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Dopo poco più di due anni ho deciso di inviare un'altra recensione per rettificare la sottostante. Già, perché nei due anni ricchi di letture che mi separano da allora, più i Buddenbrook si allontanava da me, più radici metteva nel mio inconscio fino a spingermi a sfogliare, perdiodicamente, le pagine del romanzo(soprattutto della seconda parte) per godere ancora delle profonde emozioni che è capace di suscitare. Sulla soglia del vecchio secolo in procinto di esaurirsi, Man, mettendo appunto il suo eccelso stile personale, attinge ispirazione dai temi e dalle correnti letterarie affiorati e stabilitisi nei quattro angoli d'Europa, unendo realismo e naturalismo francesi, narrativa scandinava, psicoanalisi russa e filosofia tedesca, per sublimarli in un'opera d'arte intimista che, con un occhio acuto puntato sui mutamenti del substrato sociale, quasi accidentalmente assume una carica simbolica che l'assurge ad emblema dell'intera classe borghese in agonia. Con ciò che sembra un omaggio all'intera letteratura del vecchio continente, Mann si congeda dall'800, ed accede al nuovo con tutti gli onori. è uno dei più bei romanzi che abbia mai letto.
Ho preso questo romanzo con aspettative molto alte, forse per il fatto che Mann abbia attettantamente letto il ciclo di romanzi dei "Rougon-Macquart" di Zola, col chiaro intento di cogliere e servirsi dell'afferrante abilità dello scrittore francese nella composizione di decadenza e rovina; ma la sensazione vertiginosa dell'inarrestabile caduta non è stata altrettanto vivida. Ho atteso per diversi capitoli l'impaziente trepidazione di voltare la pagina successiva; non mi ha colto se non nelle ultime 200 pagine. Penso dipenda dal fatto che l'autore intramezzi, nel corso della narrazione, attente analisi dei personaggi i cui processi psicologici, con efficace credibilità, vengo sezionati sotto una lente d'ingrandimento. Un appunto che può essere, invece, imputato a Zola il cui freddo distacco dai personaggi descritti senza particolare enfasi e cura impedisce al lettore di empatizzare con loro. Dunque abbiamo una prima parte in cui la protagonista indiscussa è Toni, da cui però si resta ben poco affascinati per via del suo "cervellino d'oca", ed una seconda parte in cui, alla lontana, Mann si avvicina in punta di piedi alla mente di Thomas le cui evluzioni psicologiche affascinano e sbalordiscono, soprattutto verso la fine del romanzo, col tarlo del dubbio che a poco a poco lo divora dall'interno e tarpa le ali dell'ascesa dei Buddenbrook. Infine c'è Hanno, il piccolo, malsano e fragile Hanno che trova sicuro rifugio nella musica, nell'arte tanto ostica alla praticità affaristica della famiglia, e sulle cui esili spalle pesa la sopravvivenza della stirpe Buddenbrook destinata, proprio con la sua prematura scomparsa, ad estinguersi. Hanno e Thomas sono scoperti ai nostri occhi, viviamo i loro disagi e turbamenti e per questo riusciamo ad intimizzare con loro. La scrittura, cadenzata dai leitmtiv mutuati dagli spartiti di Wagner, seppur talvolta snervanti, è potente, raffinata e meravigliosamente composta; anche se troppo spesso il raccontare prevale sul mostrare.
...beh, dopo aver letto tanti dei Vostri commenti su tanti libri, tenevo anche io a dare il mio. Ho deciso di cominciare con questa saga familiare, gustosa, avvincente e formativa. Un elogio della Vita quotidiana che spesso viene banalmente trascurata. Attuale nonostante tutto. Poi, come commentare il profili psicologici tracciati da Mann: operazioni a cuore aperto. Scoperto per caso leggendo 'La montagna incantata', altro mito, Mann non ha piu' smesso di accompagnarmi, anche a libro chiuso.
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