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Anno edizione: 2006
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Evitando fin dal titolo l'accusa di non dichiarare le proprie intenzioni l'autrice sceglie la citazione visiva come punto d'osservazione per mettere in discussione la nozione di autorialità e di originalità creativa. A partire dalla difficile riconoscibilità all'interno di un'immagine e dall'impossibilità di ricostruire la catena dei riferimenti autoriali se non sulla base delle competenze individuali dell'osservatore è la natura stessa del soggetto a favorire il compito della studiosa. L'attenzione cade sulla pubblicità poiché implica un'ideologia e quindi un'interazione con il destinatario sulla base di un sapere sociale condiviso sia nella forma tradizionale che nel suo ribaltamento nella forma dell'anti-pubblicità praticata dagli attivisti della culture jamming e della "comunicazione guerriglia". L'intenzione di "innalzare la pubblicità agli altari di una comunicazione estetica" è esplicita poiché "forse anche le più antiche e prestigiose tra le arti avevano il loro mecenate e in fondo erano celebrazioni del presente pur nelle diverse contraddizioni del reale". Dagostino analizza lo stereotipo come citazione cristallizzata "incrostazione di senso" in cui il sapere sociale riconferma sempre se stesso ormai ridotto a modello di identificazione attraverso corpi di individui privati di soggettività ma utili a ricostruire il sistema valoriale di un gruppo. Nella sua affermazione di un "diritto di versione" il libro segue lo spirito dei tempi: tempi di file sharing e di crisi del "diritto d'autore" in cui il diritto arranca a inseguire la tecnologia con conseguenze che come di fronte a una nuova "riproducibilità tecnica" infinita ed estrema oscillano tra democratizzazione e perdita dell'aura. Efficace e interessante è l'approfondita fenomenologia della pubblicità e dell'anti-pubblicità mentre risulta più difficoltoso lo sforzo teorico volto a sistematizzare la citazione visiva anche a causa di una lingua dichiaratamente "surrealista" e "decostruzionista" che procede per frammenti e suggestioni inerpicandosi su sentieri a volte tortuosi per dimostrare la tesi di fondo.
Dario Ferraro
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