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Il bottone di Puskin - Serena Vitale - copertina
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bottone di Puskin

Descrizione


Da più di centocinquantanni, da quando Pukin cadde in duello, colpito da una pallottola del suo avversario dAnthès, la Russia intera come un coro immane, sempre rinnovato e con essa tutto il mondo si domandano: che cosa avvenne veramente negli ultimi mesi di vita di Pukin? Quale catena di eventi provocò lesplodere di quella pallottola fatale? Qual è la verità di questa storia frivola e sinistra? È una storia di amore e tradimento con al centro la bellissima Natalie, moglie del poeta? O è anche un oscuro complotto? E quale parte ebbe nella vicenda lo «sciagurato carattere passionale» di Pukin? Sul tema si sono accumulati migliaia di testi e di interpretazioni, con il risultato di renderlo ancor più inavvicinabile. Serena Vitale si è dunque lanciata in unimpresa davvero ardua: ricostruire giorno per giorno, talvolta ora per ora, quei mesi, lasciando risuonare le voci della società che con Pukin sarebbe morta; e indagare la verità dei fatti, basandosi unicamente su documenti (alcuni dei quali, decisivi, venuti alla luce nel corso del suo lungo lavoro di ricerca e di studio). Per fare ciò occorrevano il piglio del romanziere e unossessiva precisione filologica. Un raro caso ha voluto che tali qualità si ritrovassero insieme in questo libro e addirittura si sostenessero a vicenda. Il risultato si potrà leggere come un travolgente romanzo poliziesco: la vittima sulla cui morte si indaga è la verità, il luogo dellazione i salotti pietroburghesi, il tempo quello eterno della lotta tra volgarità ed eleganza, lassassino forse il Caso, lindizio decisivo chissà un bottone perduto.
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Dettagli

3
1995
12 aprile 1995
496 p.
9788845911217

Valutazioni e recensioni

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Rigus 68
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A volte è pericoloso attaccar bottone!

Il bottone di Puškin è il frutto di sette anni di ricerca continua, tenace, fatta di viaggi in giro per l’Europa per consultare archivi statali, privati, raccolte di manoscritti in varie biblioteche, di Serena Vitale. Sette anni di analisi e studio di fonti primarie: memorie, diari, carteggi diplomatici e tante lettere (forse troppe). Il risultato è un ottimo saggio che avvince come un romanzo giallo, in cui Vitale assume il ruolo del detective a caccia d’indizi, di particolari e di segreti. Puškin è annoverato tra i più grandi romanzieri e poeti russi. Per sua sfortuna la sua esistenza incrociò quella di Georges d’Anthes, un francese di nobile ma sfortunata famiglia, che fu costretto a lasciare la Francia per aver sostenuto la causa del re deposto, Carlo X, e ad emigrare in Russia. Qui, a San Pietroburgo, ebbe un forte diverbio con Puskin, che sfociò in un duello, anche se all’epoca erano severamente proibiti dallo zar. La causa furono le sue lodi eccessive di Nathalie, la bellissima moglie di Puškin. Ci fu una sfida a duello. Puškin fu ferito all’addome e morì due giorni dopo per la grave infezione che ne seguì, mentre il francese fu ferito superficialmente ad un braccio, poiché il proiettile era stato deviato da un bottone dell’abito che indossava. Puškin era amatissimo e osannato in tutta la Russia e il suo funerale fu imponente, vi partecipò tutta la città. D’Anthès fu degradato a soldato semplice e spedito ai confini dell’impero. Ottimo romanzo, un po’ inficiato dalle troppe missive riportate e quindi un po’ troppo statico.

