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La biblioteca di Montaigne - Barbara Pistilli,Marco Sgattoni - copertina
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La biblioteca di Montaigne - Barbara Pistilli,Marco Sgattoni - copertina

Descrizione


I cataloghi sono eccezionali carte geografiche che consentono di entrare nell'officina di un autore - individuando i testi con cui si è confrontato, l'uso che ne ha fatto, la funzione che hanno avuto nel generare, per sintonia o per contrasto, le sue posizioni. Viaggio tanto più affascinante e coinvolgente, specie se si tratta di volumi postillati o commentati che permettono di comprendere il complesso processo da cui scaturiscono opere che si presentano ormai ai nostri occhi con i tratti di un 'classico', fuori dal tempo per la loro stessa perfezione. Montaigne fu un grande lettore, soprattutto dei testi antichi, che cita e utilizza secondo un progetto, e uno stile, letterario assai precisi, inserendoli direttamente nel corpo delle sue riflessioni, quasi fossero il 'secondo' autore dei Saggi, di cui si avverte, come un basso continuo, la presenza pagina dopo pagina, nella trama delle associazioni che le compongono. Perciò questo catalogo della biblioteca di Montaigne è un evento eccezionale per chiunque si interessi della sua persona e del suo 'libro': esso consente di gettare luce sull'una e sull'altro da un punto di vista non comune, attraverso incontri sorprendenti anche per il lettore più accorto e smaliziato.
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Dettagli

