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Il carisma, la fede, la chiesa. Introduzione alla sociologia del cristianesimo -  Enzo Pace - copertina
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Descrizione


Come mai dal messaggio di Gesù sono nate tante chiese diverse fra loro, sette pacifiche e violente, movimenti di riforma sociale e utopie rivoluzionarie, visioni sull'imminente fine del mondo e strategie politiche, gruppi capaci di contrastare le ingiustizie sociali e altri accomodanti con il potere? Il libro, adottando un approccio sociologico attento alla storia del cristianesimo, fornisce una risposta, prendendo alla lettera l'inizio del vangelo di Giovanni: in principio era la Parola. La parola è quella data da Gesù alla sua prima comunità; una parola data che diventa oggetto del lavoro della memoria, fonte di controversie davanti alle quali si impone l'idea che solo l'autorità può garantire la verità del messaggio lasciato da Gesù. Tuttavia la formazione di un'organizzazione di tipo gerarchico depositaria della verità - il modello della chiesa -, lungi dal risolvere i conflitti, li ha dilatati attraverso i secoli, sino ai giorni nostri. L'altra forma organizzata, la setta, ha continuato a mettere in discussione il monopolio della parola di Gesù da parte di un'unica autorità. Nella dialettica fra chiesa, sette e movimenti di tipo mistico, il cristianesimo mostra tutta la sua intrinseca capacità di creare movimento nelle società.
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Dettagli

2012
29 novembre 2012
285 p., Brossura
9788843066292
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Indice

Introduzione

L’eredità di Troeltsch per la sociologia del cristianesimo

Gli ideal-tipi per una sociologia comprendente del cristianesimo

Il cristianesimo e la scoperta del sociale

Religione e prosciutto

Impostazione e articolazione del volume

1. In principio era la Parola

Gesù storico: una pluralità di volti

Modelli d’interpretazione del Gesù storico

Modelli sociologici d’interpretazione della figura di Gesù

Gesù un profeta, secondo Max Weber

Il virtuoso dell’improvvisazione

Il virtuoso e il suo ambiente

La differenziazione dell’ambiente socio-religioso ai tempi di Gesù

2. Dalla viva voce alla formazione del sistema di credenza

Il compasso e lo stilo

Dalla parola data al principio della setta

Il grande fabbricatore della tenda

Dalla tenda alla basilica

3. Come pensa l’istituzione del tipo-chiesa

La chiesa e le chiese

Alla ricerca di un modello organizzativo

Patriarcato e papato

Mappe cognitive e modelli organizzativi del tipo-chiesa

Extra ecclesiam, tante sette

Una chiesa invisibile

4. Come comunica il cristianesimo

Dal potere della parola viva al sistema di comunicazione

Il potere della lingua sacra

L’ordine di servizio

Il pluralismo della parola regolata

Il sacrificio e i suoi molteplici significati

Dalla fine del sacrificio all’istituzione dei sacramenti

5. Il Regno e il mondo

Puri alla meta

Cristianesimo e violenza

L’androcentrismo del cristianesimo

Prendere corpo, salvare l’anima: un confronto fra cristianesimo e altre religioni

