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Cadere - Carlos Manuel Álvarez - copertina
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Cadere

Descrizione


Con una prosa chirurgica ma lirica e avvolgente, Álvarez ci regala un grande romanzo d'esordio, che racconta Cuba con il passo di un classico, come non l'abbiamo mai vista.

«Un romanzo splendido e doloroso, capace di raccontare l'indicibile»Alejandro Zambra

Questa è la storia di una famiglia: c'è un figlio che non crede nella rivoluzione; c'è un padre che si aggrappa a un sogno ormai sfumato, e cita Che Guevara ogni volta che può; c'è una madre che cade, si ritrova a terra in preda alle convulsioni, e vede la vita sfuggirle dalle mani; c'è una figlia che fa di tutto per tirare avanti, anche se questo vuol dire cedere all'inganno. Ci sono crepe dappertutto, dentro casa e dentro ognuno di loro. C'è una Cuba polverosa, splendida e dolente. Sono quattro le voci che si alternano con estrema naturalezza in questo romanzo, quattro versioni di una stessa storia, una per ogni membro della famiglia. Quattro storie che vanno apparentemente in direzioni diverse, pur raccontando lo stesso percorso. Un'unità che si sfalda, quella della famiglia, e fa da contr'altare all'unità del paese, al sogno per un futuro migliore, alle promesse tanto attese e mai mantenute, comuni a un'intera generazione.

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Dettagli

Sur
2020
29 gennaio 2020
158 p., Brossura
9788869981982

Valutazioni e recensioni

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Rigus68
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E’ un coro a quattro voci dei componenti di una famiglia cubana: il padre (Armando), la madre (Mariana), il figlio (Diego) e la figlia (Maria). Probabilmente ambientato negli anni novanta. E’ come un organetto di Barberia: finito il giro del rullo musicale, la sinfonia si ripete piuttosto monotona, per ben cinque capitoli, ogni protagonista che racconta ex novo piccole varianti della stessa storia, in cui forse solo il padre mantiene ancora alcuni ideali della rivoluzione e cita in continuo Che Guevara. Gli altri sono malconci, disillusi dalla vita e perdenti: Diego, ancora militare, sopravvive masturbandosi 4 volte/die (per ricetta medica?). La figlia, impiegata in un hotel, ruba quotidianamente ogni sorta di provviste alimentari. E’ la madre, epilettica, che è in caduta libera, parafrasi della caduta degli ideali della rivoluzione (Armando vede sparire Marx, Lenin, Engels). In un certo modo, ricorda il ciclo dei vinti di Verga, in particolare i Malavoglia. Con un distinguo: padron 'Ntoni, Bastianazzo e figli sono dei combattenti, lottano duramente per sopravvivere e sono scolpiti da Verga a tutto tondo. Qui invece i personaggi sono in bassorilievo, quasi a stiacciato, evanescenti come persone, sentimenti, ideali (si salva solo Armando). Il problema è che Álvarez non suggerisce alternative e in realtà non descrive la vita reale nella Cuba del tempo in cui fa vivere i suoi personaggi. Forse era meglio sotto la dittatura di Batista o quando La Habana era il giardino delle delizie di gangsters e mafiosi USA? Può darsi che la rivoluzione sia fallita, ma va ricordato che, dopo la presa di potere di Fidel, Cuba è stata imprigionata nella ferrea morsa dell’embargo USA, finito solo in epoca Obama e subito reintrodotto da Trump. Tutto questo non è preso in minima considerazione da Álvarez, dimenticando che nella vita, se si può cadere, ci si può anche rialzare. Romanzo cupo, piuttosto noioso e penso anche lontano dalla realtà cubana odierna.

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Voce della critica

“Tutti abbiamo una casa. È lì che va sempre tutto storto.” È una citazione di Philip Roth, apre Cadere, il romanzo d’esordio del cubano Carlos Manuel Álvarez ed è una frase perfetta, che sarebbe in effetti sufficiente a contenere tutto il libro: la casa, la famiglia, sono ovunque, da noi come in America Latina, luoghi vacillanti, geografie di crepe, impalcature sul punto di crollare. La letteratura tuttavia non vive di aforismi e di assertività, ma di complesse costellazioni vitali, di dettagli: e tutto il romanzo di Álvarez si occupa infatti di mettere addosso a quella frase la carne, i muscoli, i nervi, il sangue.

