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La celestina - Fernando de Rojas - copertina
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celestina

Descrizione


Rappresentata per la prima volta sul finire del XV secolo, La Celestina è lo straordinario quadro di una società in rapido mutamento, colta nelle sue varie espressioni; è un'indagine nella psiche dei personaggi, che si rivela attraverso il dialogo teatrale; è la parodia del codice dell'amore a pagamento. Uscita come Comedia de Calisto y Melibea, l'opera cambia nome molto presto, assegnando un rilievo straordinario al personaggio di Celestina, la mezzana. Grazie alle sue arti i due amanti nobili, Calisto e Melibea, realizzano il loro amore che finirà tragicamente. Considerata il massimo capolavoro della letteratura spagnola dopo il Don Chisciotte, La Celestina ebbe un effetto dirompente sul pubblico dell'epoca e continua a esercitare fascino e influenza anche sul teatro moderno.
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Dettagli

1994
Tascabile
21 settembre 1994
368 p.
9788817169875

Valutazioni e recensioni

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Vincenza
Recensioni: 5/5

Sono molto soddisfatta dell'acquisto, l'introduzione e le note a margine sono molto utili per un'analisi ed una comprensione più approfondita dell'opera. Lo consiglio vivamente a tutti coloro che studiano letteratura spagnola ma anche a chi conosce lo spagnolo e vorrebbe semplicemente leggere un classico in lingua. Ottima lettura.

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Voce della critica

ROJAS, FERNANDO DE, La Celestina

ROJAS, FERNANDO DE, La Celestina
recensione di Ruffinatto, A., L'Indice 1996, n. 5

