tipici di oratoria forense.
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Dettagli

2001
27 marzo 2001
XVI-264 p.
9788806124403

Voce della critica

Autorevoli recensori (Giorgio Bertone sul "Secolo XIX"; Maria Corti sulla "La Repubblica") hanno raccomandato il libro di Bice Mortara Garavelli presentandolo come un avvincente racconto di viaggio: il viaggio di un grammatico - e maestro di retorica - nell'esotico universo linguistico del diritto italiano. Si tratta di una chiave di lettura sicuramente condivisibile, che risulta avallata dalla stessa autrice, la quale ricorre sovente a sintagmi evocatori di esplorazioni scientifiche ("si inseguono (...) tracce", "si percorre (...) il terreno", "si inseguono fenomeni", "si punta poi l'obiettivo", "ultima tappa" ecc.). Come in un racconto di viaggio, la narrazione conduce il lettore lungo un itinerario in quattro tappe, corrispondenti ad altrettanti capitoli del libro.

Nella prima tappa (Indagini preliminari sul linguaggio giuridico), si giunge a un'altura da cui si domina la selva sconfinata, "qua e là oscura", dei testi giuridici italiani. Qui l'autrice fornisce il lettore di un equipaggiamento utile non soltanto per l'incipiente esplorazione da lei guidata, ma anche per futuri viaggi autoorganizzati, esponendo le peculiarità del linguaggio giuridico e delineando una tassonomia tripartita dei testi giuridici: rispettivamente, "normativi" (la Costituzione, le convenzioni internazionali, le leggi statali, i regolamenti comunali ecc.), "interpretativi" (le note a sentenza, i trattati di diritto, le voci di enciclopedie giuridiche ecc.), e "applicativi" (le sentenze, le ordinanze sindacali, i contratti, i testamenti ecc.).

La seconda e più lunga tappa del viaggio si snoda per quella parte della selva giuridica, che è popolata di testi normativi (Analisi di testi normativi). Il lettore viene guidato nella fitta vegetazione dei codici e delle leggi speciali, sovrastata dalle alte e armoniose fronde della Costituzione (nelle sue parti originarie). Mentre vi si addentra, l'autrice gli fa cogliere numerosi aspetti - e difetti redazionali - dei testi normativi, sottoponendone un ampio campione a una dettagliata analisi sintattica, lessicale e stilistica, che costituisce uno dei principali contributi del libro alla conoscenza della nostra esperienza giuridica.

La terza tappa del viaggio (Lessico e stereotipi sintattici) è un girovagare tra i testi giuridici, con particolare attenzione a quelli interpretativi e applicativi, che rivela discutibili abitudini linguistiche, tra cui, ad esempio: la preferenza per le espressioni astratte, per le parole antiquate e ricercate, per le citazioni latine, per gli pseudotecnicismi, nonché la perversa tendenza alla "complicazione indiscreta", che si materializza in testi ragguardevoli per l'indebita complessità sintattica e la profonda oscurità semantica.

Si giunge così alla quarta e ultima tappa dell'itinerario (Dispositivi retorici nel tessuto dell'oratoria forense). La selva cede, per un breve spazio, a una radura. In fondo alla radura, il lettore scorge un edificio dalle forme arcaiche. Pensa di essere giunto al tempio della Giustizia (il libro non s'intitola, forse, Le parole e la giustizia?): nel quale, narrano gli antichi, su pareti di cristallo rifulgono, in lettere auree, i precetti del sommo diritto. Ma si sbaglia. L'edificio alberga infatti, appilate alla rinfusa, le orazioni di celebri avvocati: Demostene, Cicerone, Raymond de Sèze, Francesco Carnelutti... Ed è visitato dagli spettri di clienti risentiti (tra cui l'omicida Milone), giurati creduloni, e giudici non insensibili all'adulazione e al fascino, indubitabile, delle parole alate. Qui l'autrice, dopo una panoramica delle tradizionali risorse dell'oratoria forense (ragione, autorevolezza e mozione dei sentimenti), fa misurare al lettore la distanza, amplissima, che separa le argomentazioni nelle aule di giustizia da un modello ideale di dialettica forense, di stampo razionalistico, mutuato dagli studiosi olandesi Frans Van Eemeren e Rob Grootendorst (una fonte alternativa avrebbe potuto essere Robert Alexy, Teoria dell'argomentazione giuridica. La teoria del discorso razionale come teoria della giustificazione giuridica, a cura di Massimo La Torre, Giuffrè, 1998, che contiene un articolato codice del ragionamento pratico-giuridico).

