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Descrizione


"La canaglia sentimentale", terzo romanzo pubblicato in Italia del peruviano Jaime Bayly, è un autoritratto, in cui l'io del narratore è come continuamente distratto a spostare lo sguardo da sé agli altri, mantenendo la stessa ironia e la stessa tenerezza. Jaime, il protagonista, lo abbiamo conosciuto, nei due primi romanzi, adolescente il cui "destino era scoprire l'amore nella persona di un uomo", e giovane lanciato tra scrittura e televisione alla ricerca di una definizione sia in amore che nell'arte. Ora è un quarantenne grasso, affermato, un pigro in perenne movimento tra Miami dove conduce un programma TV di successo, Lima dove vivono le sue figlie e Buenos Aires dove manda avanti il fiacco rapporto con il suo ragazzo. E in questo movimento, spaziale, su e giù per un'America continente unico, si inseriscono gli altri due moti perpetui che lo caratterizzano come personaggio comico: è un bisessuale, stanco di sesso, legato a un ragazzo, che però torna sempre nei luoghi delle sue donne; è uno scrittore dalla forte vocazione, ma che trae denaro, comodità e fama dall'intrattenimento televisivo. Contraddittorio, infedele, vanitoso, comodista, ma spinto dal sentimento verso gli altri, verso avventure e incontri, con la propensione all'equivoco comico e i personaggi paradossali. Sullo sfondo scorre la società dei sudamericani ricchi, con l'innesto di un way of life del Nordamerica nell'America del Sud, e i paradossi dell'opulenza, del consumismo e della velocità senza meta in una struttura lenta e povera.
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Dettagli

2010
16 settembre 2010
429 p., Brossura
9788838924934

Valutazioni e recensioni

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elisa macuz
Recensioni: 4/5

è un libro che richiede attenzione , l'autore oscilla in continuazione tra fantasia e realtà , tra presente e passato , in ogni caso vale davvero la pena leggerlo , Bayly è una delle migliori espressioni della letteratura moderna ( forse "L'uragano ha il tuo nome" è leggermente superiore ) lo consiglio senz'altro

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lanfranco
Recensioni: 2/5

Bayly è uno scrittore fuori dal comune, sicuramente,con una scrittura moderna, però questo pastiche di aneddoti sulla soglia del nichilismo totale e dello squallore umano alla fine riesce persino ad essere un po' stucchevole - come sempre nei suoi romanzi, finzione e realtà si mescolano fino a far scomparire la sottile linea di demarcazione tra le due cose e quindi 'creare', però qui, forse, sono troppo slegate le micro-storie raccontate ed il rischio è la perdita di interesse verso il libro stesso. Il suo libro migliore, secondo me, è 'L'uragano ha il tuo nome'

