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La città sepolta
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La città sepolta - James Rollins - copertina
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città sepolta

Descrizione


Da Londra al golfo Persico, da Washington al deserto arabo, Painter e Safia dovranno affrontare non solo gli enigmi e i misteri del passato, ma anche un nemico implacabile, in una corsa contro il tempo per scongiurare una catastrofe senza precedenti.

L'esplosione che ha distrutto la Galleria Kensington del British Museum sembra non avere spiegazioni. Le ultime immagini delle telecamere di sorveglianza mostrano una sfera di luce che, entrando in contatto con un antico manufatto, innesta una reazione devastante. Nessuno riesce a capire cosa abbia scatenato quel bizzarro fenomeno naturale, eppure Safia al-Maaz, la brillante curatrice della collezione araba, scopre tra le macerie un oggetto sorprendente, rimasto nascosto per millenni, un cuore di ferro con inciso un nome leggendario: Ubar, la città perduta della regina di Saba... Anche Painter Crowe, agente segreto della Sigma, partecipa alle indagini per individuare l'origine dell'esplosione. Ma quella che sembra un'affascinante sfida scientifica diventa improvvisamente una missione mortale quando una misteriosa organizzazione tenta d'impadronirsi del cuore di ferro: perché quell'oggetto è il primo indizio che conduce a un'immensa fonte d'energia, forse proprio la causa della scomparsa di Ubar, l'Atlantide del deserto, che secondo le leggende è stata sepolta da un'imponente tempesta di sabbia...
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Dettagli

2017
2 febbraio 2017
528 p., Rilegato
9788842929253
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Indice