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recensione di Malcovati, F., L'Indice 1995, n. 7

Il montaggio. Esiste, come genere letterario? Se la risposta è sì, "Il bottone di Puskin* di Serena Vitale è un capolavoro assoluto del genere. L'idea di partenza è forse nota: indagare sul duello in cui fu ucciso Aleksandr Puskin alla fine di gennaio del 1837, ricostruirlo in tutte le sue fasi. Lo sfidante era Georges d'Anthès, figlio adottivo (o solo naturalizzato, come si scopre alla fine del libro) del barone Jacob Van Heeckeren, ministro dell'ambasciata dei Paesi Bassi a Pietroburgo. La causa: l'insistente, sfacciato, provocatorio corteggiamento di d'Anthès a Natal'ja, la bellissima moglie di Puskin. D'Anthès e Puskin, fra l'altro, poche settimane prima del duello erano diventati cognati, avendo d'Anthès sposato, per motivi non dei tutto limpidi, la sorella di Natal'ja.
Una storia aggrovigliatissima su cui esistono moltissime leggende, non pochi falsi, frequenti manipolazioni, abbondanti documenti non tutti correttamente decifrati. E naturalmente una vastissima bibliografia, spesso alterata da sovrastrutture ideologiche (i sovietici ci hanno sguazzato, con grevità da par loro: un assassinio premeditato, la corte reazionaria di Nicola contro il poeta martire, ecc).
La Vitale si è rimboccata le maniche e ha raccolto tutto il raccoglibile con acribia esemplare: non solo, da gran segugio filologico come ha dimostrato di essere con i volumi della corrispondenza Cvetaeva, si è messa in caccia, ha bussato alle dimore patrizie degli eredi dei d'Anthès e dei Van Heeckeren e ha frugato negli archivi di mezza Europa. Con fiuto infallibile ha messo le mani su carteggi inediti, su preziosi documenti sepolti da più di centocinquant'anni, ha raccolto testimonianze, ha letto e riletto diari, appunti, lettere, biografie. Un materiale sconfinato. E qui ha preso la prima decisione geniale: farne non una massiccia monografia (un'ennesima manipolazione), ma un montaggio di documenti, collegati tra loro da abili raccordi.
Un montaggio attento, accorto e insieme appassionato, che si legge d'un fiato senza un attimo di noia; un montaggio che rivela nella Vitale non solo un istinto sicuro nel cogliere i momenti di autentico interesse, ma soprattutto un gusto davvero ammirevole per la qualità letteraria dei frammenti selezionati. È inoltre bravissima nell'interpolare, chiosare, proporre nuove letture di documenti lacunosi, avanzare ipotesi nella vasta rete di responsabilità che vede coinvolti protagonisti e comprimari del grande groviglio.
Tre righe dei diari Vjazemskij (formidabili, sempre), una lettera di Dolly Ficquelmont, la descrizione di un ballo, di un interno, i pettegolezzi delle dame, le trame dei bellimbusti pietroburghesi, la presunta omossessualità di d'Anthés, amante del padrino e insieme conteso dalle belle aristocratiche pietroburghesi: tutto sembra leggero, casuale, fatuo, e invece in ogni riga trapela la tragedia, in ogni riga l'atmosfera si fa più greve, asfittica, malsana, un'atmosfera che sta appestando la vita di un uomo che è poeta eccelso e marito apparentemente felice.
La Vitale, con il suo riuscitissimo montaggio, ci conduce a capire tutte le complesse ragioni che hanno spinto Puskin ad affrontare il duello e in sostanza a cercare la morte: l'umiliazione sociale (l'insultante titolo di Kamerjunker datogli dallo zar, l'impudenza di gendarmi e spie di cui era costantemente circondato), l'esasperazione a cui lo condusse l'insolenza dello stupido d'Anthès, la viscida invadenza di Van Heeckeren, la sensazione sempre più chiara che per lui non ci fosse più aria, non ci fosse più via d'uscita da quella ipocrita trappola che era diventata la Pietroburgo del 1836.
