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Il castello di Rheinsberg. Libro illustrato per innamorati e altro - Kurt Tucholsky - copertina
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Il castello di Rheinsberg. Libro illustrato per innamorati e altro
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Descrizione


Una giovane coppia di innamorati trascorre un idillico week-end estivo, lontano dal ritmo convulso della grande città e dalle convenzioni borghesi, nell'aura sospesa di un fiabesco castello, dove il tempo e lo spazio sembrano fermarsi. Scritto da Tucholsky nel 1912, questo breve romanzo ebbe subito successo e affascinò in Germania intere generazioni.
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Dettagli

2003
28 febbraio 2003
172 p., ill.
9788870184716

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Cristiano Cant
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Caro Kurt, se dieci miliardi di persone, certi di salvarsi da qualcosa, prendessero una strada sicura, e tu andassi nella direzione contraria, sappi che io ti seguirei. Tu mi hai insegnato che tanto è la stessa cosa in quell'aforisma che conservo ancora come un tovagliolo unto del tuo miglior sorriso: “L'uomo è un essere che fa rumore, cattiva musica e lascia abbaiare il cane. Solo qualche rara volta sta zitto, ma allora è morto". Caro Maestro, ma a cosa corre dietro la gente? Riesci a vederci da lassù, da quella tua altana tranquilla, in che spinose scene ci perdiamo peggio di teatranti invasi dalla balbuzie? Se ti fidi di un tizio che ti ama posso dirti che per la maggior parte è dolore quello da cui si tenta di fuggire, le strettoie del fare, le celle dell'obbedire, del sopportare, un'antologia di favole nere la cui uscita è ancora dolore. Ti fidi? Non è facile parola divertita messa lì davanti allo specchio da un Narciso svogliato. E' la condizione umana. Sai già tutto, ma è solo per confermartelo. Conosci anche la riva sorella, la stupidità, e anche su questo punto non posso che sottoscrivere il tuo tempo e il mio. Allora lascia che parli a chi legge della tua poesia, che tenti per come è possibile di descrivere il fiore di un idillio lasciato lì tra le rovine del respiro. Sapevi già che una storia estiva funziona meglio di un lungo insopportabile amore destinato all'ovvietà dei frantumi. Ecco da dove spuntò questo romanzo, satirico e saggio, esile e denso nel suo incastro di fatti e sentimenti. Basta un elemento a incuriosire i sensi e a scaldare l'anima: il castello del titolo (fra l'altro stupenda residenza di Federico il Grande). E' qui che passerà questo vento amoroso, e sarà vita veloce, ironica, pregna di quella salvezza a tempo che possiamo chiamare felicità e che cerca, nei suoi lunghi istanti di gioco (anche erotico) di allontanare le spine del fuori, sempre più ostili, volgari, intollerabili. Gli amori finiscono solo nella vita. Nei libri mai.

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Voce della critica

Chi era Tucholsky, autore satirico di articoli, poesie, canzoni da cabaret, reportage, e intrepido avversario della Repubblica di Weimar? Uno scrittore o solo un giornalista di punta, un compagno del proletariato, un borghese disertore, un ebreo antisemita, un catastrofista, un utopista? In ogni caso, un uomo dell'attualità con un senso tragico del tempo, critico tanto di se stesso quanto di una contemporaneità che stava andando in braccio al dio economia mentre "il mondo così com'è non può essere il fine ultimo della specie umana".

Negli anni venti, oltre che a una cieca sete di guadagno i tedeschi, umiliati dalla pace di Versailles, sono in preda a una fatale ubriacatura nazionalistica e ossessione di rinascita. Infuriano le discordie fra i popolari e i socialdemocratici, e già nel '25 - l'anno che vede eletto cancelliere Hindenburg, il debole vecchio che "firma sempre" e passerà la mano a Hitler - Tucholsky scorge la guerra all'orizzonte perché "questo ordine economico necessita della guerra per poter vivere". Ma la sua energia polemica ancora divampa: il satirico, scrive nel '32, non deve riconoscere autorità di sorta, ecco perché un uomo di destra non può essere un satirico. Però la satira, afferma, non è cinismo: ha un limite superiore, per esempio Budda, e uno inferiore, in ciò che è troppo basso e non vale la pena, come le forze fasciste in Germania. Il trattato di Locarno tra Francia e Germania nell'estate del '26 lo fa sperare in una collaborazione fra gli europei, in una "casa europea" ancora a venire in cui si potrà frenare l'economia del profitto, socializzare i mezzi di produzione e sulla produzione esercitare un controllo internazionale. Pensieri, come si vede, che sembrano formulati oggi. Poi ripiegherà, e chiamerà se stesso "tedesco dismesso" e "poeta dismesso" perché non ha senso "fischiettare davanti a un oceano": Panter Panter (uno dei suoi innumerevoli pseudonimi) muore quando "ha capito tutto e non può fare più niente". Sono letto, ho successo, dirà, ma non ho effetto.

Nato a Berlino nel 1890, corrispondente a Parigi della "Weltbűhne" e della "Vossische Zeitung", Tucholsky muore suicida in Svezia nel 1935, dopo che il regime nazista l'ha privato della cittadinanza e nel rogo dei libri del maggio 1933 ha buttato anche i suoi. In una poesia del '30 dice: "Volevi vivere / e non ne hai avuto tempo. (...) Ora hai perduto il gusto della vita".