Strategie comunicative: la teodicea cristiana

Conclusione

Note

Voce della critica

  La sociologia è un ostacolo o una risorsa per la ricerca storica? Non si tratta di un quesito retorico, come se già avesse avuto da tempo una o più risposte condivisibili da storici e sociologi. Lo sarebbe se lo si ponesse per l'antropologia che, sin dalla nascita della Scuola delle Annales, ha fatto il suo ingresso nel recinto delle discipline storiche e vi si è insediata stabilmente, offrendo variabili di lettura degli eventi storici che si sono dimostrate particolarmente efficaci per una loro più articolata comprensione. Non solo, ma è pure stato possibile compiere un percorso à rebours nella storiografia antica per arrivare a cogliere, ad esempio, in Erodoto uno storico in grado di combinare eventi politico-militari con descrizioni di usi, costumi e mentalità che ne fanno un antropologo, per così dire, ante litteram. Per la sociologia il percorso appare assai più accidentato. In un saggio dal titolo Storia e sociologia, pubblicato nel 1958 (ora in Scritti sulla storia, Mondadori, 1973), Braudel non esitava a ricordare che "il tempo dei sociologi non può essere il nostro; la struttura profonda del nostro mestiere vi si ribella. (…) Non credo che sia possibile evitare la storia. Occorre che il sociologo ne tenga conto". Ora da questa concezione ancillare della sociologia nei confronti della storia negli ultimi decenni si è passati, non senza difficoltà, a un dialogo che ha avuto tra i suoi referenti più autorevoli personaggi come Max Weber, Ernst Troeltsch e, per certi aspetti, anche Georg Simmel. Alcuni nodi teorici pare si siano resi disponibili all'attenzione di entrambe le parti: il primo è che occorre rompere con la vecchia identificazione tra scientificità e ricerca di leggi "universali" (equivalente, secondo Simmel, alle teorie delle antiche metafisiche secondo cui non può esserci conoscenza se non dell'universale e del necessario). Il secondo è che per ogni ricerca nelle scienze sociali, le condizioni immediate del fenomeno da spiegare costituiscono un dato che, a sua volta, è il risultato di processi che devono essi pure costituire oggetto di ricerca: vale a dire che la regressio ad infinitum è costitutiva di ogni studio dei fatti storici. Il terzo nodo, fondamentale per ogni serio dialogo tra sociologia e storia, è che gli schemi interpretativi, per quanto ovviamente indispensabili, devono mantenere lo statuto di modelli o paradigmi, contro ogni interpretazione volta a convertirli in leggi generali della storia. Su questa pista si colloca Enzo Pace nel suo corposo volume (con molteplici grafici assai pertinenti per la loro capacità di sintesi). Non v'è dubbio che il solco metodologico sia quello esplicitamente richiamato nell'introduzione: L'eredità di Troeltsch per la sociologia del cristianesimo. Troeltsch è chiamato in causa non soltanto per la sua nota teoria (in opposizione a quella enunciata da Adolf von Harnack in L'essenza del cristianesimo) secondo cui il cristianesimo è una realtà che si dispiega nel tempo e manifesta progressivamente le proprie potenzialità sotto la "pressione" della storia, ma anche per il modello triangolare che guida la costruzione delle Soziallheren (1923, II edizione), l'opera monumentale che sarebbe stata tradotta in italiano tra la fine degli anni quaranta e l'inizio degli anni sessanta del secolo scorso: Le dottrine sociali delle chiese e dei gruppi cristiani. Inoltre Pace preannuncia l'utilizzo, che manterrà con grande finezza nel corso del volume, della teoria luhmaniana dei sistemi per la quale "l'insegnamento sociale significa la capacità di un sistema di credenza religiosa di entrare in relazione con un ambiente sociale, di riflettere su come esso si configuri e di trasferire in parte le differenti manifestazioni di tale ambiente all'interno delle sue categorie (teologiche ed etiche) e i suoi modelli specifici di funzionamento organizzativo. Il risultato è l'elaborazione di un punto di vista sulle trasformazioni sociali, esterne ad un sistema di credenza, spesso da esso non volute e, a volte, espressesi contro un determinato sistema religioso". Di qui la costruzione di una "grammatica generativa del cristianesimo" e il ricorso a una sociologia del conflitto (il richiamo a Jean Séguy è trasparente) cui ricondurre la nascita dei fenomeni settari e, naturalmente, l'attenzione alle trasformazioni sociali e politiche che hanno portato alla pluralizzazione storica dei cristianesimi. Affrontare la figura originaria del fondatore significa da un lato tener presente la teoria weberiana del carisma (di cui viene costruito un ottimo modello grafico), dall'altro salvaguardare l'autonomia di un messaggio la cui natura è essenzialmente religiosa, a