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Vivere per raccontarla - Gabriel García Márquez - copertina
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Vivere per raccontarla

Descrizione


In questo libro "Gabo", Gabriel García Márquez, ricrea e racconta un periodo fondamentale della sua vita, gli anni dell'infanzia e della giovinezza, quelli in cui si forma l'immaginario che, nel tempo, darà vita a "Cent'anni di solitudine" e tanti altri romanzi. L'autore fa rivivere gli anni trascorsi sulla costa caraibica della Colombia, a contatto con una realtà miracolosa in cui il magico era prima di tutto un elemento del quotidiano. Il lettore di García Márquez troverà l'eco delle storie e dei personaggi che hanno animato "L'amore ai tempi del colera", "Cronaca di una morte annunciata" e altri romanzi dell'autore.
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Dettagli

2004
Tascabile
11 maggio 2004
425 p., Brossura
9788804530107
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Indice


Le prime frasi del libro:

1

Mia madre mi chiese di accompagnarla a vendere la casa. Era arrivata quel mattino a Barranquilla dal paese lontano dove viveva la famiglia e non aveva la minima idea su come trovarmi. Domandando qui e là fra i conoscenti, le indicarono di cercarmi nella libreria Mondo o nei caffè lì accanto, dove mi recavo due volte al giorno a chiacchierare con i miei amici scrittori. Chi glielo disse l'avvertì: "Ci stia attenta perché sono dei pazzi scatenati". Arrivò a mezzogiorno in punto. Si fece strada col suo andare lieve fra i tavoli carichi di libri in mostra, mi si piantò davanti, guardandomi negli occhi col sorriso malizioso dei suoi giorni migliori, e prima che io potessi reagire, mi disse:
"Sono tua madre."
Qualcosa in lei era cambiato e mi impedì di riconoscerla a prima vista. Aveva quarantacinque anni. Sommando i suoi undici parti, aveva passato quasi dieci anni incinta e almeno altrettanti allattando i suoi figli. I capelli le erano incanutiti prima del tempo, gli occhi sembravano più grandi e attoniti dietro le sue prime lenti bifocali, e osservava un lutto stretto e severo per la morte di sua madre, ma conservava la bellezza romana del suo ritratto di nozze, adesso nobilitata da un'aura autunnale. Innanzitutto, ancora prima di abbracciarmi, mi disse col solito stile cerimoniale:
"Vengo a chiederti il favore che mi accompagni a vendere la casa."
Non dovette dirmi quale, né dove, dal momento che per noi ne esisteva una sola al mondo: la vecchia casa dei nonni a Aracataca, dove avevo avuto la buona sorte di nascere e dove non avevo più abitato dopo gli otto anni. Avevo appena abbandonato la Facoltà di Legge dopo dei semestri, dedicati più che altro a leggere quanto mi finiva tra le mani e a recitare a memoria le poesie irripetibili del Secolo d'Oro spagnolo. Avevo già letto, tradotti e in edizioni imprestate, tutti i libri che mi sarebbero bastati per imparare la tecnica di scrivere romanzi, e avevo pubblicato sei racconti in supplementi di giornali, che avevano riscosso l'entusiasmo dei miei amici e l'attenzione di alcuni critici. Il mese successivo avrei compiuto ventitré anni, ero ormai inadempiente rispetto al servizio militare e veterano di due blenorragie, e ogni giorno fumavo, senza premonizioni, sessanta sigarette di tabacco atroce. Alternavo i miei ozi fra Barranquilla e Cartagena de Indias, sulla costa caraibica della Colombia, sopravvivendo come un pezzente grazie a quello che mi pagavano per i miei articoli quotidiani su "El Heraldo", che era meno di niente, e dormivo nella miglior compagnia possibile dove mi sorprendeva la notte. Come se l'incertezza delle mie aspirazioni e il caos della mia vita non bastassero, insieme a un gruppo di amici inseparabili mi accingevo a pubblicare una rivista temeraria e senza mezzi che Alfonso Fuenmayor progettava da tre anni. Cos'altro potevo desiderare?
Più per penuria che per gusto personale anticipavo la moda che si sarebbe diffusa di lì a vent'anni: baffi silvestri, capelli scarruffati, pantaloni di tela jeans, camicie a fiori equivoci e sandali da pellegrino. Nel buio di un cinema, e senza sapere che io ero lì vicino, un'amica di allora disse a qualcuno: "Il povero Gabito è un caso disperato". Sicché quando mia madre mi chiese di andare con lei a vendere la casa non ebbi problemi a dirle di sì. Lei mise in chiaro che non aveva abbastanza denaro e per orgoglio le dissi che mi sarei pagato le mie spese.
Al giornale dove lavoravo non avrei potuto risolvere la situazione. Mi pagavano tre pesos per ogni pezzo e quattro per un editoriale quando mancava qualcuno degli editorialisti fissi, ma mi bastavano appena. Cercai invano di chiedere un prestito, perché il direttore mi ricordò che il mio debito originale ammontava a oltre cinquanta pesos. Quel pomeriggio commisi un abuso di cui nessuno dei miei amici sarebbe stato capace. All'uscita dal caffè Colombia, vicino alla libreria, mi incamminai con don Ramón Vinyes, il vecchio maestro e libraio catalano, e gli chiesi in prestito dieci pesos. Ne aveva solo sei.
Né mia madre né io avremmo neppure potuto immaginare che quell'innocente passeggiata di soli due giorni sarebbe stata così determinante per me, che la più lunga e diligente delle vite non mi basterebbe per finire di raccontarla. Adesso, con oltre settantacinque anni alle mie spalle, so che fu la decisione più importante fra quante dovetti prendere nella mia carriera di scrittore. Ossia, in tutta la mia vita.

