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Molto bello e ben scritto. I frequenti passaggi dal punto di vista di un personaggio a quello dell'altro mi sono piaciuti molto. I colpi di scena, lo sviluppo dei personaggi, l'evoluzione della storia intrigano e tengono il lettore incollato alle pagine del libro. Lo consiglio senz'altro.
Non si può definire "la città nuova" un brutto libro, anzi. Piacevole, ben scritto e ricco di spunti, si presenta al lettore come un romanzo decisamente di qualità. Il problema è che, con il passare delle pagine, la storia sembra scorrere su binari sempre più preconfezionati, con un finale che dovrà per forza essere quello pensato dall'autore e non quello che i personaggi ed il loro comportamento lascerebbero pensare. Così, ad un certo punto, si osservano evidenti forzature, che portano all'estremo alcune caratteristiche dei protagonisti e li conducono a comportamenti per loro improbabili per quanto visto fino a poche pagine prima, il tutto in nome di un percorso che la storia deve seguire. Questo rovina almeno in parte le ultime 100-150 pagine del libro; "La città nuova" rimane comunque un buon libro, ma senza queste forzature avrebbe potuto compiere un ulteriore salto di qualità.
Partendo da uno spunto interessante e non facilissimo da gestire, l'ambizioso Amidon spara molto alto per le prime 100 pagine, poi abbassa un pochino il tiro, tra intrecci familiari alla "American Beauty" e colpi di scena a fine capitolo in puro stile thriller. Rimane un'ottima idea di romanzo, che poteva diventare un quasi-capolavoro.
Recensioni
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Questo di Stephen Amidon è un romanzo distopico, che tuttavia perde la sua carica di denuncia nello sviluppo fortemente melodrammatico degli avvenimenti. Il progetto urbanistico di Netown apre il lungo racconto, promettendo un eden metropolitano fatto di ampi parchi, comodi centri ricreativi e commerciali e palazzi a più piani tenuti a debita distanza per permettere la pacifica convivenza tra cittadini di etnie e classi sociali diverse. La prosa tersa e agile di Amidon riesce solo a tratti a ricreare questo ambiente suburbano, non lontano tra l'altro da quello di Colombia, nel Maryland, dove l'autore ha trascorso la sua infanzia. L'amicizia che lega i protagonisti della vicenda, l'avvocato bianco Swope e l'architetto di colore Wooten, entrambi responsabili del progetto, è minata alle basi dalla "voce" che un megadirigente dell'impresa voglia affidare la carica di city manager ambita da Swope al suo collaboratore Wooten. Basta un sospetto per mettere in moto un meccanismo perverso di vendette e rappresaglie fino alla catastrofe finale che vede coinvolti anche i figli dei due antagonisti. Il tragico viene però edulcorato da un sentimentalismo non privo di accenti moralistici. L'intreccio melodrammatico, inoltre, sacrifica a volte la coerenza psicologica di alcuni personaggi; sottile appare invece la satira benevola ai danni delle stereotipie della cultura di massa degli anni settanta in cui è ambientato il romanzo. Gli adolescenti, tutti fricchettoni pacifisti, ricalcano nel loro linguaggio intere frasi tratte dalle canzoni di John Lennon, di Bob Dylan o di Carole King. I padri, che siano reduci dal Vietnam o ex hippy con la pancetta, sono patetici nel loro attaccamento a valori smascherati e contraddetti dal sistema dominante. Un sistema che si lancia in progetti urbanistici egualitari destinati al fallimento perché la società, nella visione puritana di Amidon, è un Leviatano che non dà scampo alle utopie.
Susanna Battisti
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