Su quest'assetato di verità e gran maestro di stile, pubblicato e ripubblicato in Germania ma pressoché ignoto da noi, è da segnalare l'ottima monografia di Susanna Böhme-Kuby, Non più, non ancora, uscita mesi fa dal Melangolo (cfr. "L'Indice", 2002, n. 11), e che quest'uomo abbia scritto anche due romanzetti d'amore non ce l'aspetteremmo. Ma non è un caso che entrambi non narrino un'intera vicenda bensì delle brevi e spensierate vacanze di una coppia d'innamorati. Cosa sia fra loro accaduto prima e cosa accadrà dopo non lo sappiamo e nemmeno l'autore lo sa. La felicità è precaria, sta in un punto, in equilibrio "fra autoconservazione e dono di sé", e il desiderio di appagamento non può di fatto mai essere saziato, ma solo incantato - a breve scadenza.

La prima delle due singolari prove narrative è Il castello di Rheinsberg, del 1912 , opera dello studente Tucholsky e corredato di graziosissime illustrazioni dal suo amico Karl Szafranski. I feroci smascheramenti di amore e sesso compiuti prima di lui da autori come Strindberg e Wedekind non vi hanno alcun potere, lui scrive in letizia, con la mano leggera, e pressoché dal vero: dai diari che ha tenuto durante una gita con l'amica Else Weil a questo noto castello, un tempo dimora di Federico II giovane, e ai suoi ameni dintorni brandenburghesi. I due vanno per i boschi, in barca, al cinema, a fare acquisti, scattano foto, chiacchierano, scherzano, osservano il mondo - e qui, benevolo come non mai, Tucholsky dà il meglio dell'eccezionale talento che ha di fissare i particolari del sociale, dell'utilitarismo corrente e del progressismo di piccolo cabotaggio. Ma il negativo rimane in sottotono e sul tutto aleggia, come osserva Kuby nella postfazione, il sogno della Freundlichkeit, ossia di un mondo spontaneamente amico, in cui si circola senza limiti e timori.

Il libretto - cui, in questa corretta ed elegante versione italiana, sono accluse, nella scelta della moglie dello stesso Tucholsky, deliziose prose e poesie di argomento erotico-amoroso posteriori al 1912 - ha un enorme successo: cinquantamila copie vedute entro il 1920, e i primi incassi Tucholsky li investe con giovanile baldanza nell'aprire a Berlino un bar-librario dove in novembre-dicembre 1912 agli avventori si offre anche da bere. La cosa fa scalpore, non si era mai visto nulla del genere. E il successo perdura (e perdura anche in questo dopoguerra e fino a oggi), tanto che l'editore Rowohlt a un certo punto invita l'autore a cimentarsi di nuovo in una storia d'amore. Siamo nel '31, Tucholsky è già in esilio in Svezia, e risponde: "Già, una storia d'amore... caro maestro, e come se l'immagina? L'amore ai nostri tempi? Lei ama, forse? Chi ama ancora, al giorno d'oggi? Allora molto meglio una piccola storia estiva". E scrive Il castello di Gripsholm, uscito da noi da e/o nel 1993.

Non è facile trasferirsi dal Tucholsky polemico, satirico e desolato - desolato anche sul comportamento servile degli ebrei tedeschi - a questo Tucholsky leggero, a queste celebrazioni della gioia di vivere nella sua più acuta e fugace manifestazione che è l'amore. Forse bisogna giusto trovarsi, per caso, nello stato regressivo dell'innamoramento per godere di questi idilli fragili, ghirlande di deliziose, frettolose quisquilie e di quella Claretta che nel Castello di Rheinsberg parla addirittura un suo bizzarro idioletto di parole monche. Un'estasi non diventa mai, è un gioco, un balletto gentile, un atteggiamento che sta tra l'effusione degli affetti e la fuga in avanti verso un salvifico umorismo - che è ben altra cosa dalla satira. Forse la chiave sta in quanto su Tucholsky registrava Kafka nei Diari (30 settembre 1911): "È un ventunenne assolutamente tutto di un pezzo. (...) Dubbi circa la propria capacità di posare, che però spera di acquisire con una maggiore esperienza del mondo (...) infine il timore di una metamorfosi verso il dolore universale che ha notato in vecchi ebrei berlinesi di tendenza simile alla sua, anche se al momento non prova assolutamente niente del genere".

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Conosci l'autore

Kurt Tucholsky

(Berlino 1890 - Hindås, Göteborg, 1935) scrittore e giornalista tedesco. Corrispondente della «Weltbühne» e della «Vossische Zeitung» a Parigi nel 1924, dal 1929 visse in Svezia. I nazisti lo privarono della cittadinanza tedesca e bruciarono i suoi libri. Ammalato e amareggiato, T. si tolse la vita. Scrisse quasi esclusivamente prose brevi, scene e canzoni per cabaret, nelle quali attaccò con tagliente ironia i difetti del piccolo borghese tedesco, incline al nazionalismo, all’autoritarismo e all’ipocrisia: Con 5 HP (Mit 5 PS, 1928), Il sorriso di Monna Lisa (Das Lächeln der Mona Lisa, 1929) e Impara a ridere senza piangere (Lerne lachen ohne zu weinen, 1931). Nelle opere narrative, Rheinsberg. Un libro illustrato per innamorati (Rheinsberg. Ein Bilderbuch für Verliebte, 1912) e Il castello...

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