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ehiconti
Recensioni: 1/5

Concordo con un recensore...libro adatto per i fans di Garcia Marquez. Noioso e prolisso.

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AdrianaT.
Recensioni: 4/5

Leggere l'autobiografia di Márquez è stato percorrere, dall'origine al pieno sviluppo e maturazione, l'intero processo creativo che lo caratterizza come narratore di straordinario talento e quel suo scrivere "con­tor­to ed ete­reo". Non conoscendo ancora nulla di lui, ma avendoci meditato molto, entrare in questo modo nel suo mondo - che consuma, distrugge e rigenera incessantemente - è stato come procurarmi un passepartout per accedere alle sue opere da una posizione quasi privilegiata perché, quando li incontrerò e li riconoscerò - i suoi luoghi e suoi tipi umani -, saprò esattamente dove li ha pescati: lui in persona me l'ha raccontato. Le autobiografie sono un'arma a doppio taglio. Mi ricordo che leggendo quella di Oliver Sacks, in cui parlava molto delle sue opere, mi passò la voglia di leggerle; così anche con Schnitzler per la sua superficialità. Murakami, poi, l'ho proprio defenestrato dopo quella schifezza de 'La mia vita di scrittore'. Ma con Márquez, beh... è tutta un'altra musica, altri profumi, suggestioni e incontri: magnifico! "Ac­cen­de­vo una si­ga­ret­ta col moz­zi­co­ne dell'al­tra, aspi­ra­vo il fumo con l'an­sia di vita con cui gli asma­ti­ci be­vo­no l'aria, e i tre pac­chet­ti che con­su­ma­vo in un gior­no mi si no­ta­va­no nel­le un­ghie e in una tos­se da ca­gnac­cio che tur­bò la mia gio­ven­tù. In­som­ma, ero ti­mi­do e tri­ste, da buon ca­rai­bi­co, e così ge­lo­so del­la mia in­ti­mi­tà che a qual­sia­si do­man­da in me­ri­to ri­spon­de­vo con una bat­tu­ta re­to­ri­ca. Cre­de­vo che la mia mala sor­te fos­se con­ge­ni­ta e sen­za ri­me­dio, so­prat­tut­to con le don­ne e il de­na­ro, ma non me ne im­por­ta­va, per­ché pen­sa­vo di non aver bi­so­gno del­la buo­na sor­te per scri­ve­re bene. Non mi in­te­res­sa­va­no la glo­ria, né i sol­di, né la vec­chia­ia in quan­to ero si­cu­ro che sa­rei mor­to per stra­da mol­to gio­va­ne." Gabriel García Márquez è morto il 17 aprile 2014 a 87 anni.

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maria
Recensioni: 5/5

In questo suo libro di memorie Marquez riempie i suoi ricordi di poesia. Potremmo definirlo ''realismo poetico'' che amo molto di più di quello che è stato definito ''realismo magico'' E' un gradino al di sotto della magia e mi sembra più credibile. Faccio forse io parte di quegli adulti che non sono affascinati dai tappeti volanti delle Mille e Una Notte come direbbe Marquez? non so, non credo. o forse per apprezzare meglio la sua opera bisogna aver letto le sue memorie.

