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I cigni selvatici di Coole - William Butler Yeats - copertina
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Dettagli

1989
Tascabile
320 p.
9788817167079

Voce della critica

YEATS, WILLIAM BUTLER, I cigni selvatici a Coole

ELLMAN, RICHARD, Quattro dublinesi
recensione di Scatasta, G., L'Indice 1990, n. 1

Negli ultimi mesi sono apparsi in libreria diversi libri che riguardano tutti, in modo più o meno diretto, l'Irlanda: le ristampe di "Diario d'Irlanda" di H. B÷ll da Mondadori e di "Fiabe Irlandesi" di Yeats da Einaudi; "Quattro dublinesi" di Richard Ellmann presso Leonardo, "Raftery il cieco e la sua sposa Hilaria" di Brian 0. Dunn Byrne presso Sellerio, e di W. B. Yeats "I cigni selvatici a Coole" presso Rizzoli, "Anima Mundi" e "Drammi Celtici" presso Guanda. Si annuncia anche l'uscita presso Mondadori di un volume di poesie di Searnus Heaney, uno dei maggiori poeti irlandesi contemporanei.
Non si tratta di un episodio sporadico e neanche di una riscoperta, quanto piuttosto dell'espressione attuale di un interesse verso l'Irlanda che in Italia è sempre stato presente anche se in modo parziale o sotterraneo. Di fronte all'Irlanda, però, il lettore ed a volte anche il critico e perfino gli stessi scrittori sembrano colti da una sorta di sentimentale arrendevolezza o si pongono domande evidentemente prive di risposta (e poco sensate), quali la ricerca dello 'specifico' della letteratura irlandese o i legami esistenti fra quattro artisti nati a Dublino, come fa Ellmann in "Quattro dublinesi". Per l'Europa e per gli Stati Uniti l'Irlanda è quasi un luogo della mente o, per parafrasare Yeats, un luogo che viene visto con l'occhio della mente, ma spesso attraverso una immaginazione deviata da stereotipi, viziata da pregiudizi di cui è responsabile soprattutto l'industria turistica ma anche quella culturale. All'inizio del suo diario irlandese, B÷ll scrive che la sua "Irlanda esiste: ma chi ci va e non la trova non può chiedere risarcimenti all'autore". B÷ll non tralascia le realtà irlandesi più tristi (la povertà, l'emigrazione, ma anche il clima deprimente) e dunque la sua Irlanda non è affatto un paese idilliaco, anzi è ben lontana dall'"Emerald Isle" delle agenzie turistiche; la sua epigrafe può essere quindi letta anche come invito al turista perché invece dell'Irlanda che si aspetta ne cerchi un'altra, molto più vera e amara e bella. L'Irlanda si riempie invece ogni anno di americani in cerca delle proprie false origini che acquistano indifferentemente spille a forma di trifoglio e magliette dell'Ira, o di turisti che si commuovono davanti a paesaggi verdi, capanne dal tetto di paglia, ubriaconi rissosi e pinte di birra scura che sembrano usciti da "Un uomo tranquillo" ("The Quiet Man*).
Il film di Ford del 1952 è infatti ambientato in un mondo tanto immaginario quanto quello delle operette e dei suoi reami mitteleuropei sperduti fra le foreste, ed è esemplare per esplicare il paradosso wildiano di come la vita finisca con l'imitare l'arte: come la nebbia londinese esisteva anche prima degli impressionisti ma nessuno l'aveva notata, così le case dal tetto di paglia c'erano ma non erano pittoresche e nessuno si sarebbe sognato di ammirarle. La falsità del film di Ford non è affatto messa in discussione dal fatto che il film fu girato in luoghi reali, anzi esso risulta completamente falso proprio perché in parte vero, mentre al contrario un film precedente dello stesso regista; "Il Traditore" ("The Informer") del 1935, pur ricostruendo in studio le strade di Dublino, risulta autentico e realistico come pochi altri.
