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Il ribelle in guanti rosa. Charles Baudelaire - Giuseppe Montesano - copertina
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Il ribelle in guanti rosa. Charles Baudelaire
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Il ribelle in guanti rosa. Charles Baudelaire - Giuseppe Montesano - copertina

Descrizione


Il fondatore della poesia moderna, il poeta maledetto, il critico della borghesia, il più celebrato cantore degli eccessi (il sesso, gli alcol, le droghe) nella modernità: non è facile scrivere di Baudelaire, raccontarne la strepitosa parabola letteraria e umana senza incorrere nei luoghi comuni da una parte e nelle sofisticate distinzioni degli specialisti dall'altra. Il libro di Montesano cerca questa terza via, conducendo il lettore in una Parigi brulicante di teorie, di rêveries, allucinazioni oscure e illuminazioni abbaglianti, incontra una folla di personaggi insigni e oscuri. E soprattutto, se Baudelaire è il poeta che "si è consegnato a molte maschere", Montesano cerca di indentificarle tutte, di registrarle minuziosamente per poi strapparle, svelandone ora il sovrapporsi al volto ora il confondersi con la carne e il sangue dell'uomo che vi sta sotto.
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Dettagli

2007
441 p., Brossura
9788804550600

Valutazioni e recensioni

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Beppe
Recensioni: 5/5

Libro notevole, accuratissimo nella ricerca delle fonti e che rappresenta a pieno lo spirito di questo "Ribelle in Guanti Rosa" reso in una forma narrativa scritta in un pregevole ed appassionante linguaggio dal quale traspare una sicura maestria dell'autore nel "maneggiare" un tale esemplare personaggio. Grande Montesano.

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antonio d'agostino
Recensioni: 4/5

Libro affascinante e coinvolgente pur essendo un saggio ai confini della biografia romanzata. E'un testo anche difficile , per quei lettori che non si accontentano , ma riempie come pochi e come pochi ci fa viaggiare nell'atmosfera Baudelaire e nel suo tempo.

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Federico
Recensioni: 5/5

Do' il massimo punteggio al libro, e un uno pieno a coloro che lo hanno criticato malamente. Ho letto il libro serenamente, a mo' di consueto romanzo, senza pretendere riscontri biografici; se avessi comprato il libro per conoscere la vita di Baudelaire non sarei stato più che un modaiolo che si compiace del librettone posto sullo scaffale delle novità. E' una lettura piacevole; l'unica cosa che ho preteso acquistandolo è stata che mi appassionasse come ogni romanzo dovrebbe fare. L'ha fatto, quindi non vedo perché negargli il massimo voto. Ho considerato giusto svincolare gli studi su Baudelaire dalla lettura; tra l'altro lo stesso titolo del libro sembra già dare una chiara impronta di ciò che contiene "il ribelle in guanti rosa" per coloro che affermano di conoscere e studiarne l'opera, come la vita, non c'è bisogno di aggiungere altro.