Nella realtà, un'argomentazione forense è un susseguirsi di trucchi, fallacie, vanterie e intimidazioni. Se, ad esempio, una controparte ci pone un quesito imbarazzante, al quale non vogliamo o non possiamo rispondere, le si può fornire una risposta solo in apparenza pertinente (ignoratio elenchi); le si può consigliare di non insistere, minacciando ritorsioni (argumentum ad baculum); si può rammentare all'uditorio che essa, in precedenza, si è rifiutata di rispondere a domande dello stesso tipo (argumentum tu quoque); la si può mettere in cattiva luce presso l'uditorio, rammentando alcuni suoi tratti poco rispettabili (argumentum ad hominem); si possono richiamare, con aria indignata, l'autorità e/o le elevate qualità e/o le imprese del proprio cliente (argumentum ad verecundiam); e infine, se si è proprio alle strette, si può invocare la clemenza della corte (argumentum ad misericordiam), anche se, nelle circostanze della causa, una simile invocazione potrebbe apparire oltraggiosa, poiché vi sarà sempre qualcuno, nell'uditorio, che è ben disposto nei confronti della spudoratezza.

Nel modello di Van Eemeren e Grootendorst, invece, un'argomentazione forense deve osservare un rigoroso decalogo "della discussione critica", informato ai valori del rispetto delle controparti, dell'onestà intellettuale e della correttezza argomentativa: ad esempio, è vietato attribuire alla controparte una tesi che quest'ultima non ha mai sostenuto; è vietato disconoscere tesi sostenute in precedenza; è vietato formulare le proprie tesi con espressioni oscure, confuse o ambigue; è obbligatorio addurre argomenti pertinenti, logicamente validi, conformi a schemi argomentativi appropriati e correttamente applicati.

Se Le parole e la giustizia sembra prestarsi a essere considerato un racconto di viaggio, così come suggerito da taluni recensori con il benestare dell'autrice, ritengo però che possa anche essere letto muovendo da una diversa ipotesi interpretativa: secondo cui, al di là delle sobrie e solide vesti del saggio accademico, esso perseguirebbe dei chiari fini politici, e sarebbe pertanto, sotto questo profilo, un libro impegnato e partigiano. Occorre subito precisare, tuttavia, che la parte per cui il libro parteggia non è un conglomerato politico, ma un insieme di ideali neoilluministici.

Gli illuministi ritenevano che la migliore forma di governo fosse il governo delle leggi: da attuarsi, tra le altre cose, mediante una radicale riforma delle fonti del diritto, sostituendo al caos normativo dell'antico regime un numero relativamente limitato di articoli, redatti in modo semplice e chiaro, e disposti in buon ordine in codici di modeste dimensioni.

Dal libro di Mortara Garavelli, l'operatore giuridico neoilluminista potrà desumere svariate direttive per una corretta redazione dei testi normativi: tra cui, ad esempio, i canoni della correttezza e della costanza interpuntiva, della parsimonia ipotattica e della ripetizione virtuosa, che bandisce l'uso di sinonimi e pronomi. Nella prospettiva neoilluministica che informa Le parole e la giustizia, tuttavia, la corretta redazione dei testi normativi - non sempre perseguita dai nostri nomoteti, registrandosi al contrario una diffusa indulgenza a un legiferare trasandato, che vilipende la funzione legislativa, mortifica la certezza del diritto, e offende l'intelligenza e il senso di giustizia dei cittadini - costituisce una condizione d'ordine linguistico necessaria, ma non sufficiente, del governo delle leggi. Affinché siano davvero le leggi - giuste e ben scritte - a governare, dev'essere soddisfatta un'ulteriore condizione. Occorre, in particolare, che gli interpreti e gli applicatori del diritto modifichino radicalmente il loro modo di parlare e di scrivere: che vuol dire modificare il loro modo di pensare, quantomeno per ciò che attiene alle forme del pensiero. Sia pure con la precisazione appena formulata, un tale suggerimento di politica linguistica proietta il programma neoilluminista che ispira Le parole e la giustizia nelle più alte e commendevoli sfere dell'utopia della ragione.

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Conosci l'autore

Bice Mortara Garavelli

1931, Montemagno

Bice Mortara Garavelli, professore emerito di Grammatica italiana nell’Università di Torino, è Accademica della Crusca. Tra le sue più recenti pubblicazioni, Le parole e la giustizia. Divagazioni grammaticali e retoriche su testi giuridici italiani. Per Laterza ha pubblicato: Storia della punteggiatura in Europa (2008), Prima lezione di retorica (2013), Il parlar figurato (2014), Silenzi d'autore (2015), Prontuario di punteggiatura (2015).

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