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La recensione di IBS


"La storia di quegli amori contrastati fu un'altra delle meraviglie della mia gioventù. A forza di ascoltarla raccontata dai miei genitori, insieme o separatamente, me la ritrovai quasi completa quando scrissi Foglie morte, il mio primo libro, a ventisette anni, ma ero pure consapevole che dovevo imparare molto sull'arte di scrivere romanzi."

Attesissima dai lettori di tutto il mondo, capace di creare lunghe file di persone in attesa, per tutta la notte precedente l'uscita, davanti alle librerie spagnole o dell'America Latina, è arrivata anche in Italia l'autobiografia di García Márquez, Vivere per raccontarla: "La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla", dichiara l'autore in apertura del libro per guidare i lettori a cogliere questo aspetto, spesso dimenticato, della sua, come di tutte, le opere di questo genere.

Le prime pagine già ci propongono alcuni dati interessanti: la madre e il forte rapporto con il figlio, le divergenze col padre sulle scelte di studio e di lavoro, l'immagine della scritta Macondo, nome della piantagione di banane che nell'infanzia lo aveva affascinato e luogo dell'immaginario, diventato tale anche per i milioni di persone che hanno letto quel capolavoro che è Cent'anni di solitudine.

Ma è la storia d'amore tra il padre e la madre, contrastato dalla ricca famiglia materna a introdurci pienamente nella narrazione.

La casa dell'infanzia e la sua perdita, i ricordi dei magici natali pieni di illusioni, le figure che la animavano, che l'affetto del ricordo sa rendere vive e Reali. Quindi le difficoltà e la perdita dei capitali familiari, i cinque trasferimenti (dell'intera famiglia e della farmacia paterna) da una città all'altra, i sei figli in nove anni di matrimonio. Quando ricorda le nascite delle sorelle l'autore sa ben riprodurre i sentimenti contraddittori di un bimbo davanti ad un evento per lui piuttosto destabilizzante e nello stesso tempo sa guardare con gli occhi affettuosi del vecchio il bambino che era.

Le liti dei genitori, drammatiche e incomprensibili per un figlio piccolo, vengono ora interpretate come espressioni sia del sentimento potente che li univa, sia dei caratteri di entrambi così forti e diversi. Ma non fu l'irascibilità paterna e la paura che sapeva suscitare nei più piccoli a creare un clima intimorito nella famiglia perché la solarità materna e la sua positività straordinaria diventarono assolutamente dominanti. Ma la vera tragedia esplose invece quando Gabriel dichiarò ufficialmente di voler fare lo scrittore: per il padre sarebbe stata una scelta che meritava il ripudio definitivo, per la madre un dolore attutito dalla promessa filiale di finire almeno il liceo (in cambio avrebbe lei cercato di mediare con il severo marito). Il giovane inizia qualche tempo dopo a scrivere per i giornali e a guadagnare con quei pezzi i primi soldi: proprio pochi davvero per un ragazzo che voleva anche divertirsi. Sono pagine cariche di tenerezza per quel giovane che ama disperatamente scrivere, che ha pochi soldi, che passa dai bordelli alle redazioni dei giornali o delle case editrici con lo stesso incosciente entusiasmo.

Leggere questa autobiografia è anche uno strumento in più per capire i grandi romanzi del premio Nobel colombiano: in fondo tutto (personaggi, luoghi, sogni e fantasie delle sue opere) era già scritto nella sua stessa vita, doveva solo raccontarlo.

A cura di Wuz.it

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Conosci l'autore

Gabriel García Márquez

1927, Aracataca - Macondo (Colombia)

Scrittore colombiano Premio Nobel per la Letteratura nel 1982.Come giornalista ha soggiornato in Francia, Messico e Spagna; in Italia è stato allievo del Centro sperimentale di cinematografia. Ha esordito con un breve romanzo, dove più evidente è l’influenza di Faulkner: Foglie morte (La hojarasca, 1955), cui sono seguiti Nessuno scrive al colonnello (El coronel no tiene quién le escriba, 1961); i racconti raccolti ne I funerali della Mamá Grande (Los funerales de la Mamá Grande, 1962), nei quali, soprattutto in quello che dà il titolo al volume, è già tratteggiato il mondo mitico e paradossale del narratore; La mala ora (La mala hora, 1962), altro romanzo, dove si narra una storia spietata di lettere anonime che coinvolge...

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