Altrettanto esemplare è una raccolta di scritti di autori irlandesi sull'amore, "Some Irish Loving", curata da Edna O'Brien (di cui è uscito di recente in italiano un romanzo, "Ragazze di campagna", edito da Feltrinelli), libro apprezzabile più di quanto si possa supporre a prima vista, che viene pubblicato dalla Penguin in una confezione sfrenatamente Kitsch, con una fanciulla dai capelli rossi (ovviamente) e dagli occhi verde smeraldo (ovviamente) in copertina, ed una grafica in cui si contano trifogli e quadrifogli a dismisura. La colpa, come si diceva, è in parte di un'industria turistica che presenta l'Irlanda nel suo aspetto più stereotipo, in parte di un'industria culturale che ha privilegiato, di una tradizione letteraria antica e multiforme, gli aspetti più facili e commerciali. Le raccolte di fiabe di Yeats (Einaudi) o di Stephens (Rizzoli), o le narrazioni mitiche raccolte da Lady Gregory (Studio Tesi) sono ad altissimo livello, ma vanno integrate con la lettura dei testi di Flann O'Brien, ed in particolare di "La miseria in bocca", (Feltrinelli, Milano 1987) per avere una visione più completa della letteratura e della realtà irlandese.
È forse Yeats, in qualche modo, un indiretto responsabile di questa situazione. Quando, alla fine degli anni ottanta del secolo scorso, iniziò ad occuparsi attivamente del foklore irlandese e decise che tutte le sue poesie da quel momento avrebbero avuto come sfondo il proprio paese, Yeats divenne l'elemento di maggior spicco di quella rinascita celtica che, come ogni movimento in cerca di una propria tradizione, agì per sottrazione e per esclusione, scegliendo della tradizione irlandese gli elementi ad essa più consoni. La storia poetica, personale e politica di Yeats (ed i tre aspetti vanno spesso di pari passo) è in realtà quella di una lotta e di un'insoddisfazione continua, di un ripensamento delle proprie posizioni e della propria poetica cercando di raggiungere, in vita come in poesia, "il freddo e la passione dell'alba" o "la sregolatezza e l'ignoranza dell'aurora". Anche rispetto all'Irlanda, Yeats passò dall'entusiasmo per il suo ruolo di poeta irlandese, sotto l'influsso del vecchio patriota Jonn O'Leary ("To Ireland in the Coming Times" o la patriottica opera teatrale "Cathleenni, Hoolihan*), alla disillusione espressa in "September 1913" ("Per questo tanto sangue fu versato? / Per questo Edward Fitzgerald / E Robert Emmet e Wolfe Tone morirono / E tutto quel delirio degli eroi? L'Irlanda romantica è morta e scomparsa / È con O'Leary nella tomba"), alla consapevolezza tragica della sua condizione di irlandese e del suo distacco dalla società che lo circondava, lontana dai suoi ideali, riaffermata in poesie degli ultimi anni quali "I am old Ireland", "Parnell's Funeral" e "The Statues".
La raccolta che appare oggi in italiano, curata e commentata con estrema attenzione da Anthony Johnson e tradotta da Ariodante Marianni, è "I cigni selvatici a Coole" del 1919 e segue di qualche anno l'edizione italiana di un'altra opera yeatsiana, firmata dagli stessi curatori, "La torre" del 1928. In "I cigni selvatici a Coole" Dublino è già per Yeats "una città becera" ma la sua poesia è destinata a "un uomo mai visto", un pescatore irlandese che sia insieme nobile e plebeo ("The Fisterman*), incarnazione di quell'unione culturale di popolo e aristocrazia in funzione antiborghese sognata da Yeats e definita da lui in seguito "sogno del nobile e del mendicante". "I cigni selvatici a Coole" contiene alcune poesie d'amore fra le più belle di Yeats, oltre alle prime composizioni in versi che rimandano direttamente al sistema filosofico che il poeta stava elaborando in quegli anni e che sarà esposta in seguito nelle due versioni di "A Vision*. Colpisce in questa raccolta la forza di Yeats, la sua complessità che si scioglie in semplicità estrema e la sua semplicità che si rivela incredibilmente complessa, la risonanza e l'intensità dei suoi versi che attraversano piani differenti di senso senza perdere niente nel passaggio. Yeats è un poeta che non chiede consenso ma contrasto come un avversario d'altri tempi, si può non essere d'accordo con lui (e spesso così avviene) ma si rispetta la sua posizione e il suo atteggiamento, la sua sincerità e la sua onestà intellettuale.
