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Che cos'è l'arte?
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Che cos'è l'arte? - Lev Tolstoj - copertina
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Che cos'è l'arte?

Descrizione


L'architettura, la scultura, la pittura, la musica, la poesia sono forme di quella che comunemente chiamiamo arte. Se prendiamo, ad esempio, l'architettura, vediamo che ci sono edifici modesti che non sono opere d'arte e persino edifici malriusciti con ingiustificate pretese artistiche; come si fa allora a distinguere l'arte da ciò che è semplicemente utile e dai presunti gesti artistici fini a se stessi? In cosa consiste il tratto distintivo di un'opera d'arte? L'arte è quell'attività che produce il bello, non si esita a rispondere, ma cosa s'intende per bello? Di domanda in domanda, Tolstoj passa in rassegna l'evoluzione di concetti di base quali il bello, l'utile, il gusto, la verità, il giusto, attraverso la filosofia, l'estetica, la critica d'arte, la letteratura; senza lesinare esempi concreti, giudizi perentori e stroncature sull'opera di tanti talenti consacrati. L'arte vera, sostiene Tolstoj, è quella che contagia, che è capace di suscitare nell'uomo quel sentimento di gioia nella comunione spirituale con l'artista e con gli altri che contemplano la stessa opera d'arte. In questo modo l'arte può stimolare la convivenza pacifica tra gli uomini mediante la loro libera e gioiosa attività e può dunque contribuire a sopprimere la violenza, facendo in modo che i sentimenti di fratellanza e amore per il prossimo, oggi accessibili solo ai migliori, diventino sentimenti abituali, istintivi in tutti. (Introduzione di Pietro Montani)
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Dettagli

2010
14 novembre 2010
XVIII-249 p., Brossura
9788860365101

Voce della critica

Un saggio di estetica che demolisce la veridicità di ogni teoria estetica e getta l'anatema sull'arte moderna, da Beethoven a Wagner, da Baudelaire a Verlaine, per salvare solo l'Iliade e l'Odissea, la Bibbia e i Veda. Questo sembra essere, di primo acchito, Che cos'è l'arte? di Lev Tolstoj. La chiusura semplificante e riduttiva nei confronti di ogni forma artistica che non si riduca ai criteri di comprensibilità e chiarezza immediata per il "popolo" può respingere il lettore di oggi e apparirgli una sorta di anticipazione della scomunica di un'arte borghese e degenerata pronunciata mezzo secolo dopo dai teorici del realismo socialista. Qual è il senso e l'attualità della riproposta in traduzione italiana di questo paradossale trattato?
Eppure quest'edizione riempie un vuoto nella percezione dell'opera del grande scrittore russo, la cui produzione saggistica è stata troppo a lungo ignorata in Italia (se si escludono gli studi e le traduzioni curate da Pier Cesare Bori negli anni novanta), e abbatte in modo definitivo, se ancora ce ne fosse bisogno, il vecchio luogo comune, impostosi già fra i contemporanei di Tolstoj, che tendeva a separare il romanziere di genio dal cattivo filosofo.
In queste pagine, che contengono tutte le mai risolte contraddizioni dello scrittore, si fa evidente la sostanziale inscindibilità tra pensiero e immaginazione artistica, la continuità e unità organica del percorso creativo e intellettuale tolstojano, tanto sul piano dei contenuti che degli artifici formali: la descrizione demolitrice e caustica che Tolstoj fa dell'allestimento di un'opera lirica wagneriana è frutto dello stesso sguardo potentemente straniante da cui nascono le sue pagine immortali sulla battaglia di Borodino.
L'acredine con cui Tolstoj si scaglia contro gran parte dell'arte del suo tempo, in una condanna che coinvolge impietosamente i suoi stessi romanzi, va letta e interpretata alla luce della battaglia che lo scrittore sta conducendo contro la cultura della modernità, colpevole di aver reciso le radici religiose dell'arte e della scienza. La rivolta, istintiva e viscerale, contro la civiltà della frammentazione lo accomunava a un ricco filone del pensiero russo sette-ottocentesco che aveva preso le mosse dalla critica alla ragione cartesiana.
Se la pars destruens del trattato va inserita e compresa in questo più ampio contesto, la pars costruens contiene d'altro lato intuizioni di un'apertura sbalorditiva, come rivela l'illuminante saggio di Pietro Montani che introduce l'opera. Nella concezione tolstojana, l'arte realizza una sorta di "dionisiaco spiritualizzato", secondo la bella definizione data da Montani, che attraverso il contagio dei sensi parla all'anima e al suo sostrato religioso, ampliandone le potenzialità espressive.
L'edizione Donzelli è arricchita da un denso apparato di note curato da Filippo Frassati, autore anche della buona traduzione; vi sono individuate in modo puntuale le fonti utilizzate da Tolstoj (lavoro ingrato, come sa chiunque si sia cimentato in traduzioni di opere dei filosofi russi dell'Ottocento) e sono riportate indicazioni bibliografiche, citazioni da lettere e diari che aiutano a contestualizzare l'opera. Se un appunto si può fare: data la complessa storia della genesi e della pubblicazione di questo come di molti altri lavori di Tolstoj, che era solito rimettervi mano per anni, non sarebbe stata superflua l'indicazione dell'edizione originale da cui è stata eseguita la traduzione.
Raffaella Faggionato

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Conosci l'autore

Lev Tolstoj

1828, Jasnaja Poljana (Russia)

Nato in una famiglia di antica nobiltà, rimasto orfano della madre a due anni e del padre a nove, fu allevato da alcune zie molto religiose; trascorse l’infanzia e l’adolescenza tra Mosca, la grande tenuta familiare di Jasnaja Poljana e Kazan’, dove nel 1844 si iscrisse all’università, frequentando prima la facoltà di studi orientali, poi quella di giurisprudenza, che concluse nel 1850. In questi anni, disordinati e tempestosi ma anche nutriti da intense letture (J.-J. Rousseau, A. Puskin, N. Gogol’, L. Sterne), cominciò a tenere un diario, che continuò poi per quasi tutta la vita. Nel 1851-53 partecipò alla guerra contro il Caucaso, prima come volontario, poi come ufficiale di artiglieria. Il suo debutto letterario (Infanzia,...

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