Le prime pagine del romanzo

Londra, Inghilterra,
British Museum,
14 novembre, 01.33


Harry Masterson sarebbe morto di lì a tredici minuti.
Se lo avesse saputo, avrebbe fumato l’ultima sigaretta sino al filtro. Invece la spense dopo soltanto tre tiri e scacciò la nuvola di fumo. Se l’avessero beccato a fumare fuori della sala dei guardiani, quel bastardo di Fleming, il capo della sicurezza, l’avrebbe licenziato in tronco. Harry era già sotto tiro per essere arrivato con due ore di ritardo, la settimana precedente.
Harry imprecò, mettendo in tasca il mozzicone spento. L’avrebbe riacceso nella pausa seguente... se ci fosse stata.
Un tuono riecheggiò. Il temporale era scoppiato subito dopo mezzanotte, iniziando con un chiassoso scroscio di grandine, seguito da un diluvio che minacciava di affogare Londra. I fulmini illuminavano il cielo da una parte all’altra dell’orizzonte. Secondo la BBC, era una delle perturbazioni più imponenti da dieci anni a quella parte. Mezza città era rimasta al buio, sopraffatta da uno spettacolare susseguirsi di fulmini.
E, con la solita fortuna di Harry, era stata la sua metà della città a oscurarsi, compreso il British Museum su Great Russell Street. Benché disponessero di generatori di emergenza, tutta la squadra della sicurezza era stata chiamata a presidiare il museo. Sarebbe arrivata entro mezz’ora. Ma Harry, assegnato al turno di notte, era già in servizio quando le luci si erano spente. E, anche se le telecamere di videosorveglianza erano ancora operative grazie alla rete elettrica di emergenza, Fleming aveva ordinato a lui e al suo collega di effettuare un’immediata perlustrazione dei quattro chilometri di sale del museo. E i due si erano divisi.
Harry prese la torcia elettrica e la puntò verso il fondo del corridoio. Detestava il turno di notte, col museo immerso nell’oscurità. Di solito, l’unica illuminazione proveniva dai lampioni fuori delle finestre, ma in quel momento, per via del blackout, anche quelle luci erano spente. Il museo sembrava avvolto in una macabra ombra, spezzata dalle pozze cremisi delle luci di sicurezza a basso voltaggio.
Harry aveva avuto bisogno di qualche tiro per farsi coraggio, ma non poteva più rinviare.
Siccome era l’ultima ruota del carro nella gerarchia del turno di notte, gli era stato assegnato il giro delle sale dell’ala nord, il punto più lontano dal centro sotterraneo della sicurezza. Voltando le spalle alla lunga sala di fronte a sé, il custode varcò la porta che conduceva alla Queen Elizabeth II Great Court.
Quella zona, di circa otto chilometri quadrati, era circondata dalle quattro ali del British Museum. Nel cuore della corte sorgeva l’imponente Reading Room, la sala di lettura circolare dalla cupola di rame, una delle biblioteche più importanti del mondo. Sopra di lui, l’intera corte era stata racchiusa da un gigantesco tetto geodetico progettato dalla Foster & Partners, creando così la piazza coperta più grande d’Europa.
Come il resto dell’edificio, la corte era immersa nell’oscurità. La pioggia tamburellava sul tetto di vetro e i passi di Harry riecheggiavano nello spazio aperto. L’ennesima lancia di un fulmine s’infranse in cielo. Il tetto, suddiviso in un migliaio di pannelli triangolari, si accese per un momento in maniera accecante. Quindi il buio calò di nuovo sul museo, martellante come la pioggia.
Infine venne il tuono, che lui sentì profondo nel petto. Anche il tetto tremò. Harry si chinò leggermente, temendo che l’intera struttura sarebbe crollata.
Con la torcia puntata in avanti, attraversò la corte, diretto all’ala nord. Girò intorno alla Round Reading Room centrale. Il fulmine lampeggiò di nuovo, illuminando il luogo per una manciata di secondi. Statue gigantesche, sprofondate nell’oscurità, comparvero quasi dal nulla. Il Leone di Cnido si ergeva accanto all’imponente testa di una statua dell’isola di Pasqua. Poi, mentre il fulmine si estingueva, il buio inghiottì il guardiano.
Harry avvertì un brivido.
Affrettò l’andatura. A ogni passo imprecava. «Stramaledetti e fottutissimi pezzi di merda...» La sua litania lo aiutava a calmarsi.
Raggiunse le porte dell’ala nord e le varcò, salutato dalla familiare miscela di muffa e ammoniaca. Era grato di avere di nuovo delle solide mura intorno a sé. Diresse la torcia in fondo alla lunga sala. Non sembrava mancare nulla, ma gli era stato richiesto di controllare ogni galleria dell’ala. Fece un rapido calcolo. Se si fosse sbrigato, avrebbe potuto completare il giro ritagliandosi il tempo sufficiente per un’altra rapida fumata. Con l’allettante prospettiva di una dose di nicotina, attraversò il corridoio, preceduto dal fascio della torcia.
L’ala nord ospitava la mostra per l’anniversario del museo, una collezione etnografica che tracciava un quadro completo delle conquiste dell’umanità nelle varie epoche, spaziando fra tutte le culture. Procedette a passi affrettati, spuntando le varie collezioni: celtica, bizantina, russa, cinese. Ciascuna serie di stanze era chiusa da un cancello di sicurezza. Per l’assenza di corrente elettrica, i cancelli si erano abbassati automaticamente.
Alla fine, avvistò il fondo del corridoio.
Gran parte delle collezioni era ospitata lì solo temporaneamente, trasferita dal Museum of Mankind per festeggiare l’anniversario. L’ultima, invece, era permanente: un’inestimabile collezione di antichità provenienti dalla penisola arabica. La collezione era stata commissionata e sovvenzionata da una sola famiglia, arricchitasi con le speculazioni petrolifere nella regione. Girava voce che le donazioni raggiungessero il tetto dei cinque milioni di sterline annui.
Una tale devozione era degna di tutto rispetto.
O no.
Con un gemito di stizza per un simile spreco di denaro, Harry diresse il fascio della torcia sulla targa d’ottone che sovrastava l’ingresso: GALLERIA KENSINGTON. Conosciuta anche come «Attico della Troia».
Anche se Harry non aveva mai conosciuto Lady Kensington, a sentire le voci fra gli impiegati era chiaro che un affronto qualsiasi alla sua galleria - polvere su una teca, uno sbaffo su un cartello di esposizione, un oggetto non posizionato adeguatamente - suscitava i rimproveri più severi. La galleria era il suo progetto personale preferito, e gli scatti d’ira della donna erano leggendari. Si diceva che per colpa sua avesse perso il lavoro perfino un direttore.
Fu quella preoccupazione a trattenere Harry qualche istante di più nella sua postazione all’esterno del cancello di sicurezza della galleria. Fece girare la torcia nella sala d’ingresso con qualcosa in più di una distaccata accuratezza. Sembrava tutto in ordine.
Nel voltarsi, ritraendo la torcia, un movimento attrasse la sua attenzione. Si sentì raggelare, la torcia puntata sul pavimento.
Nel profondo della Galleria Kensington, in una delle sale più distanti, vagava lentamente una luce bluastra, spostando le ombre al suo passaggio.
C’era qualcuno...
Harry sentì il cuore martellargli in gola. Un’intrusione. Si appoggiò alla parete più vicina. Le dita si precipitarono alla radiotrasmittente. Un tuono rimbombò fra le pareti, fragoroso e profondo.
Harry accese la radio. «Probabile intruso nell’ala nord.»
Restò in attesa che il responsabile del turno rispondesse.