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Recensioni

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Voce della critica

Jaime Bayly, figura molto nota in Perù in qualità di giornalista e di conduttore di un programma televisivo di successo, aveva debuttato come scrittore nel 1994, pubblicando il romanzo No se lo digas a nadie (Non dirlo a nessuno, Sellerio, 2003). In quel momento aveva ventinove anni, godeva di grande notorietà nel suo paese, ma nessun precedente nel mondo della letteratura, cosa che ancora oggi, dopo la pubblicazione di ben dodici romanzi, non ha smesso di far storcere un po' il naso a certe "frange intransigenti", specie accademiche, della cultura latinoamericana. Tuttavia Bayly aveva avuto un padrino indiscutibile in Mario Vargas Llosa, che lo aveva presentato alla propria prestigiosa casa editrice barcellonese, e un'ulteriore conferma nel successo di vendite del suo primo romanzo (tradotto in varie lingue), di cui non aveva tardato a uscire un'apprezzata versione cinematografica (regia di F Francisco J. Lombardi, 1998). L'importante premio Herralde per la narrativa, destinato al suo quarto titolo (La noche es virgen, 1997), aveva poi siglato l'unione fra riconoscimento della critica e l'approvazione del pubblico.
Il successo più europeo e nordamericano di Bayly può anche essere dovuto al fatto che agli occhi di questo pubblico egli non appare nella veste di un David Letterman peruviano, immagine controproducente per il mainstream culturale, ma viene riconosciuto come esponente di una letteratura che, per quanto autoproclamatasi "light", si inserisce in un filone che Angelo Morino – promotore dell'opera di Bayly nel nostro paese – aveva definito al limite "fra autobiografia e autofinzione". Questa linea di frontiera, meno chiara di quanto si possa pensare, e un tempo invalicabile, si sta affermando con sempre minor reticenza, se si pensa all'autobiografismo ostentato e provocatorio di scrittori del calibro di Philip Roth e di Javier Marías.
Di Bayly, in Italia, oltre al romanzo menzionato, è uscito nel 2006 L'uragano ha il tuo nome, e adesso La canaglia sentimentale, sempre per Sellerio. È probabile che la selezione dei titoli sia stata consigliata dallo stesso Morino, che in uno studio pubblicato sulla rivista "Artifara" (2006, n. 6) segnalava come filo conduttore di tutti i romanzi di Bayly proprio il costante gioco a nascondino tra referenzialità e straniamento messo in atto dall'autore con rimandi da un testo all'altro. Con il termine di autofinzione si intende, secondo Philippe Forest, quella forma di narrativa dell'io dove progetto autobiografico e progetto romanzesco si fondono al punto che la realtà stessa dell'io viene "sentita (o suggerita) come finzione". E difatti, dal primo sino all'ultimo, i romanzi dello scrittore peruviano sembrano riecheggiare, con solenni strizzate d'occhio e malgrado le sostituzioni di nomi, le vicende del Bayly personaggio reale che si racconta come "a puntate", anche grazie a scioglimenti di carattere proverbialmente aperto.
In La canaglia sentimentale, il protagonista finisce addirittura per assumere il nome e cognome di Jaime Baylys, con l'eccezione di una "s" finale che è una specie di omaggio all'indulgente suspention of disbelief con cui i lettori lo hanno sinora premiato. Infatti, sebbene all'inizio di Non dirlo a nessuno, una nota indicasse: "Le storie qui narrate sono accadute solo nell'immaginazione dell'autore, qualunque somiglianza con la realtà è pura coincidenza", un'avvertenza simile, più che allontanare sospetti, aveva l'effetto immediato di alimentarli. Che si trattasse di Joaquín Camino, poi di Gabriel Barrios e ora di Jaimito Baylys, non c'è dubbio che il personaggio peruviano – di famiglia agiata, che lavora in televisione, che è dichiaratamente omosessuale pur intrattenendo rapporti con donne e che è stato sposato con una certa Sofia da cui ha avuto figli – è lo stesso il cui nome campeggia sulla copertina di una serie di romanzi dove la condizione omosessuale e il desiderio di diventare scrittore del protagonista sono il fulcro intorno al quale ruotano la maggior parte delle storie narrate. Ciò che cambia, in questo atipico romanzo di formazione tuttora in divenire, è il punto di vista – da una focalizzazione in terza a quella in prima persona – e l'opinione che il protagonista ha via via di se stesso.
Dalla tormentata adolescenza, ai tentativi di "normalizzazione", all'accettazione di una condizione omosessuale semipermanente e al tanto desiderato successo come scrittore, l'eterno protagonista sembra infine approdato a una pessima concezione del proprio ombelico. Invece di autofingersi affascinante, la "canaglia" di questo romanzo non fa che mostrarsi in uno squallore tale da rasentare l'iperrealismo, e quindi da destare nuovi sospetti nel lettore. Rovesciando la legittima tentazione – decantata dallo stesso Vargas Llosa con la teoria del "deicidio" – di emendare "in bello" la realtà quotidiana nel processo di creazione letteraria, Bayly scrive, adesso, la propria vita in versione denigratoria. Lo fa dire con disarmante sincerità al suo stesso personaggio, nel momento in cui costui dichiara di elevare il sonno – dormire se possibile fino a dieci ore al giorno – a pilastro non negoziabile della sua quotidianità: "Non voglio più istruirmi, imparare altre lingue o conoscere la storia dell'umanità (…) Adesso niente di tutto questo mi interessa (…) Non conosco piacere più grande dell'evadere la realtà, non già leggendo, bensì dormendo e attendendo con curiosità le storie che vivrò nei sogni, nelle quali sono un uomo seducente, avventuroso, coraggioso, intraprendente, l'esatto opposto di quello che sono nella vita".
La sua vita diurna è infatti una sequela di aneddoti insignificanti e spesso risibili (figuracce pubbliche e private, scaramucce con la ex suocera, menzogne dichiarate), che contrastano con la facciata del suo status di celebrity, denunciando la vocazione a un'esistenza che alla fine si scopre, e forse si vuole, ordinaria e mediocre. Si tratta di uno sguardo impietoso e cinico che cala, come un sipario esistenzialista, su una serie di sogni in fondo realizzati, ma con quella imperfezione di cui solo è capace la realtà: "In gioventù avrei voluto fare il politico – dice un Jaimito sulla soglia della cinquantina – ma adesso mi fa orrore la sola idea di servire gli altri quando è tanto più ragionevole e gratificante servire se stessi", e non dubita a definire il tanto agognato officio di scrittore una "forma di elegante esercizio della vanità", se non fosse che anche come scrittore si auto diffama ripetendo frasi del tipo: "Faccio lo scrittore perché non mi viene in mente un altro modo per fare soldi stando in casa", e ancora: "È chiaro che non ho mai scritto un grande romanzo ed è improbabile che un giorno riuscirò a scriverne uno" o, conclude: "Sono un cattivo scrittore ma una brava persona. Sono una brava persona ma non quando scrivo".
Insomma, questo "uomo stanco, grasso, con le occhiaie", così poco somigliante a certe immagini raffinate che si hanno degli omosessuali, questa "brava persona" che tuttavia si mostra sconfitta, senza ambizioni né qualità, rassegnata a essere un dozzinale personaggio televisivo ("Ti siedi, sorridi e parli per un'ora o due. Non sei neanche tenuto a sapere che cosa stai dicendo. Devi solo parlare come se avessi ragione"), è, nella sua disarmante, eccessiva, franchezza, ancora qualcuno che si autofinge. Qualcuno che mente, perché, se redarre la propria autobiografia è già scrivere il romanzo della propria vita – dunque mentire –, denigrarla in eccesso è mentire al quadrato pur di conquistarsi l'empatia del lettore e catturarlo nella propria tela. La medesima, però, in cui sembra essere caduto lo stesso Bayly, che ha ormai fatto dell'autofinzione un modello romanzesco senza via d'uscita.
Vittoria Martinetto

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