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Voce della critica

Baudelaire aveva previsto di concludere la seconda edizione dei Fiori del male (1861) con un grande Epilogo in terza rima: una scelta metrica che costituisce in sé un estremo omaggio a Dante, il poeta da cui aveva appreso che solo la potenza del ritmo può avere la forza di placare la furia delle menadi che governano Dite. La città maledetta che campeggia al centro del suo paesaggio infernale è Parigi, ed è dall'alto di Montmartre che il poeta avrebbe levato questo ultimo canto, carico di passione e di rancore, come già avevano fatto Samuel Cramer alla fine della Fanfarlo, il primo racconto di Baudelaire, e Rastignac dopo il funerale di Goriot. Il progetto è rimasto incompiuto, e ne sussiste solo la prima serie di terzine e una trentina di versi sparsi, che sono come massi erratici rotolati giù dalla montagna per formare la cava destinata a fornire la pietra per l'ultima pagina del libro. Si tratta di una lunga enumerazione che alla rinfusa lascia vedere, sotto a un cielo muto e tenebroso, palazzi e lupanari, fabbriche e teatri nel frastuono di un'orchestra di campane e di cannoni. Quando d'un tratto brilla un verso allusivo dedicato ai "magici pavés" di Parigi "innalzati in fortezze". È curioso che Giuseppe Montesano non abbia citato questo verso, dal momento che esso racchiude tutto il senso del suo suggestivo e appassionato libro su Baudelaire (Il ribelle in guanti rosa, pp. 441, € 19, Mondadori, Milano 2007).
Il pavé è il selciato delle strade di Parigi, e del suo porfido sono lastricate le poesie dei Fiori del male. È tra le sue fissure che il poeta cerca l'ispirazione, lasciando incespicare la propria immaginazione affinché possa sorprendere i misteri della città nei suoi anfratti, prestando ai versi l'andamento spezzato e sconnesso di chi cammina con passo insicuro tra una folla di sconosciuti che hanno il volto dell'ignoto. La magia del pavé è metafora della magia della poesia secondo Baudelaire: essa trasforma in oro l'orrore del reale, facendo della città di pietra uno scenario onirico sul quale si proiettano gli angeli e i demoni di un altrimenti insondabile teatro interiore. Il pavé è la pietra poetica, nel senso di pietra filosofale, che promette di rivelare la verità nascosta nelle pieghe della città moderna, tra le rovine di Parigi. Nella sua durezza si concentra ogni rancore, sulla sua superficie la città si specchia in tutta la sua inquieta bellezza.
Ma in quel verso dell'incompiuto Epilogo, è soprattutto chiara l'allusione a quelle che Hugo, nei Miserabili, aveva chiamato le "costruzioni dell'odio": le barricate rivoluzionarie che, come le rughe di un viso contratto dalla rabbia, hanno stravolto i lineamenti delle strade di Parigi a ogni suo sollevamento popolare, trasformando la pietra del selciato in arma, in baluardo a difesa della giustizia. È la sua trasformazione in pietra rivoluzionaria a rivelare il potere magico che il verso assegna al pavé e, fuori di metafora, a designare la connotazione esoterica che il Romanticismo, nei suoi ultimi anni, ha attribuito all'idea di rivoluzione.
Paul Bénichou, nel Tempo dei profeti (il Mulino, 1997), preceduto da Auguste Viatte (Les Sources occultes du Romantisme, Champion, 1928) e seguito da Paul Bowman (Le Christ des barricades, Cerf, 1987), ha mostrato come, negli anni che hanno preceduto il 1848, sul tronco mozzato dell'albero della libertà si siano innestati dei rami carichi di linfa spiritualista, esoterica e religiosa che hanno indirizzato la ricerca di giustizia sociale verso le vaghe lontananze di un orizzonte messianico. Il prete diventa mago, il poeta assume il tono del profeta, il filosofo si fa oracolo, scrutando in cielo e annunciando in terra i segni del prossimo avvento di una nuova era di conciliazione universale che avrebbe coniugato riscatto sociale e salvezza spirituale. È allora che Parigi si dissemina di figure come il Mapah, ex giocatore d'azzardo convertito al culto di una divinità ermafrodita concepita da Maria con Gesù il 14 luglio 1789, è allora che Nerval riscopre gli illuminati settecenteschi e che si diffonde il verbo di Swedenborg, diffuso dai seguaci di Saint-Martin e poi dell'abate Constant, il quale, passando dal convento alla galera, si proclama mago con il nome di Eliphas Lévi. Ed è in questa Parigi che Montesano conduce il suo lettore, tra spelonche e specole, riconoscendo in un angolo, tra gli assidui di queste mescite dell'Assoluto e nell'ombra di Proudhon e di Louis Ménard, il giovane Baudelaire.
Numerosi indizi, qui puntualmente rilevati, tratti dal Mio cuore messo a nudo, ma già presenti in numerosi scritti giovanili, avvalorano il fatto che in queste frequentazioni Baudelaire non cercasse solo il piacere della provocazione e dell'insolito, ma che tra i cascami esoterici dell'idealismo romantico egli trovasse di che sostanziare il suo fondamentale spiritualismo. È da questa melassa magico-messianica che egli ha distillato e depositato per sempre nel fondo della sua immaginazione la figura di una salvezza intesa come ricongiunzione astrale dei contrari che lacerano le fibre dell'essere. I fili delle sinestesie che si intrecciano in Correspondances partono da lì, e gli splendori marini che egli collocherà in un passato al tal punto remoto da coincidere con il paradiso anteriore alla colpa, in origine erano proiettati in un firmamento illuminato dai bagliori di un'apocalisse repubblicana.