Degli ultimi anni della vita di Yeats si occupa Richard Ellmann in un capitolo di "Quattro dublinesi", raccolta e rielaborazione di quattro conferenze su Wilde, Yeats, Joyce e Beckett tenute dall'autore negli anni immediatamente precedenti alla sua morte, avvenuta nel maggio 1967. Ellmann è stato autore di preziosi saggi critici su Joyce e Yeats ("Ulysses on the Liffey", "The Consciousness of Joyce" e "The Identity of Yeats") ma è noto soprattutto per le sue biografie di Joyce, Yeats e Wilde, quest'ultima uscita dopo la sua morte. È bene dire subito che questo libro di Ellmann non convince fino in fondo: su di esso hanno avanzato giustamente delle riserve Rosita Copioli, che su "Mercurio" ha sottolineato come il realismo nella tarda poesia di Yeats non si può certo far derivare dall'operazione per ringiovanire a cui il poeta si sottopose, e Guido Fink che (sul "Messaggero") invece parla delle forzature a cui Ellmann va incontro quando cerca di sottolineare i rapporti fra i suoi quattro dublinesi; lo stesso Ellmann del resto afferma che il suo "è un quartetto improbabile".
Di queste superficialità critiche ce ne sono diverse, come ad esempio quella a proposito dei figli illegittimi del padre di Wilde: "Oscar Wilde conosceva i suoi fratellastri, il che può spiegare i molti trovatelli e le nascite misteriose dei suoi scritti" (p. 11). L'errore di Ellmann, e il punto debole del suo libro, sta probabilmente nell'aver riportato delle conferenze in forma scritta, e dunque nel passaggio dall'oralità alla scrittura. Il suo metodo, che procede spesso per interessanti suggestioni più che per stretti nessi logici, è adattissimo allo stile orale, ma in forma scritta finisce col perdere la sua levità, così come un pettegolezzo comunicato a voce può essere divertente e sottile ma scritto su carta diventa inevitabilmente greve. C'è inoltre un problema, per così dire, etico che è anche estetico. Una poco conosciuta biografia italiana di Wilde pubblicata da C.M. Franzero alla fine degli anni Cinquanta, non parlava di omosessuali ma di "epiceni" e raccontava di un appassionato bacio fra Pater e Wilde sotto una grande quercia. Non era scientificamente rigorosa ma sarebbe certamente piaciuta a Wilde. Ellmann invece sa troppe cose e a volte esagera. Negli ultimi cinque anni di vita Yeats divenne impotente e la moglie gli disse: "Quando sarai morto la gente parlerà dei tuoi amori, ma io non dirò nulla, ricordando come eri orgoglioso"; Ellmann non ha il (buon?) gusto di fare altrettanto. Di Joyce si rivelano inedite avventure amorose e insolite preferenze in campo sessuale, ma come dice Rosita Copioli a proposito delle pagine su Wilde "con tutto ciò la nostra comprensione [...] non aumenta". Ellmann non ci aiuta probabilmente a capire ma ci avvicina comunque ai suoi dublinesi e quando non cede alla tentazione di tracciare paralleli o di scendere ad affrettate conclusioni, il suo libro è affascinante: direi intrigante, se questa non fosse una parola odiosa. Ma il vizio di tracciare spericolati legami permane come un pericolo sospeso, e si sa, i rischi insiti nel collegare troppo e male sono tanti, come insegna Eco nel "Pendolo".

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William Butler Yeats

1865, Sandymouth

(Sandymouth, Dublino, 1865 - Roquebrune-St. Martin, Francia, 1939) poeta irlandese. La formazione e il primo interesse per l’occultismo La famiglia era angloirlandese e protestante. Il padre, John, dopo aver studiato legge, aveva preferito dedicarsi alla pittura, in particolare al ritratto. La madre, Susan Pollexfen, proveniva da una famiglia di benestanti commercianti di Sligo, sulla costa occidentale irlandese. Nel 1867 gli Yeats si trasferirono a Londra, dove il padre non riuscì a ottenere quel successo, anche modesto, che sarebbe occorso a mantenere decorosamente la famiglia, e nel 1880 tornarono a Dublino. Y. si iscrisse nel 1885 alla Metropolitan School of Art, e pubblicò nello stesso anno alcune liriche, le prime, sulla «Dublin University Review». Nello...

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