“Calvinista” della fotografia, Ugo Mulas lo era anche nella camera oscura, nella riflessione teorica e nel libro fotografico. Il lavoro che dedicò al suo fraterno amico Alexander Calder non gli piacque, perché la fotografia ha bisogno del suo spazio e la pagina non sempre lo può rispettare. Un piccolo ed elegante volume fotografico mostra come Mulas abbia studiato minuziosamente il percorso, allo stesso tempo un gioco e un lavoro, che per Calder portò alla prima conquista dello spazio. La storia del circo di Calder ha la semplicità profonda delle cose infantili. Ancora bambino, era stato incoraggiato a fabbricare giocattoli per sé e per la sorella e più tardi a studiare ingegneria meccanica, entrambe esperienze utili per diventare un artista sui generis. A ventotto anni, nel 1926, parte per Parigi, dove si dà da fare per guadagnarsi da vivere con il suo talento; fabbrica alcuni animali, ognuno con un solo filo di ferro (aveva imparato a disegnare senza staccare la matita dal foglio), e anche Josephine Baker e un pugile nero con cappello a cilindro. In breve si costruisce un piccolo circo fatto di materiali rimediati (fil di ferro, legno, sughero, stracci colorati): entra tutto in due valigie che si porta dietro tra Parigi e l’America. Dopo un rullo di tamburi, iniziavano le esibizioni, del sollevatore di pesi, della ballerina dal tutù di carta di caramella, con il leone e gli acrobati azionati da fili metallici, al suono di un grammofono. Finalmente gli propongono una mostra, la sua prima mostra, dove mette in vendita i suoi giocattoli a dieci o venti dollari. Il circo è stato visto come la premessa dei mobiles, le magiche sculture dinamiche che lo resero famoso e che dei suoi circensi conservano la leggerezza e l’umorismo. Calder piega gli elementi (gli scarti) della modernità industriale alla sua fantasia, a un gioco infantile, rende naturali e vivi i movimenti meccanici, porta a modo suo il mondo moderno dentro l’estetica. Ma le sue figurine fragili ed espressive, curate nel dettaglio, non sono una polemica negazione dell’arte e del museo tradizionali (le performance si tenevano a casa di amici), né una descrizione malinconica del mondo del circo; il suo circo è puro divertimento. Secondo Mulas il suo giocare con gli elementi non ha a che fare con l’automatismo dei surrealisti, ma è “un modo molto tipico di giocare con la fortuna, con il caso”. Di molti artisti Mulas ha saputo cogliere lo spirito in poche foto, del suo amico “patriarca un po’ ironico, un po’ burlone” avrebbe voluto fotografare tutto, certamente con il consueto perfezionismo: possiamo credere allora di trovarci davanti al vero circo di Calder.
GABRIELE D’AUTILIA