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Questo breve saggio esplora la rilevanza della poesia nella cultura italiana attuale: la sua produzione e il suo consumo, la diffusione e l’incidenza delle vendite nel mercato editoriale, il prestigio e l’interesse che suscita. I dati raccolti sembrano allarmanti: solo lo 0,60 del settore librario (per un totale di circa 7.000.000 di euro di fatturato annuo) è occupato da libri di poesia, per lo più di autori stranieri considerati “classici” (Neruda, Rilke, Eliot…); i poeti italiani contemporanei sono pressoché ignorati anche dal pubblico con formazione universitaria; il calo dei lettori e fruitori di questo genere letterario sembra costante e irreversibile. Le cause di tale stato fallimentare possono ricondursi a diverse motivazioni: il fatto che il mandato sociale per secoli demandato alla scrittura in versi sia stato raccolto dalla canzone rock e pop, capace di raggiungere pubblici più vasti e indifferenziati, esprimendo emozioni comuni in maniera meno criptica ed elitaria. Inoltre, la poesia moderna è spesso autoreferenziale e narcisistica, tende a esprimere la soggettività di chi la scrive più che a farsi portavoce di un sentire collettivo, utilizzando ancora troppo spesso stili lirici ed elegiaci, piuttosto lontani dal parlato. La ricezione del linguaggio poetico, più ricercato e sperimentale rispetto a quello quotidiano, richiede poi particolari competenze linguistiche e culturali, che certo non vengono approfondite dagli attuali programmi scolastici. Infine, il proliferare di blog e pubblicazioni a pagamento, di spettacoli di improvvisazione attraverso cui chiunque si può auto-definire poeta e rivolgersi a una cerchia ristretta ma gratificante di fruitori-conoscenti, rischia di confondere il pubblico, incidendo negativamente sulla qualità dei testi prodotti. Una novità sembra però poter arrivare dai rapper e dagli slammer, gli unici in grado di recuperare una dimensione orale e performativa del fare poetico, catalizzando nuovi interessi ed entusiasmi.
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