2014
26 novembre 2014
337 p., Brossura
9788876422270

Voce della critica

  Pur avendo dedicato un intero saggio all' "arte del conversare" (art de conférer), Montaigne confessava che solo poche conversazioni lo trattenevano "senza vigore e senza sforzo", anzi ‒ scriveva ‒ gli capitava talvolta di sonnecchiare o comunque di isolarsi proprio nel bel mezzo del dialogo. Questo atteggiamento di "freddezza nella conversazione" gli aveva tolto la benevolenza di molti che non lo conoscevano abbastanza. In un altro saggio, Di tre commerci, aveva catalogato le sue relazioni in tre diverse categorie: con gli uomini, con le donne e infine con i libri. Riteneva i primi due tipi fortuiti e dipendenti da altri: l'uno avrebbe lo svantaggio della rarità, poiché poche sono le persone veramente meritevoli di un'amicizia franca e sincera, mentre l'altro inevitabilmente appassisce con l'età. "Quello dei libri, che è il terzo, è ben più sicuro e più nostro" giacché ha per sé "la durevolezza e la facilità della sua pratica": consola nella vecchiaia, libera da compagnie sgradevoli, smussa i dolori, distrae da pensieri importuni. Non sorprende dunque che nel piccolo castello di Eyquem, vicino a Bordeaux, la biblioteca di Montaigne fosse collocata nel luogo più elevato della casa, al terzo piano della famosa torre sopra la cappella (al piano terra) e la stanza da letto (al primo piano). Grandi finestre consentivano e consentono ancora di godere il paesaggio ma anche di controllare quanto avviene nella casa. Sulle travi sono tuttora iscritte massime latine e greche (parecchie di intonazione e provenienza scettica), quasi un "ipertesto" sovrapposto alla biblioteca vera e propria. Quest'ultima si componeva di circa mille libri, disposti su una parete ricurva e schierati su cinque file; di fronte, accanto alla parete dritta, stavano un semplice tavolo e una sedia, in modo che il proprietario potesse abbracciare tutti i suoi libri "in un colpo d'occhio". Per l'epoca, si trattava di una biblioteca privata ragguardevole e dunque non sorprende che nel descriverla Montaigne celasse appena l'orgoglio del proprietario; ma insisteva soprattutto sulla serenità che la lettura dei libri gli aveva procurato, principalmente in età matura. Nella giovinezza, confessava, aveva studiato "per ostentazione", ma da adulto si era chinato sugli amati libri solo "per divertirmi, mai per profitto". Il rapporto con i libri che l'autore descrive in questo saggio Di tre commerci è estremamente rilassato e libero, in ossequio al primato "del gioco e del passatempo", anche se la lettura ha pure i suoi inconvenienti: esercita l'anima, ma non il corpo, donde gli svantaggi che derivano dall'immobilità richiesta per il leggere. E questo stare fermo il vecchio Montaigne sentiva particolarmente sfavorevole alla sua natura. Inoltre non gli era ignoto il pericolo di cadere in un' "infinita tentazione ermeneutica" (per usare la frase di Nicola Panichi nella prefazione a questo volume). Infatti, finisce che "ci si esercita più a interpretare le interpretazioni che a interpretare le cose, e ci sono più libri sui libri che su ogni altro argomento. Non facciamo altro che glossarci a vicenda. Tutto formicola di commenti, mentre di autori vi è carenza". Anche il rapporto coi libri richiede dunque, oltre che una saggia disciplina dell'anima, pure un igiene del corpo e, come sempre in Montaigne, il senso del limite. Dei mille volumi che componevano la biblioteca personale di Montaigne ce ne rimangono soltanto un centinaio, collocati per quasi due terzi alla Bibliothèque Nationale de France e per un terzo alla Bibliothèque Municipale di Bordeaux, ma non si devono dimenticare anche altri fondi tra cui spicca quello proveniente dalla collezione privata di Gilbert de Botton, confluita, dopo la sua morte, nella Cambridge University Library. È in quest'ultima collezione che è conservato il famoso esemplare del De rerum natura di Lucrezio, con i commenti di Denis Lambin, fittamente annotato di mano di Montaigne (il volume è stato studiato e le annotazioni trascritte da Michael Andrew Screech in una pubblicazione del 1998). Malgrado il numero ridotto dei libri superstiti, non mancano problemi e controversie, tanto più che in materia si sono esercitati non sempre con retta intenzione collezionisti e bibliofili, come nell'Ottocento il celebre Guglielmo Libri, instancabile cacciatore di libri, storico della matematica, professore al Collège de France e alla Sorbona, ma anche contraffattore e vero e proprio ladro di volumi e di manoscritti (non per nulla sedeva nella Commissione del Catalogo generale dei manoscritti delle biblioteche pubbliche di Francia e di questa posizione si giovava non solo per arricchire la sua personale collezione con appropriazioni più o meno illecite, ma anche per contraffare grafie ed ex libris, come nel caso di certi volumi attribuiti così falsamente alla raccolta dell'autore degli Essais). Ora tutta la materia complessa dell'appartenenza effettiva alla biblioteca di Montaigne è stata accuratamente esaminata e per molti versi chiarita in questo splendido volume di Barbara Pistilli e Marco Sgattoni, già da tempo benemeriti per gli studi su Montaigne, che hanno trovato nell'Università di Urbino il loro centro propulsore italiano, grazie all'infaticabile attività del gruppo di ricercatori riunito da Nicola Panichi. I due autori ricostruiscono con pazienza le vicende travagliate dei volumi superstiti in un'ampia introduzione, Retrospettiva di un inventario, che fa il punto su tutta la questione, soffermandosi in particolare sui casi più delicati, così da confermare in maniera definitiva le appartenenze ed espungendo invece le false attribuzioni. Rispetto ai precedenti inventari e in particolare quello di Gilbert de Botton e Francis Pottiée-Sperry del 1997, numerose sono le novità scoperte da Pistilli e Sgattoni. Per riassumerle in breve: tre sono i nuovi esemplari ritrovati (un Tasso, il lessico ciceroniano greco-latino di Estienne, particolarmente importante per la fissazione della lingua filosofica, un Balduinus), mentre risultano una decina le correzioni di attribuzione. In appendice vengono anche studiati otto volumi tra contraffatti, controversi o ricusati. Soprattutto, per ognuno dei cento volumi riferiti alla raccolta di Montaigne viene fornita una scheda molto ricca e dettagliata. In primo luogo compare la riproduzione fotografica a colori del frontespizio, segue poi una descrizione bibliografica completa e accurata, con riferimenti esaustivi alla letteratura critica esistente; non mancano i commenti dei due autori, a volte di estensione assai ampia. Leggendo questo libro, si ha insomma l'impressione di passeggiare al terzo piano della torre e di accedere almeno a una parte, sicura e criticamente accertata, della raccolta libraria personale dell'autore degli Essais. I libri, scriveva Montaigne, lo ricevevano "sempre con lo stesso volto", a differenza dell'irregolarità degli esseri umani e della loro mutevolezza. Erano, i libri, una "provvista" necessaria sia in tempo di guerra che in tempo di pace, "la migliore" che Montaigne avesse trovata nel suo "umano viaggio". Libri che in vita, consolano, assistono, liberano dalle compagnie fastidiose. Nelle lingue dei volumi superstiti colpisce la prevalenza dell'italiano sul francese (a parte lo scontato predominio del latino), a conferma del forte legame di Montaigne con la cultura italiana del Rinascimento, e ciò benché manchino fra i cento volumi rimasti esemplari di cui sappiamo che l'autore ebbe sicuramente la proprietà, come il celebre (per l'epoca), Stefano Guazzo, Della civil conversazione: un modello tutto italiano e ancora rinascimentale sulla tenuta dei rapporti umani. Così come è tuttora contestato il ritrovamento di un altro libro fondamentale per la formazione dell'autore, La Theologia naturalis di Raymond Sebond, da cui proviene lo spunto per la famosa Apologie de Raymond Sebond, il più ampio e complesso dei Saggi, oltre che il più ricco di spunti filosofici in senso proprio. Basteranno queste due assenze a darci il segno della diaspora della biblioteca, ideale e reale, del Perigordino, anche se questo volume contribuisce egregiamente a restituircene una traccia esemplare ricostruendo il profilo delle letture e degli interessi del proprietario.     Gianni Paganini  

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