Gene Johnson sarà stato pure una mezza sega, ma era anche un ex ufficiale della RAF. Sapeva il fatto suo.
La voce dell’uomo rispose alla sua chiamata, ma le perdite di segnale si mangiarono quasi tutte le sue parole, un’interferenza della tempesta elettrica. «... possibile... sei sicuro?... trattienilo fino... i cancelli sono chiusi?»
Harry si voltò a guardare i cancelli di sicurezza abbassati. Naturalmente, avrebbe dovuto controllare se fossero stati violati. Ogni galleria aveva un solo ingresso nell’atrio. L’unica altra via di accesso alle sale sigillate era attraverso una delle alte finestre, che però erano munite di dispositivi d’allarme antiscasso. E, benché la tempesta avesse fatto mancare la corrente, i generatori ausiliari avevano mantenuto attivo il sistema di sicurezza. Al comando centrale non era suonato nessun allarme.
Harry immaginò che Johnson stesse già accendendo le telecamere, puntandole sulla Galleria Kensington. Si arrischiò a dare un’occhiata all’interno della serie di cinque stanze. In fondo alla galleria il bagliore persisteva. Il movimento sembrava inconsulto, casuale, non quello ampio e deciso di un ladro.
Fece un rapido controllo del cancello di sicurezza. La spia della chiusura elettronica era verde. Non era stato violato.
Volse di nuovo lo sguardo al bagliore. Forse erano solo i fari delle auto di passaggio che filtravano dalle finestre della galleria.
La voce di Johnson alla radio, che andava e veniva, lo fece sobbalzare. «A video non rilevo nulla... la telecamera cinque non funziona... Resta dove sei... stanno arrivando gli altri.»
Harry rimase nei pressi del cancello. Stavano arrivando altre guardie di supporto. E se non fosse stato un intruso? Se fossero stati solo dei fari? Era già su un terreno minato con Fleming. Gli mancava solo di farsi ridere alle spalle.
Corse il rischio e sollevò la torcia. «Ehi, tu!» Aveva pensato di usare un tono imperativo, ma gli uscì poco più di uno stridulo guaito. Eppure, nel cammino ondivago della luce non vi fu nessun mutamento. Parve addentrarsi ancora di più nella galleria: non una ritirata in preda al panico, solo un lento passo sinuoso. Nessun ladro poteva avere tanto sangue freddo.
Harry raggiunse la chiusura elettronica del cancello e usò il passe-partout per aprirla. I sigilli magnetici cedettero. Alzò il cancello quanto bastava per strisciare all’interno della prima sala. Raddrizzandosi, sollevò di nuovo la torcia. Rifiutava di sentirsi a disagio per il panico momentaneo. Avrebbe dovuto indagare più attentamente prima di dare l’allarme.
Ma ormai il danno era fatto. Il meglio che potesse fare era salvare la faccia chiarendo da solo il mistero.
Per ogni evenienza, gridò di nuovo: «Sicurezza! Non muoverti!»
Il grido non ebbe nessun effetto. Il bagliore proseguì il suo costante ma incoerente spostamento all’interno della galleria. Will si volse a guardare il cancello nell’atrio. Di lì a meno di un minuto sarebbero arrivati gli altri.
«Vaffanculo...» mormorò. Si affrettò nella galleria, inseguendo la luce.
Degnandoli a malapena di un’occhiata, passò accanto a tesori d’inestimabile valore: teche di vetro contenenti tavolette d’argilla dell’epoca del re assiro Assurbanipal; imponenti statue di arenaria di era prepersiana; spade e armi di ogni tempo; avori fenici che raffiguravano antichi re e regine, persino la prima edizione americana delle Mille e una notte, col titolo originale di The Oriental Moralist.
Harry scivolò veloce di stanza in stanza, passando da una dinastia all’altra: dai tempi delle crociate sino alla nascita di Cristo, dalle glorie di Alessandro Magno ai tempi di re Salomone e della regina di Saba.
Alla fine raggiunse la sala più lontana, una delle più spaziose. Conteneva oggetti interessanti anche per un naturalista: pietre rare e gioielli, resti fossili, utensili del periodo neolitico.
Vicino al centro della camera a cupola, una sfera di luce bluastra del diametro di mezzo metro fluttuava indolente per la stanza.
Emetteva un leggero bagliore, e la sua superficie pareva ardere di una fiamma d’olio blu iridescente.
Mentre Harry osservava, la sfera attraversò una teca di vetro quasi fosse d’aria. Lui rimase sbalordito. Un odore di zolfo gli raggiunse le narici, sprigionandosi dalla sfera di luce cerulea. Quella ruotò sopra una delle luci di sicurezza cremisi, mandandola in corto circuito con uno schiocco sfrigolante. Il rumore fece indietreggiare Harry di un passo.
La stessa sorte doveva essere toccata alla telecamera cinque nella stanza alle sue spalle. Diede un’occhiata alla telecamera della sala in cui si trovava. Era sormontata da una lucina rossa. Ancora attiva. Quasi avesse notato la sua sorpresa, Johnson tornò alla radio. Per qualche ragione, non c’erano interferenze.» Harry, forse è meglio che tu esca di lì!» Lui rimase paralizzato, per metà dalla paura, per metà dallo stupore. Inoltre quell’affare stava fluttuando lontano da lui, verso l’angolo buio della stanza. Il bagliore della sfera illuminò un oggetto metallico in un cubo di vetro. Era un frammento di ferro rosso delle dimensioni di un vitello, un vitello inginocchiato. La scheda sulla teca lo descriveva come un cammello. La somiglianza era a dir poco equivoca.
Il bagliore si librò sul cammello di ferro.
Harry fece un cauto passo indietro e alzò la radio. «Cristo!» La sfera baluginante di luce attraversò il vetro e si posò sul cammello. Il bagliore si estinse rapido come una candela su cui si è soffiato.
Il buio improvviso accecò Harry per un istante. Alzò la torcia. Il cammello di ferro riposava ancora nel suo cubo di vetro, indisturbato. «Non c’è più...»
«Tutto bene?»
«Sì. Ma che accidenti era?»
Johnson rispose con un po’ di soggezione: «Un fottutissimo fulmine globulare, credo. Ho sentito storie di colleghi a bordo di aerei da guerra che volavano in mezzo ai tuoni.
Deve averlo sputato fuori la tempesta. Ma cavolo se brillava!»
Adesso non brilla più, pensò Harry con un sospiro di sollievo, e scosse la testa. Qualunque diavoleria fosse stata, si era quantomeno risparmiato un’imbarazzante presa in giro da parte dei colleghi.
Abbassò la torcia. Ma, mentre la luce svaniva, il cammello di ferro continuava a luccicare al buio. D’un colore rossastro intenso.
«E adesso che diavolo succede?» mormorò Harry, e afferrò la radio. Una forte scarica statica lo colpì alle dita. Imprecando, sollevò la radio. «C’è qualcosa di strano. Non credo che...»
Il bagliore nel ferro si fece più luminoso. Harry indietreggiò. Il ferro defluì sulla superficie del cammello, fondendosi quasi fosse esposto a una pioggia acida.
Il guardiano non era stato l’unico a notare quel cambiamento.
La radio gli ringhiò in mano: «Harry, esci di lì!» Lui non obiettò. Fece per voltarsi, ma era troppo tardi.
La teca di vetro esplose verso l’esterno. Le schegge taglienti gli trafissero il fianco sinistro. Un frammento aguzzo gli lacerò la guancia. Ma lui sentì a malapena le ferite, mentre lo assaliva un’ondata di calore da altoforno.
Sulle labbra giaceva un grido, che non avrebbe mai avuto voce.
L’esplosione successiva scagliò il corpo di Harry dall’altra parte della galleria. Al cancello di sicurezza giunsero solo delle ossa in fiamme.