Si parla di una famiglia cubana: il figlio, la madre, il padre, la figlia. Ognuno ha la sua croce: il suo piccolo dolore individuale che la vicinanza degli altri non sembra poter sanare; stiamo parlando di sofferenze di ogni tipo, da quella ideologica del padre, che deve fare i conti con il disfacimento di un sogno politico, a quella fisica della madre, che versa in una grave condizione di salute e spesso si ritrova a “cadere”, per l’appunto. Per questo motivo, i racconti dei quattro personaggi tendono a deragliare, a spostarsi in passati diversi senza un ordine preciso, costruendo anche formalmente il quadro di solitudini che non riescono mai a incrociarsi nel tempo.

In questa famiglia non solo non c’è rimedio al dolore, ma succede anche che quel male individuale si diffonde e diventa il principio di un male collettivo. Ogni personaggio fa male a qualcun altro, proprio come i polli del finale che, sebbene siano animali totalmente inoffensivi, per noia “finiscono per beccarsi tra loro, mangiandosi le viscere”. Ecco allora che il tentativo di autoconservazione in famiglia diventa presto un tentativo di sabotaggio di qualcun altro: per cercare di essere un po’ più liberi, un po’ più felici, i personaggi inevitabilmente si calpestano i piedi a vicenda. Non è forse così ovunque?

La scena più bella e più esemplificativa, d’altronde, è quella del petto di pollo – il pollo è, in questo romanzo, un inquietante elemento tematico. Dopo settimane di stenti la madre riesce finalmente a procurarsi un petto di pollo e decide di cucinarlo per quella sera, preparando una cena ricchissima, come la famiglia non ne vede da tempo. I bambini – il figlio e la figlia – però non gradiscono: non sono abituati a riconoscere il petto di pollo come un piatto speciale, e non riescono a mangiarlo almeno quanto non riescono a mangiare la polenta dolce o gli altri piatti insipidi di ogni giorno: la soluzione è presto detta; non volete mangiare, bambini?, non vi preoccupate, datemi qui i piatti, andate pure a giocare. La scena finisce con il padre e la madre che mangiano sul balcone il cibo che sarebbe stato destinato ai loro figli.

Possiamo dire, in poche parole, che Carlos Manuel Álvarez ha messo in scena molto bene questo nucleo di verità famigliari, tenendo d’occhio in modo evidente – per l’aspetto strutturale – certi pezzi di letteratura che sono ben noti: uno su tutti, Mentre morivo di Faulkner. Cadere è quindi un romanzo che si inserisce alla perfezione in uno specifico solco della letteratura, e ci sta dentro con dignità, anche se dubito si possa dire che lo porta granché in avanti. Seppur buono, resta comunque qualcosa di già letto, un’opera tra le tante che affrontano questo tema, senza alcuna particolare originalità formale o di immaginario. Resta quella sottile amarezza di fondo, di aver letto un buon racconto, niente di più.

Mi è sembrato inoltre che a questo libro mancasse una qualità fondamentale, tipica della grande letteratura. Leggendo, avevo l’impressione che la specifica densità di scrittura, il ritmo, non fossero in grado di condurmi nella lettura a loro arbitrio, di spingermi a percorrere il testo alla velocità scelta dall’autore. Mi sentivo distaccato, come se il torrente di parole non fosse abbastanza forte da trascinarmi con sé: lo vedevo scorrermi intorno, scivolare debole. Può darsi che sia stata una mia impressione, ma ne dubito; forse semplicemente Álvarez avrebbe dovuto dare a questa storia un respiro più ampio, per permetterci di sentirne meglio le pulsazioni.

Nello scrivere questo libro Álvarez ha guardato giustamente alla tradizione letteraria che sentiva più vicina a sé e ha cercato come meglio poteva di starci dentro. Ciò detto, bisogna ricordare che questo è un esordio, e che eventuali goffaggini possono essere perdonate sul presupposto che c’è almeno la consapevolezza di cos’è venuto prima, l’ambizione di avvicinarsi senza la presunzione di raggiungere. È una prima prova, un esperimento che per vari motivi merita una promozione. Alla fine Cadere parla del dolore come basso continuo nella vita di famiglia: quindi parla di ognuno di noi. In questo senso, merita sicuramente che gli si dia un’occhiata – nell’attesa che l’autore ci regali un risultato più maturo del talento che certamente ha.

 

Recensione di Pierpaolo Moscatello

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Conosci l'autore

Carlos Manuel Álvarez

1989, Matanzas

Carlos Manuel Álvarez ha vinto nel 2013 il Premio Calendario e nel 2017 è stato selezionato tra i 39 migliori scrittori latinoamericani sotto i quarant’anni nel progetto Bogotá39. Fondatore della rivista El Estornudo, i suoi testi di non-fiction sono stati pubblicati da testate quali The New York Times, The Washing-ton Post, BBC World, Al Jazeera, Internazionale.In Italia ha pubblicato con Sur il romanzo Cadere nel 2020.Fonte biografia e immagine: casa editrice Sur.

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