Se è vero che nella biblioteca ideale di un uomo di cultura non dovrebbe mancare una copia della Celestina (forse l'opera più importante del primo Cinquecento spagnolo), siamo anche portati a riconoscere che le recenti iniziative editoriali di casa nostra hanno provveduto abbondantemente a questa necessità. Alla non lontana proposta del Nuovo Portico Bompiani, curata da Corrado Alvaro e sapientemente introdotta da Cesare Segre (1980), seguono ora due nuove offerte anch'esse inserite nel popolare circuito delle edizioni tascabili: quella della Bur, curata da Lobera Serrano, e quella dei Grandi libri Garzanti, affidata all'ispanista genovese Pier Luigi Crovetto. La prima, nella vecchia ma ancor solida traduzione di Antonio Gasparetti, opportunamente rivisitata e aggiornata da Lobera Serrano e da Fausta Antonucci; la seconda, nella traduzione nuova e fedele di Viviana Brichetti. Ma queste due riproposte quasi simultanee della stessa opera al pubblico italiano (a volte un po' disattento nei confronti delle cose di Spagna) non presentano caratteri di ridondanza o di superfluità, come saremmo tentati di dire rimarcando la totale assenza di cooperazione e di comunicazione tra grossi poli editoriali, e non li presentano in virtù delle differenze che le contrassegnano: più attenta agli aspetti storico-ideologici quella curata da Crovetto; decisamente più orientata verso la dimensione filologica quella affidata a Lobera Serrano.
Una dimensione, quest'ultima, che nel caso della "Celestina" appare tutt'altro che gratuita quando si consideri lo spesso alone di mistero che ancora circonda la sua "testualità": bifida già nei suoi ambiti redazionali (una prima redazione più breve intitolata "Comedia de Calisto y Melibea", e una seconda, più corposa, contraddistinta dal titolo di "Tragicomedia de Calisto y Melibea"), prospetta forti ambiguità e incertezze anche a livello di edizioni.
Nel caso della prima redazione, infatti, due stampe si contendono il titolo di princeps, una forse circolante a Burgos alla fine del XV secolo (ma il cattivo stato della copia a noi pervenuta rende problematici sia il luogo sia la data di edizione), e un'altra licenziata a Toledo proprio all'inizio del XVI secolo. E per ciò che concerne la seconda redazione ("Tragicomedia"), le cose si complicano ancor di più perché le sei edizioni datate 1502 non sono affatto di quell'anno ma appartengono ad anni compresi tra il 1510 e il 1520, mentre le vere tracce della princeps (ora scomparsa) traspaiono da una traduzione italiana compiuta nel 1505 e stampata a Roma nel 1506, un anno prima del più antico esemplare in lingua spagnola della stessa a noi pervenuto (Saragozza 1507). Se a tutto questo aggiungiamo che, comunque, rispetto all'edizione di Saragozza ben più affidabili appaiono le lezioni offerte da un'altra edizione uscita a Valencia nel 1514, siamo fortemente tentati di gettare la spugna.
Fortunamente, se ne guarda bene Lobera Serrano, il quale, insieme a Emma Scoles e a Patrizia Botta sta preparando appunto un'edizione critica della Celestina i cui primi risultati si fanno già sentire proprio in questa nuova edizione, e, più precisamente, nelle modificazioni da lui operate sulla traduzione di Gasparetti.
D'altro canto, gli aloni di mistero che circondano la "Comedia" o "Tragicomedia de Calisto y Melibe"a, si spingono ben oltre la questione testuale per abbracciare molti altri aspetti dell'opera: dalla sua paternità (la firma in acrostico è di un tale Fernando de Rojas, ma quasi sicuramente gli autori sono più d'uno), al genere di appartenenza (la sua divisione in atti e la sua struttura dialogale non sono sufficienti a collocarla nell'ambito specifico delle opere teatrali); dai suoi contrasti e dai suoi margini di trasgressività (opportunamente rappresentati dalla configurazione ossimorica del titolo, "Tragicomedia", e dal fatto che il titolo ufficiale venga ben presto soppiantato da un altro titolo, "La Celestina", in cui la parte principale non è più affidata agli eroi ufficiali della storia ma a una vecchia strega che funge da mezzana), all'ambiguità dei suoi personaggi (Calisto, amante cortese e passionale, Melibea, verginella scontrosa ma pronta a concedersi al primo appuntamento, e così via).
Insomma, "La Celestina" non è opera che s'accontenti di una lettura superficiale, ma richiede profonda competenza e ampi margini di meditazione. Entrambe queste esigenze appaiono in gran parte soddisfatte sia dall'introduzione di Pier Luigi Crovetto, dotta, elegante, concisa, sia da uno splendido saggio del compianto Carmelo Samon… che con scelta felice Lobera Serrano ha voluto proporre in veste introduttiva.
Di fatto, Samon… ci guida con mano sicura sul territorio, spesso infido, della "Celestina" facendoci dapprima esplorare le zone redazionali e gli ambienti possibilmente frequentati dall'autore (quelli universitari salmantini, in prima istanza); accompagnandoci, poi, lungo i sentieri dell'intreccio, nei luoghi abitati dai personaggi e nelle caverne più o meno profonde dei messaggi ideologici veicolati dagli stessi. Successivamente, ci invita a considerare lo schema itinerante dell'opera, disegnato dal dinamismo dei personaggi che appaiono sospinti dai grandi temi dell'amore, del denaro e della morte, là dove il movimento stesso si qualifica come il simbolo della vanità della ricerca e dell'inutilità del desiderio. Infine, non senza avere accennato alla cultura essenzialmente urbana della tragicommedia e alle modalità degli ampliamenti introdotti nella sua seconda redazione, ci offre alcuni spunti di riflessione sul problema del pubblico sottolineando i margini di partecipazione attiva che quest'opera richiede al lettore, invitato ad agire non come semplice spettatore ma in funzione di destinatario non estraneo alle vicende di quel mondo possibile.
Stando così le cose, "La Celestina" si offre all'attenzione dei lettori come opera aperta (sulle tracce, per altro, del suo illustre antenato della prima metà del XIV secolo, il "Libro de buen amor", dal quale deriva gran parte della sua carica trasgressiva) e non disdegna quindi una pluralità di letture o di approcci interpretativi. Non foss'altro che per questo motivo, le due attuali rivisitazioni in chiave italiana, lungi dall'apparire ridondanti nella loro simultaneità, si qualificano entrambe come utili contributi alla conoscenza e alla diffusione di un prodotto tra i più significativi della letteratura occidentale.

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Conosci l'autore

Fernando de Rojas

1470, Montalbán (Spagna)

Scrittore spagnolo, ritenuto l'autore della Celestina poiché in alcuni versi acrostici premessi all'opera si legge il nome del baccelliere Fernando de Roias come quello dell'autore degli ultimi venti atti. Questi sarebbero stati composti in continuazione del primo, che circolava manoscritto, attribuito da alcuni a Juan de Mena, da altri a Rodrigo de Cota.Fonte: Enciclopedia Treccani

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