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Le cinque più grandi idee della scienza
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Dettagli

1997
200 p.
9788886471657

Voce della critica

WYNN, CHARLES M. / WIGGINS, ARTHUR W., Le cinque più grandi idee della scienza, Zelig, 1998
MCALLISTER, JAMES W., Bellezza e rivoluzione nella scienza
recensione di Tozzi, M., L'Indice 1998, n.10

Dicono gli scienziati che la conoscenza procede così: si osservano fatti e si mettono in piedi delle ipotesi per spiegarli, quindi si prevedono fenomeni conseguenti e si fanno esperimenti che confermino quanto ipotizzato, oppure conducano a una revisione e - finalmente - a un "modello", una raffigurazione della realtà naturale, una "Gestalt" che goda dell'approvazione della comunità scientifica. La costruzione di un modello fisico dell'atomo, per esempio, a partire da Democrito, attraverso Dalton, Thomson, Rutherford fino a Bohr e a Heinsenberg (domanda per il traduttore: perché Principio d'"Incertezza"? Cosa aveva che non andava "Indeterminazione"?). Oppure il sistema periodico degli elementi, l'evoluzione della vita e il modello dell'universo: alcune grandi idee che hanno fatto la scienza moderna e contemporanea, anzi, che l'hanno spesso sconvolta profondamente. In mezzo a tanta chimica, fisica e biologia stupisce semmai che Wynn e Wiggins abbiano giustamente tenuto in considerazione la tettonica delle placche come una delle più importanti teorie in assoluto, riconoscendo anche alla geologia il rango di scienza moderna (speriamo che venga notato anche in questo paese di vulcani, terremoti e frane; qualcuno però spieghi al traduttore che invece di "zolle" sarebbe molto meglio "placche" e che "nocciolo" al posto di "nucleo" è proprio sbagliato).
Mentre Wynn e Wiggins si divertono a portare alla luce quello che è il ragionamento di base della scienza, utilizzando il metodo scientifico e ripercorrendo "a posteriori" il cammino logico che sta dietro alle cosiddette scoperte - senza mai perdere il filo sottile di un disincantato umorismo, piacevolmente supportato dalle vignette del famoso Sidney Harris -, ben altro scopo si propone l'olandese McAllister, alla ricerca delle proprietà estetiche delle teorie scientifiche e del peso del parametro "bellezza" nella scienza. Lavoro improbo, come si può immaginare, anche per via della discussa oggettività del bello e della oggettiva difficoltà del percorso filosofico che c'è dietro. Con un tono per la verità leggermente pedante, l'autore sostiene che le rivoluzioni scientifiche sono una conseguenza del ricorso a valori estetici (intesi come scelte razionali) di valutazione delle teorie stesse. Ovvio: il razionalismo ha teso ad accantonare i criteri estetici; nonostante Dirac i fattori estetici non vengono normalmente considerati indicatori euristici, non sembrano scientifici, insomma.
Inconsapevolmente Wynn e Wiggins danno invece ragione a chi - come McAllister - ritiene che i fattori estetici caratterizzino pienamente la scienza, a partire da Leonardo fino a Einstein. I due sono infatti affascinati dall'eleganza del ragionamento che conduce alla teoria scientifica e, nel caso di Bohr, addirittura entusiasti della bellezza e della capacità predittoria. La concordanza fra giudizi estetici ed empirici, dunque, ma non solo: la semplicità come canone estetico e il ruolo delle mode, fino alla conferma dell'assunto di Dirac - ancora lui - per cui gli unici criteri che possono rivelare la falsità di una teoria che ha successo empirico sono proprio (e soltanto?) quelli estetici. Anche Kuhn - riveduto e corretto - può essere letto in questa chiave: cos'è il "paradigma" se non un canone estetico di scelta fra teorie in competizione (qui si sarebbe gradito un approfondimento delle tesi di Lakatos)? Nelle
rivoluzioni scientifiche il cambiamento di paradigma consisterebbe così nell'abbandono del canone estetico vigente da parte della fazione progressista della comunità scientifica quando crolla improvvisamente la resistenza verso nuove forme.
Dove Wynn e Wiggins discutono del rapporto costi-benefici anche nella scienza applicata (con begli esempi: le risorse energetiche, l'uso dei Cfc) e allargano gli orizzonti verso le teorie della società e dell'economia non disgiunte da quelle scientifiche, McAllister si sofferma su quanto ci deriva - per esempio - dall'uso della ghisa e del ferro o del calcestruzzo in architettura: il valore pratico acclamato conduce a un rimodellamento dei canoni estetici per la valutazione delle opere (e delle teorie) successive. A ben vedere la dicotomia "Wrong but Romantic, Right but Repulsive"" "è riscontrabile in entrambi i libri, come a dire che è sempre presente nella mente degli scienziati come in quella dei filosofi, a dimostrazione della giustezza almeno dell'impostazione di "Bellezza e rivoluzione nella scienza "(su cui, immagino, pioveranno comunque critiche di altro segno).La collana di cui il saggio fa parte ("Dynamie") ha peraltro uno scopo ambizioso che va accolto con favore: affrontare le implicazioni culturali e filosofiche della scienza, nel tentativo di colmare l'immotivato divario artificialmente scavato rispetto alle discipline umanistiche.
Al termine di entrambi i saggi, gli esempi e le deduzioni finali, come si conviene in un approccio scientifico classico. McAllister ci spiega come e perché non si deve considerare Copernico un rivoluzionario, anzi: la sua teoria astronomica era quanto di più conservatore si potesse concepire allora e, di fatto, godeva di un consenso estetico proprio in virtù di questo. Keplero - invece - era il vero rivoluzionario, così come nella fisica del XX secolo non è la relatività ad aver sconvolto il paradigma newtoniano precedente, ma la teoria quantistica. La naturale disposizione degli scienziati ad associare proprietà estetiche delle teorie ad aspettative di successo empirico ci dice che le scelte vengono comunque fatte proprio alla luce di quelle aspettative. Più modestamente Wynn e Wiggins ci ricordano il caso di uno "scienziato" "sui generis", Charles Goodyear, che rimase colpito quando, per caso, un pezzo di gomma contenente zolfo cadde sulla sua stufetta bollente e acquistò in un attimo tutte le proprietà di più nobili materiali come il cuoio: la scoperta della vulcanizzazione dimostra meglio di tante parole che la scienza è fatta anche di sorprese, ma ci vogliono menti preparate a coglierle (mai sentito parlare di "serendipity"?).

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