partire da un personaggio felicemente chiamato un "virtuoso dell'improvvisazione, nel senso che, con la sua predicazione itinerante, lascia immaginare un altro mondo di significati possibili e, così facendo, con l'esercizio del potere della parola, convince chi l'ascolta a varcare i confini simbolici degli universi di credenza religiosa che erano dati per scontati, come tante frontiere mentali ritenute invalicabili". I problemi sorgono nel passaggio dalla "viva voce" al "sistema di credenza", cioè da "ciò che ha veramente detto Gesù" al canone, dal Gesù accolto direttamente dai testimoni che l'hanno seguito, udito o interiorizzato alla maniera di Paolo, al Gesù narrato in una serie di testi costruiti (per lo più nella seconda metà del I secolo) e assunti successivamente come validi dall'istituzione centrale, la Grande Chiesa, nel frattempo consolidatasi, che ne ha regolato la selezione sino a dichiararli come fonti rivelate senza alternative e da "proiettarsi" come tali verso ogni orizzonte geografico-culturale (sulla base di Atti, 1,8). Qui si gioca, aggiungiamo sommessamente, il riacceso, e a volte troppo disinvolto, dibattito in corso da qualche tempo sul rapporto tra il "Gesù della storia" e il "Gesù della fede" che le istituzioni cristiane hanno teso e tendono a far coincidere entro il perimetro delle rispettive ortodossie. L'asse portante originario di tale processo viene individuato da Pace nella strategia comunicativa di Paolo, in particolare nella sua proposta teologica della chiesa intesa come corpo mistico, assunto a "principio di funzionamento del sistema di credenza". In tal modo la chiesa si qualifica come tipo, mentre le forme di differenziazione, che si manifesteranno in diversi contesti storico-culturali futuri, assumeranno, allo statu nascenti, la qualifica troeltschiana di setta, non nel senso spregiativo che tale termine ha conservato nel contesto cattolico sino a oggi, bensì in quanto gruppi che decidono di separarsi dal sistema egemone di credenza per crearne uno proprio, generalmente in polemica nei confronti di quello di cui sono stati una gemmazione. Così, come titola un paragrafo, Extra ecclesiam, tante sette, il fenomeno settario va osservato come un dato insopprimibile nella storia cristiana, come differenziazione interna, ma anche come presa d'atto della polisemia della "parola-Parola" che porta a instaurare sistemi di credenza che si staccano come rami e alla fine si separano per il fatto che "un discorso – magari contenuto in un testo – quando diviene un mezzo di comunicazione acquisisce significati che non necessariamente coincidono con quelli attribuiti ad esso da parte di chi lo ha annunciato", soprattutto se questi nuovi significati interpretano "il bisogno di rinnovamento (…), il mito di tornare alla purezza della prima comunità". Un mito del genere è paradossale perché antistorico, ma, sostiene l'autore, "per le religioni pensiamo che [il paradosso] sia invece costitutivo del loro stesso essere". Infine c'è un problema relativo al funzionamento del modello triangolare che Troeltsch propose come filtro di lettura della storia del cristianesimo dalle origini alla fine del XVII secolo, senza avventurarsi oltre. Si tratta di uno sforzo interpretativo assai complesso, condotto dallo studioso tedesco con uno straordinario rispetto per la storia come disciplina idiografica. Uno dei vertici del triangolo (definiti da Troeltsch come "estrinsecazione autonoma della vita religiosa", Dottrine sociali) è il misticismus: "riduzione o interiorità e immediatezza del mondo di idee consolidatesi nel culto e nella dottrina, (…) intorno a cui possono soltanto formarsi gruppi fluidi". Ora, la domanda è: dove e in che misura la modernità permette la formazione di tali "gruppi fluidi"? L'attenzione di Pace, cui preme evidentemente la ricostituzione in chiave moderna del paradigma di Troeltsch, punta alla diffusione massiccia dei movimenti carismatici e pentecostali sia in Occidente sia, e soprattutto, in Brasile e nell'Africa subsahariana: "Una fede che crede nei doni dello Spirito. (…) Lo Spirito, se lo si prega ardentemente, guarisce, fa parlare in lingue, infonde la capacità di profezia". In realtà le variabili che concorrono a costruire la fisionomia di questi movimenti "fluidi", tipici del moderno (per quanto se ne possano recuperare le tracce in antiche esperienze religiose, oltre che nell'ambito dello sciamanesimo, come ricorda lo stesso San Paolo in Corinzi, I), sono molteplici, ma ciò non implica che del paradigma troeltschiano non si debba mettere alla prova la souplesse, anche in società dove il cristianesimo non è più, o non è mai stato, l'indicatore culturale egemone.   Carlo Prandi  

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