Questo è il gran merito del libro: farci capire in che stato psicologico Puskin è andato con determinazione incontro alla morte, lui che nella sua vita aveva affrontato o rischiato una gran quantità di duelli (vedi il capitolo "Table-Talk"); farci capire come il disgusto, la falsità,. l'ambiguità dei suoi stessi rapporti con la corte, la società, la moglie abbiano lentamente sopraffatto la sua indole certo passionale (qualcuno lo trovava insopportabile), ma anche capace di ironica leggerezza, di intelligente mediazione.
Oltre ai documenti, tutti godibilissimi, ci sono i raccordi: e qui la Vitale ha qualche cedimento. Nella sua scrittura c'è un tono sicuro, asciutto, concreto con cui commenta, postilla, indaga, argomenta, ipotizza: perfetto. C'è poi un tono più accattivante, civettuolo, dominato da una retorica frivola che può divertire. Così per esempio parla dei complicati rapporti familiari del poeta: "Moderni puritani, dimentichiamo che Puskin era uomo del Settecento anche nell'alcova e ci aggrondiamo all'idea che il morituro, il grande prossimo al martirio avesse una segreta intesa con la cognata Aleksandrina. E tentiamo di soffocare una stridula vocina interiore: 'Ma allora faceva bene sua moglie a spassarsela con un altro' e ci sforziamo di assolverlo".
Per fortuna di stridule vocino ce ne sono poche nelle molte pagine del "Bottone" di Puskin. C'è invece un tono che è francamente sgradevole (ma anche qui, pochi casi): il tono di certe digressioni letterarie dove risuona una retorica pretenziosa che finisce per essere generica, piatta, banale. Penso alle pagine sui poeti dell'epoca puskiniana: "Approfittiamo della breve pausa, del rapido e un po' confuso cambiamento di scena, per porre concisamente a noi stessi alcune domande a proposito dello sparuto gruppo di scrittori attardatosi una sera, alla metà degli anni Trenta, sull'Olimpo. Sono dei sopravvissuti, esclusi, superati dalla storia? Sono nostalgici, conservatori? Sono - senza tanti giri di parole - reazionari? Non potrebbero così rilevanti ingegni occuparsi di cose più serie delle belle lettere e delle belle donne, essere più utili al loro immenso paese afflitto da immensi problemi?... Sì, per il pubblico sono dei sopravvissuti... No, sono loro stessi la storia. Sono entrati nella vita cosciente e nella letteratura quando la Russia si imponeva nell'Europa come lezione di grandezza e di diversità: prodigio delle steppe, sontuosa Bisanzio, potenza invincibile, barbarie e ferocia, larghezza e ardimento. Ricordano l'eroica, già mitica infanzia del loro paese e si ostinano - chiacchierando, scherzando, pensando, creando - a non cedere alla sua grigia vecchiaia". Sono discorsi inadeguati a ciò che segue e precede (si sta parlando fra l'altro di Zukovskij, Vjazemskij, Odoevskij, Gogol'!), una caduta di gusto. Lo stesso si può dire per l'insignificante, rapida scheda sull'"Evgenij Onegin* definito "un romanzo su due pattini e quattro ruote": "Chissà se abbiamo voglia di sapere qualcosa di più sul conto di Evgenij. Certo che vogliamo. Dunque lui e Evgenij, dobbiamo sapere, sono coetanei e vecchi amici - vecchi nell'anima, irrimediabilmente appassita", ecc. Ma che senso hanno in un testo stringato, appassionante, intelligente, queste melensaggini inutili sia per chi sa già qualcosa di Evgenij, sia per chi non ne sa nulla? Ma, ripeto, sono inezie. Il resto, davvero, è un capolavoro.

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Conosci l'autore

Serena Vitale

1945, Brindisi

Allieva di Angelo Maria Ripellino, diventa una grande conoscitrice della lingua e della letteratura russa e una delle personalità più competenti nel campo. Ha vissuto a Mosca e a Praga e dal 1972 insegna Lingua e Letteratura russa. Consulente editoriale, critica letteraria, ha tradotto migliaia di pagine dal ceco e dal russo. Tra i suoi libri: Il bottone di Puskin, Adelphi (premio Viareggio per la saggistica, Comisso per la biografia e Basilicata per la narrativa), La casa di ghiaccio, Mondadori (Premio Bagutta, Premio Piero Chiara), L’imbroglio del turbante, Mondadori (premio Pen Club, Premio Grinzane Cavour). Nel 2015 esce per Adelphi Il defunto odiava i pettegolezzi.

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