L'apocalisse non si fa attendere molto. Nel febbraio 1848 il pavé opera la sua magica metamorfosi, e Baudelaire è sulle barricate, le mani sporche di polvere da sparo. Non crede nella rivoluzione, quanto nella forza della ribellione, prestando allo stato da abbattere il volto del suo patrigno, il generale Aupick (sulla cui tomba l'imbarazzante risvolto di copertina del libro invita a sputare). Ma l'operazione alchemica volge al nero. In giugno, gli efferati massacri degli insorti, che Montesano evoca con grande efficacia orchestrando le più diverse testimonianze, rivelano, come nel gioco della morra, che la carta vince sulla pietra. La carta è quella della stampa che avvalla la per niente magica trasformazione della Seconda repubblica in Terzo impero. È allora che nel crogiuolo baudelairiano di Montesano, Dalf Oehler (Le Spleen contre l'oubli, Payot, 1996) viene a mescolarsi con Bénichou, facendo apparire quanto lo spleen baudelairiano sia condizionato dalla definitiva caduta nel sangue delle illusioni rivoluzionarie. La sconfitta brucia ogni sete di vendetta, lasciando solo l'arsura di un rancore sordo e clandestino. Quel rancore che attraversa la sezione Révolte dei Fiori del male, a cui sono dedicate tra le più belle pagine del libro, talvolta forzate ma per questo vibranti, senza mai dimenticare che non si tratta della poesia di un rivoluzionario, ché Baudelaire non lo è mai stato, ma del congedo di un ribelle che saluta la propria giovinezza prima di murarsi nelle sue segrete stanze interiori in cui accogliere la sconfitta come figura irrimediabile del destino.
Il sentimento della disfatta piomba Baudelaire nel nero assoluto, reso ancora più nero dall'influenza di de Maistre e della sua sadica religione del terrore che trasferisce al sangue sacrificale le virtù purificatrici dell'acqua battesimale. Ma queste tenebre sono costantemente attraversate dai bagliori di una luce che promette di raddrizzare il destino verso un orizzonte di salvezza. Ed è qui che si colloca l'originalità del Baudelaire di Montesano, focalizzando, pur nelle pieghe più profonde del male, la tenace resistenza della speranza di ricomporre in chiave armonica le forme infrante del reale. È una speranza che attinge la sua forza e la sua luce in quell'idealismo misticheggiante che brilla nel diadema della corona di cui il poeta si cinge la testa in Bénédiction, forgiata nel crogiuolo di quelle prime letture esoteriche di Baudelaire che per sempre hanno fissato l'orizzonte romantico della sua poesia.
Il Ribelle in guanti rosa, invece di archiviare quei libri, su cui pure Baudelaire ironizzerà, nel novero delle sue stravaganze giovanili, ne rivela il persistente influsso destinato a mantenere viva la speranza di una possibile redenzione. Essa non sarà mai realizzata, l'orizzonte della salvezza non sarà mai raggiunto e la lucidità nel male risulterà sempre più forte della fede nel bene. Eppure la speranza della redenzione scava nelle tenebre quei sentieri luminosi che Baudelaire continuamente tenterà di seguire nella sua disperata ricerca di un'innocenza originaria..
Questa via, Montesano la ripercorre seguendo il Puech di Sulle tracce della Gnosi, identificando la figura del poeta con quella dello gnostico libertino che scruta il volto terribile di Eros e delle sue sacerdotesse cercando negli anfratti della lussuria e nel corpo di Venere (il corpo splendido di Jeanne, il corpo miserabile di Sara), nelle viscere dell'impiccato di Citera e nelle caverne di Lesbo, quella "beatitudine redentrice" promessa dal dogma dell'incarnazione dello spirito. Dogma che costituisce il centro di questa controreligione erotica celebrata sulle note del Tannhauser, che non ammette la separazione del corpo e dello spirito, ma che cerca la loro mistica ricongiunzione. La compassione per gli umili, il culto poetico e fisico della prostituzione, già studiato da Reginald McGinnis (La Prostitution sacrée, Belin, 1994), l'umiliazione di se stesso saranno altrettante vie nella ricerca di una comunicazione con la verità luminosa dell'essere che giace, sepolta "lontana da ogni sonda", nelle segrete del dolore.
Nessuna poesia di Baudelaire celebra la conquista di questo ideale. Se la musicalità di alcuni versi farà sentire l'eco della sua armonia, ogni poesia ne dirà sempre il carattere inattingibile. Ma è questa la storia di una ricerca, l'analisi di una tensione che mantiene saldamente collegato il poeta della modernità, tentato dal nichilismo, al giovane romantico che cercava la redenzione nella ribellione, e che nel fumo delle barricate credeva di riconoscere odore d'incenso.   Luca Pietromarchi

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Giuseppe Montesano

(Napoli 1959) scrittore italiano. Studioso e traduttore di letteratura francese (La Fontaine, Gautier, Flaubert, Villiers de l’Isle-Adam, Baudelaire, di cui ha curato l’edizione nei «Meridiani» con G. Raboni), collabora con diverse testate giornalistiche (i suoi ritratti satirici sul «Mattino» sono raccolti in Magic people, 2005). Ha esordito nella narrativa con A capofitto (1996), romanzo in cui si muovono, tra ironia, gusto del grottesco, vitalità napoletana e crudo realismo, una miriade di personaggi picareschi. Nel successivo Nel corpo di Napoli (1999) la città partenopea diventa metafora di un mondo caotico. Di questa vita menzognera (2003, premio Viareggio) è una feroce satira politica e sociale che propone un grottesco e amaro...

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