Valutazioni e recensioni

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Simone
Recensioni: 3/5

Indubbiamente il libro è scorrevole, ma devo dire che non mi ha molto entusiasmato, non ha il potere di prenderti come i libri di avventura di Cussler o di Smith. L'idea è carina però manca qualcosa... a tratti troppo irreale e troppo scentifico. A sua discolpa è che questo è uno dei primi romanzi. Un'altra possibilità la do a James Rollins.

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Massimo F.
Recensioni: 2/5

Parte bene, ma poi si perde in un mezzo guazzabuglio a metà tra James Bond, Indiana Jones e Codice da Vinci. Ambientazione irrealistica e monotona, personaggi ai confini della realtà. Alla fine, anche un po' noiosetto.

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Annalisa
Recensioni: 5/5

Molto bello, scorrevole, verosimile. La protagonista e' descritta in modo splendido. La trama non e' mai banale o scontata e riserva momenti di percepibile dolcezza poetica. Lo consiglio

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James Rollins

1961, Chicago

Laureatosi nel 1985 all'Università del Missouri, James Rollins è stato per vari anni un apprezzato veterinario.A un certo punto della sua vita ha deciso di anteporre al lavoro le sue tre grandi passioni: la speleologia, le immersioni subacquee e, soprattutto, la scrittura.Fin dal suo esordio, si è dimostrato una delle voci più nuove e convincenti nel campo del romanzo d'avventura. Suoi Amazzonia (2004), Artico (2005), La mappa di pietra (2006), L’ordine del sole nero (2007), Il marchio di Giuda (2007), La città sepolta (2008), L'ultimo oracolo (2009), La chiave dell'apocalisse (2010), L'ombra del re (2010), L'altare dell'Eden (2011), La via d'oro (2011), Il teschio sacro (2011), L'ultima eclissi (2012), Il risveglio della sfinge (2012), L'eredità...

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