Un buon detective non si sposa mai

  Cominciamo dall'inizio, proprio dalla copertina che ben sintetizza il senso più profondo del romanzo con il montaggio di Vertigo (La donna che visse due volte): James Steward bacia Kim Novak bionda, capelli raccolti, tailleur classico, e viene preso per il polso dalla stessa, bruna, capelli sciolti, abiti più popolari. Controcopertina e relativa aletta raffigurano un perfetto labirinto di siepi. Esplode un citazionismo narrativo devozionale da Christie a Chandler, cinefilo compulsivo da Chabrol a Hitchcock, fiabesco e allusivo ma significativo da Cenerentola a Barbablù. Al lettore meno strutturato è consigliabile disegnare un albero genealogico della strana famiglia formata da tre generazioni di gemelle monozigotiche, tanto uguali all'apparenza quanto diverse nel resto. Proprio per non perdersi nel labirinto parentale, sentimentale, economico, indiziario. Qui in un riarau, caratteristico casolare rurale, ma lussuosissimo, viene invitato in vacanza Arturo Zarco, detective in crisi per il tradimento del giovane amante. Non c'è delitto, se c'è non si vede, non si capisce chi ha ucciso chi. Marta Sanz è l'innovatrice di un genere che spinge i limiti fino al soft boiled. Non perché il detective è omosessuale dichiarato in quanto ha illustri precedenti nel colto e disincantato Brandstetter di Hansen e nello sboccato nero-repubblicano Leo che fa coppia col bianco-etero-democratico Hap (Lansdale). Piuttosto, per l'andamento non adrenalinico, riluttante, ondeggiante dell'indagine (ma Zarco indaga davvero o attende che qualcuno confessi?); per un linguaggio che usa metafore non tradizionali, ma tenere, botaniche, musicali; per una storia che è un groviglio di serpi familiari o addirittura gemellari, nasconde o svela amori malati, sembra romanzo sociale che squarcia le maschere di una borghesia marcia e allude a conflitti di classe. Allora si spiega la copertina: i personaggi vivono due volte, sfumano i confini tra vivi e morti, eros e thanatos, vittime e assassini, padrone e serve, buoni e cattivi.   Fernando Rotondo