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La cosa più interessante di questo libretto sono le fotografie di Cristina Archinto, che inquadrano una New York non convenzionale, piuttosto nebulosa negli interni di stazioni e musei, e negli esterni proiettati verso un cielo alto e grigio, a cui si indirizzano rami intrecciati e nudi di alberi invernali, o scheletri di grattacieli desolati nella loro perfetta e silenziosa incomunicabilità. Il testo di Charles Dantzig, letterato francese dalle molteplici vocazioni, in realtà appare piuttosto vacuo e inconsistente agli occhi perplessi del lettore. Si tratta di considerazioni abbastanza superficiali sul black out che ha colpito New York nel pomeriggio del 14 agosto 2003, giornata afosa in cui l'autore si trovava per lavoro proprio nella metropoli statunitense. Dopo aver commentato la city nella sua scandalosa sporcizia, facendo i debiti e scontati confronti tra il lifestyle americano e francese, Dantzig racconta l'imprevista e imprevedibile mancanza di corrente che quel giovedì paralizzò l'intera città, e parte del Nord America. Semafori spenti, clacson impazziti, imbottigliamenti, autoambulanze a sirene spiegate, migliaia di persone che abbandonano l'auto e iniziano a camminare ordinate, in silenzio, invadendo strade e marciapiedi. Ovviamente, quasi tutti pensano a un nuovo, gravissimo attentato come quello dell'11 settembre 2001; in pochi, tuttavia, pronunciano la temuta parola "terrorismo". Gli irlandesi bevono birra fuori dai bar, una coppia fa l'amore in pubblico, senza curarsi degli altri; qualche volenteroso si prende la briga di dirigere il traffico. New York è così, civile e vitale. Caput mundi dell'occidente, come sono state altre città negli ultimi due secoli. Probabilmente il suo ciclo di dominio mondiale si sta esaurendo, e si vedrà sostituita nell'immaginario internazionale da un'altra capitale. Ma, conclude l'autore in questo pamphlet abbastanza inessenziale, meglio essere state qualcosa piuttosto che nulla.
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